Venerdì, 10 Agosto 2018 00:00

Sul rossobrunismo (parte II)

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Sul rossobrunismo (II)

[La prima parte qui]

Mentre mi accingo a scrivere questa seconda parte di una riflessione dedicata al rossobrunismo, mi viene spontanea una domanda: “Ma è davvero così importante scrivere su/di esso?” Mi faccio questa domanda perché risulta evidente che i problemi comuni a noi italiani sono altri: il lavoro, il razzismo, l’incapacità delle opposizioni di saper contrastare le derive xenofobe e populiste delle destre. Nondimeno credo che spingere i compagni a riflettere sul pericolo di sottostare alla confusione ideologica non possa esser sottovalutato. 

In questo articolo porrò delle piccole analisi su questo movimento (a mio vedere pericoloso) attraverso piccoli capitoli, con lo scopo di non creare troppa confusione e troppe parole. Sarà capitato anche a voi di perdervi in una di quelle polemiche, lunghe e accese, che spopolano su Facebook. Fino a qualche tempo fa, a sinistra, si discuteva tra compagni della sinistra radicale e liberal-progressisti della sinistra liberale. Poi, da almeno una decina di anni, è divampata la polemica tra complottasti e debunker. Dapprima su specifici casi (11 settembre o argomenti scientifici) per poi prender gran parte dello scontro politico. Il fenomeno è circostanziato per lo più sui social network ma fa capolino di tanto in tanto anche su media più tradizionali (tv e giornali) grazie anche a personaggi come Diego Fusaro.

Questo cambio di scontro e polemica ha modificato il modo di affrontare le contraddizioni e dinamiche di un mondo, quello occidentale, sotto il regime capitale e del libero mercato, ponendo al centro del dibattito argomenti alieni alla classica analisi e diatriba di sinistra. Le fake news, la figura di Soros, il ritorno più o meno sfumato al mito della razza, il nazionalismo, tutti argomenti che esulano dal classico modo di far militanza e comunicazione all’interno del movimento comunista. Di fatto, questa la vera tragedia, le ragioni di classe e la lotta di essa contro il capitale sono quasi del tutto scomparse dall’agenda di chi si dichiara comunista ma di fatto straparla di eserciti di riserva composti da migranti. Tutto questo è nuovo? Un prodotto dei nostri tempi oppure ha radici anche lontane?

Le radici del rossobrunismo.
Un movimento ha diverse origini, le quali poi convergono in un corpo unico ed egemone dentro e fuori di esso. Sicché il rossobrunismo di questi tempi ha metodi e obiettivi in parte diversi rispetto, ad esempio, ai nazi-maoisti degli anni 60. La rivoluzione perpetrata dalla rete, il modo nuovo e veloce di attirare attenzione e indignazione attraverso i sociali, sono mezzi e strumenti assolutamente moderni. I rossobruni si sanno muovere a loro agio in questi tempi e con questi mezzi. Nondimeno mi par impossibile non cogliere (tra alcuni di loro) delle suggestioni che ci giungono dal passato. Dalla seconda guerra mondiale, per la precisione.

Il padre di gran parte dei rossobruni, a mio parere, è Nicola Bombacci. Attivista socialista, co- fondatore del Poi nel 1921, passato negli anni ‘30 al fascismo. La figura di Bombacci è di molto controversa, da una parte esiste il compagno ammirato anche da Lenin e dall’altra l’uomo che fino alle fine era convinto che il fascismo fosse una vera rivoluzione socialista. Tanto da sostenere con forza ed impegno la R.S.I. Proprio in questa sedicente repubblica socialista (ma di fatto nelle mani totali dei nazisti e di qualche avido capitalista) Bombacci vede l’avverarsi di una vera rivoluzione migliore rispetto a quella dei bolscevichi – danneggiata da Stalin – e dedita alla difesa del lavoro e dei lavoratori. La politica di socializzare i mezzi di produzioni nelle fabbriche della R.S.I. è sua.

Queste idee non verranno mai tenute in considerazione (per via delle proteste degli industriali) ma è chiaro che il fascismo non ha mai voluto praticare alcuna politica socialista nel mondo del lavoro, preferendo la corporazione e al massimo la presenza statale a direzionare le dinamiche lavorative. Proprio questa confusione totale e assoluta di visione politica, il voler far combaciare ostinatamente la rivoluzione bolscevica e la reazione sanguinosa del fascismo sono gli elementi comuni tra Bombacci e le destre che compongono il movimento rossobruno. Basta vedere quali sono i siti o i blog che troverete in prima fila digitando il nome di Bombacci su Google.  Da Casa Pound a tutta una serie di riviste gestite da elementi di spicco del rossobrunismo.

Diego Fusaro ha spiegato che in questi tempi si devono unire valori di destra (dio famiglia patria) con idee di sinistra (diritti sociali ad esempio): a mio avviso una rielaborazione del bombaccismo e delle sue illusioni. Certo i tempi sono profondamente diversi sia a livello nazionale che internazionale: tuttavia questa predisposizione a snaturare la rivoluzione bolscevica, il socialismo e anche l’idea di patria – che non manca nel comunismo – sono elementi che allacciano una sorta di continuazione delle idee bombacciane nel mondo delirante e pittoresco del turbocapitalismo.

Geopolitica, non lotta di classe!
In questi anni va di moda citare la geopolitica. Come se fosse una parola magica, in grado – da sola – di spiegare la nostra situazione politica ed economica. Aldo Giannuli, nel suo ottimo saggio L’abuso pubblico della storia (ed. Guanda), cerca di dar una definizione precisa sia del termine che dell’uso comune fatto da troppi teorici “internettiani”. In questo paragrafo si parte dalla prima apparizione del termine geopolitica (termine inventato da uno svedese nei primi del novecento) e si procede poi a puntualizzare i limiti di questa dannosa ideologia di destra. Ecco come Giannuli spiega cosa sia la geopolitica: ”… per indicare una nuova disciplina che studiasse il rapporto fra decisioni politiche e condizioni geografiche (…) le costanti delle politiche stati in relazione (…) alla collocazione di geografia politica.”

La geopolitica ottiene un grande successo nei decenni dopo il 1900. Essa si divide in due scuole teoriche: una anglo americana che dà massima importanza al rapporto terra-mare e un’altra tedesca che si concentra maggiormente sui rapporti tra stati continentali. Con una sorta di Heartland, situata dove sta l’ex Unione Sovietica. Questa disciplina ha avuto un ruolo importante nel Terzo Reich, anche se dagli anni ‘80 in poi si tiene a minimizzare il peso effettivo sulle politiche belliche del nazismo, arrivando a definirla una disciplina neutra; Giannuli, più avanti nello stesso capitolo, evidenzia un ben preciso limite della geopolitica – errore peraltro evidente nelle analisi rossobrune e o di compagni che giocano con troppa leggerezza a formulare teorie bizzarre –: secondo lo studioso, infatti, le scienze come storia o politologia non sono immuni dal diventare oggetti di divulgazione per nulla neutrali. La neutralità spetta alle scienze naturali.

Lo sforzo dei rossobruni o di chi si affida ad essa è quella di voler rendere la geopolitica una scienza neutrale. Cosa mendace in quanto essa è un’ideologia. “La geopolitica (…) anche se fa largo uso di conoscenze scientifiche, essa non è sinonimo abbreviato di geografia politica, ma la geografia politica messa al servizio di un progetto imperiale.” (Giannuli, op. cit., pg. 34) I rossobruni infatti nel loro anti-imperialismo di destra non evidenziano i crimini dell’imperialismo come sciagura che colpisce un popolo e le sue classi meno abbienti in modo particolare. Non c’è traccia degli orrori del colonialismo italiano ad esempio, e sono tenui o strumentali quelli fatti contro gli altri stati colonialisti ed imperialisti. Per loro è solo uno scontro tra nazioni e stati sovrani col fine di conquista dei beni primari e il controllo mondiale.

Ci sono gli stati rappresentati dall’esercito, dalla burocrazia statale, dal capitalismo nazionale che si espande. Non mancano ad esempio i riferimenti alle nostre aziende di energia elettrica o gas negli articoli dei rossobruni. Per il controllo di zone fondamentali per la prosperità dello stato capitalista. Mancano invece le analisi sociali e di classe. Alcuni “ripensatori di Marx” erano giunti a condividere l’idea liberista che non esistano più le classi. Ironizzando che oggi come oggi non si  vedono famiglie povere con quattordici figli, pezzenti e lerci. La classe proletaria è usata solo in termini nazionalisti e corporativi contro le istanze internazionali della classe. La lotta di classe viene derisa, negata, o modificata con elementi razziali, di appartenenza alla nazione .

Patria sì, Patria no.
Un tema troppo delicato (nel quale errano anche molti ferventi nemici del “rossobrunismo”) è quello dell’idea di Patria. Polemica che ebbe anche risvolti tragici negli anni della formazione dell’Unione Sovietica. La differenza fra un comunista e un rossobruno è che il primo parla di patria con un’attenzione verso la classe meno abbiente, i proletari, gli oppressi, che devono riprendersi il loro territorio. Governare quel territorio con leggi socialiste e quindi sempre aperte a una visione di assoluta collaborazione con altri stati nel nome di un comunismo internazionale, di unione delle classi e degli stati che le rappresentano. La grande guerra di distruzione del nazismo in Unione Sovietica era detta “guerra patriottica”, ma era ben diversa rispetto a quella nazionalista ucraina (anche se oggi quest’ultima è vista come una cosa buona e giusta dai democratici miopi nei conforti del fascismo di ritorno a livello europeo).

La Patria e gli agganci con eroi nazionali sono stati usati anche a sinistra e dai rivoluzionari cubani, vietnamiti e cinesi, ma non come supremazia di un’etnia, non per celebrare una terra voluta e amata da dio, ma appunto come territorio comune in cui vivono gli sfruttati ed gli oppressi, uniti nella lotta per salvare quella terra dal colonialismo imperialista e dal fascismo. Decisamente ben diverso rispetto alle cialtronate anti immigrazione e la divulgazione di notizie false sui migranti, materiale spesso usato dai rossobruni. L’idea di Patria è pressoché identica a quella fascista. Lo spazio lasciato a chi attacca il mondialismo (e non il cosmopolitismo vacuo e fatto solo di slogan criticato da un grande intellettuale come Losurdo) o l’idea che la classe proletaria sia legata all’etnia autoctona in un determinato paese, non fanno altro che evidenziare la natura assolutamente di estrema destra dei rossobruni.

Che confusione, sarà perché ti Fusaro!
Non sono pochi i siti e le formazioni legate al movimento rossobruno. In tempi rancorosi e feroci come quelli odierni, i militanti si sentono spiazzati e frustrati, per questo – non fidandosi più degli organi istituzionali affini o delle segreterie di partiti troppo “buonisti” – trovano nelle parole, nei toni, nelle espressioni spesso colorate ed afferrate dei rossobruni, un sostegno al loro malessere pubblico e privato. Da qui le condivisioni di pensatori che vanno oltre la linea, che praticano azioni culturali, che riprendono le parole dei La Grassa o Preve. C’è di tutto: analisi geopolitiche, visione di un mondo alla Risiko o peggio ancora dominato da una sorta di Spectre, per cui geopolitica facile e complottismo. Ci sono i valori di destra che vanno uniti alle istanze sociali della sinistra. Il famoso e fumoso discorso “né destra né sinistra”.

Fusaro è uno dei tanti, uno che usa il linguaggio visionario e confusionario di un Vendola, per portare avanti pensieri aberranti e di estrema destra. Uno di quelli che spinge migliaia di compagni a pensare che nel mondo attuale il pericolo numero uno sia una sinistra diritto civilista piena di errori e dispersa nella sua auto contemplazione, certo, ma meno pericolosa di certi partiti di destra che chiudono i porti. Come comunisti dobbiamo essere chiari: non sosteniamo la sinistra liberale, ma siamo fermi sul fatto che peggio di un “petaloso” vi siano molti compagni che credono alle bufale dei bambolotti in mare, delle unghie dipinte, dell’esercito di riserva. Questi ultimi sono piegati al pensiero dominante ora e qui: nella loro nazione. Stupisce come gente sempre attenta alla sua Patria non veda il pericolo reale nella sua terra tanto amata e citata.

Gran Finale.
Io non credo che Marx, Lenin, Stalin, Ho Chi Min, siano mai stati liberali. I comunisti non sono liberali. Nondimeno oggi il pericolo principale è la neo-destra. I fascisti di Casa Pound e quelli del governo ucraino. Il capitale usa la destra per difendere i suoi interessi e creare conflitti sociali che colpiscano uomini e donne di classi proletarie e sottoproletarie creando divisioni e conflitti al loro interno. Le idee di destra e rossobrune sostengono la borghesia territoriale ma hanno agganci internazionalisti (l’internazionale nera). I comunisti non stanno con quelli che godono o minimizzano per/la morte di chi sfugge da guerra e miseria. Con questo articolo ho chiuso il mio intervento sul movimento rossobruno. Vi invito ad approfondire la questione da soli.

 

Immagine ripresa liberamente da pxhere.com

Ultima modifica il Martedì, 07 Agosto 2018 19:54
Davide Viganò

Davide Viganò nasce a Monza il 24/07/1976: appassionato di cinema, letteratura, musica, collabora con alcune riviste on line, come per esempio: La Brigata Lolli. Ha all’attivo qualche collaborazione con scrittori indipendenti, e dei racconti pubblicati in raccolte di giovani e agguerriti narratori.

Rosso in una terra natia segnata da assolute tragedie come la Lega, comunista convinto. Senza nostalgie, ma ancor meno svendita di ideali e simboli. Sposato con Valentina, vive a Firenze da due anni

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