Le parole pronunciate dal senatore Latorre (eterno delfino di Massimo D'Alema) suonano oggi, più che come il reiterato insulto a chi fatica a tirare avanti (grazie alle scelte e alle non scelte dei governi che il suo partito ha appoggiato ed appoggia), come una vera e propria offesa all'intelligenza e alla dignità: quell'intelligenza e quella dignità che i cittadini italiani dovrebbero a questo punto dimostrare di non aver completamente smarrito (cosa serve ancora?).
“Non siamo di fronte a una scelta tra la pace e la guerra. Il Pd non ha ammainato e non intende ammainare la bandiera della pace. Non si possono contrapporre la necessità delle spese del sistema di difesa a quella del welfare. Una grande forza riformista non può sottrarsi alla sfida di garantire all'Italia un sistema di difesa adeguato al suo ruolo internazionale e per questo convintamente voteremo questa mozione".
Così parlò Latorre.
Le scelte si praticano con gli atti, a dispetto dei più o meno riusciti giri di parole. E il PD ha scelto: tra pace e guerra, tra stato sociale e spese militari, addirittura tra spese militari potenzialmente “utili” e inutili (visto che altri paesi hanno rinunciato all'acquisto degli F35 non per spirito pacifista, ma perché difettosi), tra coerenza con le proprie promesse elettorali e convenienza (di chi?), tra essere una “grande forza riformista” (poi qualcuno ci dovrebbe anche spiegare cosa significa di preciso) e un partito sempre più subalterno a logiche reazionarie.
È il momento di ricominciare a dare alle parole un senso e agli atti il valore che meritano: cos'altro dovrebbe essere la politica?