Mercoledì, 08 Agosto 2018 00:00

Social Credit System: fiducia e verità con valore di scambio nell’economia del XXI secolo

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Dare valore (di scambio) a fiducia e verità nell’economia del XXI secolo

In queste note cerco di connettere alcune letture e considerazioni fatte di recente, pur senza essere del tutto sicuro del filo che le lega. Per prima cosa, sulla testata on line Pambianconews.com, che si occupa di moda, del 25 luglio, ho letto un servizio che annunciava il lancio sul mercato di una certificazione blockchain applicata al settore agroalimentare da parte di una, dicono, promettente startup romana (pOsti), funzionale non solo alla trasmissione di una serie di informazioni di supporto su specifici “piatti”, ma anche alla tracciabilità dei prodotti di alta ristorazione.

Questa notizia da un certo punto di vista coincideva con uno dei risultati di una recente ricerca che abbiamo fatto per la Federazione degli alimentaristi della Cgil, cioè l’impressione che il business principale del commercio on line del settore agroalimentare (specie delle aziende piccole o artigiane) fosse “la verità” sui prodotti commercializzati. Cioè, una volta che una piccola azienda si specializza in una tipologia di prodotto (bistecche o olio extravergine, o qualsiasi cosa) si fa un “capitale” di reputazione che il cliente trasla al di là del prodotto originale, spingendo impetuosamente la piccola impresa a vendere non solo il prodotto originario, ma la propria affidabilità come certificatore di prodotti “genuini” magari fabbricati da terzi (questo implica una evidente contraddizione fra il modo originario di diventare “credibili”, specializzandosi su una specifica linea di prodotto e una spinta a diventare mediatori di verità, o comunque commercianti di prodotti di altri).

Tornando alla notizia letta su Pambianco, ho pensato di approfondire l’argomento blockchain, di cui si sente parlare in maniera crescente.  Da Google ho scaricato una sorta di manuale su blockchain, autore un certo Mauro Bellini, che – da profano – mi sembra ben costruito e chiaro. Secondo questo manualetto (da cui sono riportate tutte le citazioni nei prossimi due capoversi), blockchain è anzitutto una “metodologia” che struttura un database per transazioni crittografate attraverso un registro pubblico aperto a tutti. È un database con particolari norme di sicurezza che si basano sull’immutabilità dei dati via via immessi, sulla loro completa accessibilità e trasparenza: “sicuro” e “accessibile a tutti” sono le caratteristiche di un sistema di archiviazione e interazione dati che si presta particolarmente a certificare proprietà e transazioni virtuali (quelle nel mondo del bitcoin) dove ovviamente la sicurezza della solvibilità degli acquirenti, della loro volontà di acquisto, così come quella della possibilità di “vendere” da parte dei “venditori” è centrale.

Le transazioni sono schedate in un “libro mastro” informatico immodificabile, ma nel tempo stesso aperto a tutti i “partecipanti” attraverso specifici “protocolli di comunicazione”. Qualsiasi transazione può essere controllata da tutti i partecipanti al sistema, anche se ciascuno di essi è incentivato ad essere il primo a risolvere “il complesso problema matematico legato alla creazione di ogni nuovo blocco di transazioni in modo valido e crittografato che possa essere aggiunto alla Blockchain”.
“Le transazioni basate sulla Blockchain non sono centralizzate e nascoste o “chiuse”, ma sono decentralizzate e trasparenti, aperte a tutti. In questo caso (…) non esiste nessuna autorità speciale che può negare l’autorizzazione a partecipare al controllo e all’aggiunta di transazioni. La fase di verifica e di approvazione è basata su risorse di calcolo messe a disposizione dai partecipanti alla Blockchain e che sono finalizzate alla risoluzione di problemi complessi o puzzle crittografici e che permettono di disporre di un Consenso Distribuito e non più di un consenso basato su un intermediario terzo o su un ente o istituzione centralizzata. Coloro che partecipano alla risoluzione del problema e che dunque concorrono alla validazione del processo e della transazione sono chiamati Miner e il loro intervento, che necessita per essere svolto di importanti risorse, viene remunerato attraverso l’emissione di una moneta virtuale o cryptocurrency.”

Il cuore di questo processo è la sicurezza del possesso di “potere d’acquisto”: è questo un terreno su cui non ci possono essere incertezze, pena il collasso della fiducia nel sistema (per inciso questo è precisamente il cuore della credibilità di qualsiasi sistema finanziario, che collassa nel momento stesso in cui una crisi fa “perdere la fiducia” ai partecipanti). Alterare il sistema richiederebbe la “falsificazione” del “curriculum” (di una moneta, di una camicia, di una ricetta…) in tutti i computer partecipanti al progetto. Il lavoro citato prosegue ricordando i vari tipi di moneta elettronica, affini in qualche modo a bitcoin, le diverse filosofie che li ispirano, etc., e anche le criticità del sistema bitcoin anche se su questo appare meno convincente. Bene, un ulteriore approfondimento può essere fatto da chi legge sul manuale citato, o su uno dei tanti lavori che riguardano questo argomento.

Ma facciamo il passaggio ulteriore. Cerco di seguire, su Facebook o altrove, l’attività di ricerca di tantissimi colleghi che sono passati, nel corso degli anni, da Ires Toscana. Negli anni Novanta fra i nostri collaboratori c’era Jurgen, anche borsista all’IUE, e negli ultimi decenni docente e ricercatore alle università di Mannheim e Praga, e ultimamente al DOC Research Institute di Berlino. Insieme a Matteo Bonomi, Jurgen Grote ha pubblicato un saggio (da cui le citazioni in inglese che seguono) che riguarda un argomento in qualche modo connesso ai temi dei “big data” e della fiducia, nello specifico in riferimento ad alcune scelte di indirizzo tecnologico del governo cinese. Gli autori distinguono tre livelli di “capitale sociale”, che è un importante pre-requisito dello sviluppo economico e sociale (misurabile attraverso la network analisys, che è uno strumento su cui Jurgen fornì interessanti contributi anche in papers pubblicati da Ires Toscana un paio di decenni fa. Gli autori distinguono fra “bonding social capital”, “bridging social capital” e “linking social capital”.

Il primo riguarda i sistemi di obbligo reciproco entro piccole comunità di destino. A questo primo livello (diciamo “la fiducia nel prossimo”) la Cina ha indicatori altissimi, simili a quelli di Olanda e Svezia, ben distanti da paesi come Brasile, ma anche Usa e Germania. Ad un secondo livello, meso, però, le cose cambiano, laddove si tratta di costruire fiducia in ambiti più vasti e impersonali; l’indicatore usato pone la Cina al livello di Giappone e Russia, distante dai paesi occidentali: sono, secondo gli autori, i limiti insiti nel guangxi, il clientelismo cinese, che potranno essere superati dirigendosi verso le più strutturate communities of choiches. Al terzo livello, invece, quello della fiducia nelle capacità del governo politico, non c’è storia, gli indici cinesi sono altissimi rispetto a quelli di tutti i casi europei comparati, per non parlare di Usa e Brasile; questi dati sono ovviamente discussi, anche per la natura autoritaria del sistema politico cinese, che potrebbe far supporre una paura di manifestare sfiducia anche attraverso una rilevazione “schermata” dal segreto statistico.

Tuttavia gli autori ritengono che vi sia una radice di genuino consenso date le elevate, prolungate e inaspettate performances economiche dello sviluppo cinese. Ma il secondo livello comporta, proprio per la prosecuzione dei processi di sviluppo, criticità non trascurabili. In questo contesto gli autori situano un prometeico tentativo del governo cinese (per l’esattezza si tratta di una proposta del Consiglio di Stato1) di costruire un Social Credit System (SCS) adeguato alle esigenze di sviluppo economico attuali, soprattutto sul piano finanziario e bancario. Il SCS sarebbe un modo per accompagnare, per fare sviluppare “dal basso” un sistema di obblighi condivisi fra i soggetti societari e personali dello sviluppo. Il governo cinese vuole, in tempi rapidi, sviluppare un sistema efficace e capillare di certificazione universale dell’affidabilità, dalle imprese fino, capillarmente, a tutti i singoli individui, con un sistema diffuso di punizioni e incentivi.

Si tratta di un compito immane, che prevede la convergenza di una serie di tecnologie sui big data, ma anche di sperimentazioni di soluzioni “dal basso” (governi locali). Il blacklisting di individui e imprese che si desidera mettere in atto appare singolarmente esteso, a partire dal “resisting court orders and infringing current laws and regulations. Punishments have been issued directly – for example, through the imposition of restrictions on eligibility for particular jobs – and indirectly, by the setting-up systems of ‘naming and shaming’. The private information of blacklisted personalities (including names, photos, ID numbers and, in some cases, home addresses) has been shared and made publicly available through government databases, major news outlets, and websites, thus imposing severe reputational and social costs.”

In qualche modo lo sviluppo di una estesa economia creditizia, supporto indispensabile allo sviluppo, non può fare affidamento sullo spontaneo stabilirsi di criteri di affidabilità. Se il mercato, e non il comando politico, deve continuare a orientare lo sviluppo (selezionando settorialmente il credito, ad esempio), non ci si può attendere che trovi in sé tutti i criteri per stabilire chi sono i soggetti più efficienti e meritevoli. Il SCS è così uno strumento per lo sviluppo capitalistico. Ora, dei “credit scoring systems” esistono in molti paesi capitalisti, e sono molto discussi (si ricordino tutti i dibattiti su “Basilea3”, in Italia, e sui limiti che esso impone ai segmenti dell’economia (i distretti industriali, l’artigianato, le piccole imprese…) meno organizzati e “formalizzati”, che fa forse – nei sistemi formalizzati di scoring – apparire meno solidi di quanto siano, con una profezia destinata ad auto-avverarsi.

Il SCS cinese è però diverso: è disegnato top-down, non lascia spazio ai singoli soggetti bancari, vorrebbe colpire il personalismo del guangxi (ma questo come Basilea3); i ratings creditizi tendono a dilatarsi oltre lo spazio economico, con un massiccio ricorso a strumenti come l’analisi dei big data, il ricorso a sensori di riconoscimento, il monitoraggio in senso reale; il massiccio ricorso a strumenti di stigmatizzazione dei meno affidabili e più devianti. Ciascuna impresa, ma anche individuo (ciò che è criticato dagli autori) ha un capitale iniziale di “punti” SCS, aggiornato mensilmente e pubblico, che può salire, ma anche scendere se si passa a un semaforo rosso, se si scarica software pirata, se si vive in un appartamento “eccedente i bisogni personali”, se si va a lavorare su un costoso veicolo importato, se si partecipa a manifestazioni non autorizzate, se si fanno accuse false sul web, se si “salta la coda” ai controlli del supermercato, e molte altre voci2.

Le penalizzazioni possibili potrebbero andare dall’esclusione di passaggi di carriera lavorativa a divieto di viaggiare all’estero, dalla perdita di priorità nell’accesso alle reti veloci intenet alla perdita di priorità nel ricevere alcune tipologie di cure mediche. Nelle sperimentazioni locali di queste metodologie si è visto che la frequentazione, fisica o virtuale, di persone blacklisted è essa stessa considerata un criterio di biasimo sociale, e conviene frequentare persone che hanno alti scores di SCS. È evidente l’aspetto orwelliano di questo progetto, ma è forse inevitabile se l’obiettivo che ci si pone è di costruire rapidamente un dato clima di relazioni sociali. Gli effetti di path dependency nei destini delle persone coinvolte sembrerebbero – a nostro parere – controproducenti, se si pensa al ruolo che – in ambiti diversissimi – ha avuto la “tolleranza” verso i fallimenti economici, al momento che i “secondi tentativi” delle persone economicamente fallite possono rivelarsi utili e produttivi (vedi Florida rispetto agli ambienti creativi dell’alta tecnologia o Becattini rispetto ai distretti industriali nella loro fase più dinamica).

È erronea, affermano gli autori, la considerazione del cittadino come puro homo oeconomicus. Abbiamo però l’impressione che, al momento in cui – come abbiamo visto ricordando le tecniche blockchain – la “verità” diventa un criterio mercantile centrale, vi sia una netta preferenza delle autorità cinesi verso un sistema centralizzato di riconoscimento “olistico” (e magari top-down-delle priorità), e forse anche la voglia di offrire una alternativa alle tecniche blockchain. Le quali, a loro volta, suscitano qualche perplessità non tanto per le vicende delle quotazioni del bitcoin (del tutto fisiologiche finché si permette il gioco delle aspettative finanziarie come elemento fondamentale del “dare valore”) quanto per la pretesa in sé di completezza delle valutazioni offerte. L’SCS sembrerebbe un modo alternativo di “dare un criterio di verità” ai comportamenti sociali, centralistico e forse un po’ ingenuo (non mancherà chi vede i progetti del consiglio di stato cinese come deviazioni dall’ortodossia della modernizzazione capitalistica che peraltro forse vorrebbero servire celermente e efficacemente).

Ma non siamo sicuri che un processo trials and errors sia più adeguato al funzionamento dell’economia di mercato (che, in sé, dopotutto, forse può fare a meno di un modo di procedere adatto alla comprensione critica della realtà). Tuttavia, se pensiamo a come funzionano le procedure di indirizzamento delle informazioni Internet sulla base dei risultati passati e delle preferenze presunte delle persone e sulla base di algoritmi, possiamo chiederci se non sia solo l’appartenenza ad un sistema politico autocratico che rende la proposta dell’SCS così inquietante. Fornire criteri di verità, focalizzarli e dare loro visibilità per renderli “creatori di valore” appare l’elemento in comune fra i due differenti (ma quanto?) ambiti descritti. Un’aria di centralizzazione spira tanto dall’SCS cinese quanto dal blockchain californiano? Il presidio di questa intersezione fra tecnologie, scelte “di valori”, creazione “di valore”, appare comunque cruciale nel definire la sfuggente identità di chi avrà potere in questa società divisa in classi.

2 In verità questi aspetti sono richiamati (forse inferiti?) dal saggio id Grote e Bonomi, ma non direttamente rintracciabili nel documento ufficiale citato.

 

Immagine ripresa liberamente da medium.com

Ultima modifica il Martedì, 07 Agosto 2018 16:30
Franco Bortolotti

Coordinatore Scientifico dell'IRES (Istituto di Ricerche Economiche e Sociali) CGIL Toscana ed economista.

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