Sul rossobrunismo (II)
[La prima parte qui]
Mentre mi accingo a scrivere questa seconda parte di una riflessione dedicata al rossobrunismo, mi viene spontanea una domanda: “Ma è davvero così importante scrivere su/di esso?” Mi faccio questa domanda perché risulta evidente che i problemi comuni a noi italiani sono altri: il lavoro, il razzismo, l’incapacità delle opposizioni di saper contrastare le derive xenofobe e populiste delle destre. Nondimeno credo che spingere i compagni a riflettere sul pericolo di sottostare alla confusione ideologica non possa esser sottovalutato.
Dare valore (di scambio) a fiducia e verità nell’economia del XXI secolo
In queste note cerco di connettere alcune letture e considerazioni fatte di recente, pur senza essere del tutto sicuro del filo che le lega. Per prima cosa, sulla testata on line Pambianconews.com, che si occupa di moda, del 25 luglio, ho letto un servizio che annunciava il lancio sul mercato di una certificazione blockchain applicata al settore agroalimentare da parte di una, dicono, promettente startup romana (pOsti), funzionale non solo alla trasmissione di una serie di informazioni di supporto su specifici “piatti”, ma anche alla tracciabilità dei prodotti di alta ristorazione.
C’è un concetto fortemente distorto dell’operaismo che viene riproposto da alcuni degli intellettuali sopravvissuti ai Quaderni Rossi, i quali snaturano quel progetto nella sua essenza anticapitalistica. In particolare Toni Negri e i postoperaisti sono convinti che la classe operaia, ormai dispersa nella “società liquida” e divenuta Moltitudine, abbia una sola chance per abbattere il capitale cioè rinunciare al lavoro e presentarsi unicamente come massa di consumatori.
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