Martedì, 23 Febbraio 2016 00:00

Al lupo al lupo

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Di Silvia D'Amato Avanzi e Joachim Langeneck

Al lupo al lupo

La proposta di un “piano di conservazione e gestione del lupo in Italia” da parte del Ministero dell’Ambiente si riflette in questi giorni in un acceso dibattito mediatico, con il moltiplicarsi di informazioni più o meno tendenziose e più o meno corrette sull’impatto del lupo nel territorio italiano e sulla necessità di misure gestionali. Diverse testate, soprattutto nelle edizioni locali, hanno dato spazio alle lamentazioni di allevatori il cui bestiame sarebbe stato colpito dai lupi; e, nell’allarmismo scandalistico per un presunto boom demografico di questi animali, non sono mancati titoli surreali come “Capriolo sbranato dai lupi”. L’apice è stato forse rappresentato da un servizio de “Le Iene” andato in onda il 16 febbraio scorso che, oltre ad amplificare le lamentele di singole persone timorose dei lupi, ha portato sullo schermo vere e proprie tecniche di bracconaggio, proponendole come “sistemi di difesa” dalle «migliaia di lupi» – secondo la trasmissione – che attaccano continuamente allevamenti e villaggi.
Ma quanto sono fondate queste polemiche? Quali sono gli effettivi termini del problema con il lupo?

Cominciamo dai numeri
Contrariamente a quanto molti sembrano credere, il lupo in Italia non è mai stato “reintridotto”. Dopo decenni di caccia indiscriminata che lo avevano cancellato da buona parte del suo areale, portandolo ai limiti dell’estinzione, a partire dagli anni ‘70 il lupo è stato oggetto di mirate strategie di conservazione e protezione che ne hanno permesso il ripopolamento; la ripresa della sua numerosità lo ha portato a riconquistare il proprio areale, tornando in zone da cui era scomparso – e nelle quali, spesso, di lui ci si era dimenticati. Negli anni ‘70 la popolazione era ridotta ad un centinaio di individui, concentrati nell’Appennino centro-meridionale; attualmente, secondo i dati di Mattioli et al. (2014), la presenza del Lupo in Italia è stimata attorno ai 1600-1900 individui in totale, distribuiti su un areale di presenza stabile di 74’000 chilometri quadrati lungo tutto l’Appennino e parte delle Alpi occidentali. Le grandi concentrazioni locali di lupi ventilate da “Le Iene” non sono in ogni caso possibili, poiché un branco singolo (raramente più grande di 6-7 individui, ma spesso ridotto anche a 3-4 secondo il Parco d'Abruzzo) occupa e difende stabilmente un territorio di 200-300 chilometri quadrati.

I lupi attaccano l’uomo?
No. Come riportato in uno studio studio curato da Large Carnivores Initiative for Europe, in Italia non si registrano attacchi ad esseri umani almeno dalla Seconda Guerra Mondiale; ma il progetto Life WolfAlps stima che non ne accadano da oltre centocinquanta anni. Il lupo, infatti, è un predatore carnivoro dalle strategie opportunistiche ed intelligenti, che non ha interesse a scontrarsi con l’uomo (anzi, è diffidente nei suoi confronti, identificandolo come una potenziale minaccia) né tantomeno a predarlo, avendo a disposizione abbondanza di prede più facili e meno pericolose in natura. L’attuale contesto sociale umano, con la tendenza ad organizzarci in gruppi numerosi e la progressiva sparizione dei nuclei isolati, inoltre, rende particolarmente improbabile il verificarsi di attacchi come quelli registrati nell’800, prevalentemente ai danni di persone (spesso ragazzini) da sole a guardia di bestiame al pascolo.

Gli attacchi agli allevamenti
L’accusa più diffusamente mossa al lupo è quella di colpire allevamenti, prevalentemente caprini e ovini, anche con episodi di overkill (l’uccisione di tutti i capi, indipendemente dalle eventuali necessità predatorie).
È vero che i lupi non disdegnano il bestiame domestico, che può costituire per loro un pasto molto facile; ma le loro prede principali rimangono gli ungulati selvatici (come cervidi, camosci, cinghiali). Perché siano tentati da un allevamento, quindi, devono essere spinti dalla mancanza di prede verso gli stabilimenti umani; oppure, gli allevamenti devono trovarsi particolarmente in prossimità dei territori dei lupi. Anche se per il singolo allevatore la perdita può essere molto pesante, il progetto Life WolfAlps riporta che quelle dovute ad attacchi dei lupi costituiscono una frazione irrilevante delle morti di bestiame da allevamento in Italia. In ogni caso, un lupo uccide solo quanto intende mangiare, uno o pochi più capi a seconda del tipo di animale (anche se per animali che tendono ad ammassarsi anziché fuggire, come le pecore, le perdite possono essere incidentalmente maggiori); le stesse battute di caccia di un branco di lupi si concentrano, con notevole coordinamento, su uno specifico animale per volta. Il lupo non può tendenzialmente essere ritenuto responsabile di “stragi di bestiame” evidentemente causate, quando non si tratta di notizie esagerate, da episodi di overkill.

Attacchi al bestiame incontrollati, in qualunque stagione, con tendenze di overkill, non rare aggressioni di umani sono piuttosto da attribuirsi a cani randagi e rinselvatichiti (ma quanti, oggi, sanno effettivamente distinguere un cane da un lupo?), anche riuniti in “branchi” forti della propria numerosità: si tratta di un fenomeno tanto sottovalutato quanto effettivamente pericoloso, poiché i cani, che contrariamente al lupo sono domesticati, non sanno organizzarsi in un vero e proprio branco per la caccia, bensì attaccano in gruppo senza coordinarsi uccidendo vasti numeri di animali e mangiandone solo una parte. Secondo il materiale del Parco Nazionale d’Abruzzo, cani randagi e rinselvatichiti sono responsabili dell’80% degli attacchi al bestiame domestico in Italia. L’erratismo canino costituisce inoltre una minaccia per una varietà di specie selvatiche, incluso il lupo, che con il cane selvatico compete per le risorse ambientali e si accoppia, ibridandosi (si tratta della stessa specie) e così indebolendone l’integrità genetica.
Alla radice del randagismo dei cani c’è la responsabilità umana, da riconoscere e affrontare seriamente: i cani randagi sono cani abbandonati dai padroni, oppure fuggiti a padroni che li maltrattavano incoraggiandone un comportamento aggressivo. I cani randagi si riproducono, generando cani rinselvatichiti, che non hanno mai avuto contatto con umani e hanno quindi meno esitazioni nell’attaccarli.

Il grilletto facile
Dopo decenni di quasi assenza del lupo dale nostre montagne, è abbastanza comprensibile che la prima risposta immaginata da chi lo teme sia sparare, o contare che qualcuno della zona spari: la soluzione più facile nonché la più economica, seguita a breve distanza dai bocconi avvelenati. Questa non è però una soluzione. Il lupo è un animale selvatico che non può essere educato a “temere l’uomo”, come tanti intervistati e opinionisti vorrebbero; il lupo non ha mai temuto l’uomo in termini di scontro diretto, ne è sempre stato diffidente, tenendosene sostanzialmente alla larga; al massimo, come detto sopra, è semplicemente scomparso a causa di caccia e bracconaggio. Un allevamento situato nell’areale del lupo deve piuttosto tenere conto della sua presenza, così come normalmente tiene conto di una varietà di fattori esterni potenzialmente negativi (a partire dal clima), con opportune misure preventive. Recinzioni elettrificate in cui rinchiudere le greggi, specie di notte, e cani da guardiania ben addestrati sono strumenti molto efficaci nella dissuasione di attacchi dei lupi; e sono costantemente suggeriti da tutti gli esperti. Ulteriori sistemi di dissuasione acustici e ottici sono allo studio.

In caso di incontro con un lupo
Visto che nel degenerare di allarmismi per il ritorno del lupo non sono mancati i timori di attacco diretto ad esseri umani, è bene chiarire anzitutto che non è facile incontrare i lupi, naturalmente diffidenti nei confronti degli umani; tuttavia, può capitare che individui più giovani, la curiosità che prevale sulla diffidenza, si avvicinino. In caso di incontro con un lupo, non bisogna fare altro che aspettare che fugga da solo, evitando di seguirlo; fare rumore e agitare le braccia può sollecitarne la fuga, o in generale allontanare eventuali lupi nelle vicinanze.
Se avete la fortuna di avvistare un lupo in lontananza, osservatelo in silenzio finché potete; godetevi la sua bellezza, messa a rischio dalla comodità dell’ignoranza e della sbrigatività con cui trattiamo la natura intorno a noi e le notizie che la riguardano. Poi segnalate i dettagli dell’avvistamento all’ente locale di competenza, contribuendo così al monitoraggio, fondamentale anche per una corretta informazione.

 

Ultima modifica il Martedì, 23 Febbraio 2016 11:08
Beccai

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