Giovedì, 25 Febbraio 2016 00:00

Al lupo al lupo - Parte II

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Di Silvia D'Amato Avanzi e Joachim Langeneck

[continua da qui]

Da qualche tempo, i notiziari e i giornali ricamano sul “ritorno del lupo” attingendo sempre di più alle proteste degli allevatori che accusano i lupi di stragi di bestiame e portando alla ribalta le paure più o meno comprensibili di persone che non hanno mai conosciuto il lupo; troppo facilmente “soluzioni” come imbracciare il fucile o dare carta bianca alla caccia rimbalzano da una testata all’altra – di cui parleremo nel prossimo pezzo. 

Nel tentativo di venire incontro alle richieste dei portatori d’interesse, il Ministero dell’Ambiente ha al vaglio una bozza di “piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” in cui si fa chiaramente riferimento alla possibilità di strutturare piani d’abbattimento su popolazioni di lupo per cui la convivenza con le società umane è vista come problematica. In un comunicato stampa del Ministero (leggi qui) successivo ad alcune polemiche, si specifica che questa possibilità è in linea con la Direttiva europea Habitat del 1992 e la sua ricezione in Italia attraverso il decreto 357 del 1997. Il problema è che non è detto che sia così; il lupo, con l’eccezione di alcune popolazioni tra cui non v’è quella italiana, è inserito nell’allegato IV della Direttiva, che per le specie ivi elencate prevede sì delle deroghe all’assoluto divieto di uccisione e/o prelievo, ma estremamente stringenti e dipendenti da condizioni molto chiare. Una delle condizioni che autorizzano la deroga è rappresentata da “l'interesse della sanità e della sicurezza pubblica o per altri motivi imperativi di rilevante interesse pubblico, inclusi motivi di natura sociale o economica, e motivi tali da comportare conseguenze positive di primaria importanza per l'ambiente”, ed è chiaro che il Ministero intende applicare questo comma (art. 16.1 comma c). Ora, se realmente si verifichino queste condizioni è tutto da dimostrare, e l’enfasi posta a livello di informazione pubblica sull’impossibilità di convivenza tra uomo e lupo è molto verosimilmente in questa direzione. Il punto, tuttavia, è che la deroga deve essere basata su dati oggettivi, validati scientificamente, e non su una richiesta unilaterale da parte di una parte dei portatori d’interesse. I dati oggettivi mostrano che le popolazioni di lupo presenti in Italia in questo momento sono compatibili con le attività umane, e in particolare con la pastorizia, purché sia condotta secondo determinate regole – regole che richiedono un investimento su cani da pastore e recinti elettrificati; che non esercitano una pressione eccessiva sulle popolazioni di ungulati selvatici; che non rappresentano un pericolo diretto per l’uomo. Su queste basi, l’applicabilità della deroga secondo la Direttiva Habitat risulta poco sostenibile.

Al tempo stesso il Ministero rassicura l’opinione pubblica, e le associazioni di protezione dell’ambiente, che non verrà presa alcuna misura di abbattimento nei confronti di cani-lupo (possiamo ipotizzare s’intenda “ibridi”) e cani randagi, ritenendo con questo di limitare le polemiche. In realtà la maggior parte dei danni alle attività umane sono proprio legati a cani randagi; la conservazione del lupo, peraltro, è seriamente danneggiata dal fenomeno del randagismo, dato che, è opportuno ricordare, il cane e il lupo appartengono alla stessa specie, sono perfettamente interfertili ed ibridano con una certa facilità. Molte popolazioni italiane, in particolar modo quelle che vivono più vicine agli abitati umani, sono composte da lupi pesantemente introgressi con cani randagi, il cui comportamento confidente può anche essere legato alle interazioni sociali con cani inselvatichiti. Una politica di abbattimento dei cani randagi, quindi, sarebbe in effetti un’azione estremamente sensata sia nell’ottica della conservazione del lupo, sia nell’ottica del rendere le attività umane più sicure e praticabili: ricordiamo che, mentre non è noto un caso di attacco mortale da parte di lupi da oltre un secolo, casi di fatalità legati a branchi di cani randagi sono purtroppo abbastanza frequenti. Anche a livello sanitario non sarebbe affatto una politica inappropriata. Il problema, tuttavia, è che l’opinione pubblica non vede di buon occhio l’abbattimento di qualcosa che si chiama “cane”, pur accettando e in alcuni casi chiedendo l’abbattimento del “lupo”, e quindi il Ministero la rassicura asserendo che non prenderà alcun provvedimento a riguardo, per quanto i cani randagi corrispondano alla definizione di specie problematica molto più dei lupi.

Laddove il comunicato recita “Le eventuali deroghe, da valutare e autorizzare caso per caso sulla base di analisi e dati oggettivi, hanno l’obiettivo di mitigare il conflitto sociale, connesso alla coesistenza uomo-lupo”, appare chiaro come il piano di gestione in questione sia dichiaratamente calibrato non tanto sulle caratteristiche delle popolazioni italiane di lupo, quanto sulle richieste della pubblica opinione e dei portatori d’interesse. Non si prende atto di una situazione problematica, su cui intervenire attraverso la deroga, come previsto dalla Direttiva Habitat, ma di una richiesta di apertura all’abbattimento, su cui eventualmente valutare la deroga. A parere nostro, questo tipo di politica non corrisponde affatto alle linee guida dettate dalla Direttiva Habitat, ma tenta piuttosto di eluderle.

Come è già apparso evidente nel caso dell’orsa Daniza (leggi qui), ma se possibile in misura ancora maggiore, se non altro per il fatto di passare dalla scala regionale a quella nazionale, le istituzioni deputate alla protezione dell’ambiente in Italia si trovano a dover fare da ago della bilancia tra diversi portatori d’interessi. La cosa più imbarazzante di questa situazione, tuttavia, è che mentre la ricerca scientifica dovrebbe avere un ruolo di consulenza ed autorevolezza nei confronti dei problemi, essa è trattata alla stessa stregua degli altri portatori d’interesse (associazioni ambientaliste, cacciatori, allevatori, agricoltori). Il dato scientifico, su cui dovrebbe fondarsi il programma di gestione di un ambiente e/o di una data specie, assume in quest’ottica il significato di qualsiasi altra opinione, potendo virtualmente essere ignorato in caso confligga con un’istanza largamente condivisa, ancorché infondata.

L’Italia ha evidentemente bisogno di piani di protezione e di gestione del suo patrimonio naturalistico, un patrimonio di estremo interesse che potrebbe anche offrire opportunità di sviluppo economico; ma questi piani devono essere tracciati anzitutto sulla base del funzionamento degli ecosistemi e della biologia delle specie cui sono rivolti, con un occhio di riguardo alle attività umane che con esse si interfacciano, ma senza perdere di vista l’oggettività dei dati. E i dati dicono che il lupo in questo momento non è una specie problematica sul territorio italiano, a differenza di diverse altre, autoctone e no, per cui non sono previste, e talora apertamente osteggiate, politiche di contenimento. Non è chiaro il motivo di questo accanimento contro il lupo; probabilmente prende le mosse da una rivalità ancestrale tra le nostre specie, solo parzialmente risolta attraverso la domesticazione del cane, ma sicuramente è anche in gioco una sorta di braccio di ferro tra differenti maniere di fruire dell’ambiente naturale – un braccio di ferro che è compito delle istituzioni gestire in maniera equilibrata e scientificamente fondata.

Ultima modifica il Mercoledì, 24 Febbraio 2016 12:10
Beccai

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