Vengono infatti richiesti infiniti step formativi, spesso superflui e in determinate situazioni, importati per il famigerato curriculum vitae di ogni individuo.
Tra gli altri, uno dei settori oberati da questo modello che impone corsi ed ancora corsi, master e dottorati vari, uno dei primi posti spetta sicuramente al mondo dei beni culturali.
Ricapitolando, ad oggi, per diventare professionista dei beni culturali potenzialmente appetibile sul mercato, con un "pedigree" di tutto rispetto e "dirigenzialmente" completo, occorrono circa 10 anni di cursus honorum.
Una infinità, se pensiamo poi alle prospettive medie lavorative di chi decide di intraprendere un percorso così tortuoso, senza contare la spesa economica che ogni individuo deve sostenere per il raggiungimento progressivo dei suoi obiettivi formativi.
Il dedalo formativo, da pochissimi giorni, può "vantare" un ulteriore step creato a tavolino e nel silenzio più assoluto. Partorita dal Mibact, la cosiddetta Scuola del Patrimonio (che in origine voleva essere un riferimento esplicito all'Institut national du patrimoine francese) "arricchirà" il percorso di tante e tanti vorranno cimentarsi con l'idea di poter lavorare per lo Stato e il proprio Patrimonio.
Analizzando nello specifico la scelta fatta dal Ministero, non si capisce per quale motivo ad esempio la creazione di un "corso" che costerà 3,5 milioni di euro l'anno, a fronte di soli 10 milioni circa stanziati per la ben più importante tutela dei nostri beni culturali.
Non si riesce a comprendere perché 18 individui scelti tramite una selezione (?) e già in possesso dei titoli post lauream dovrebbero lavorare gratis per un anno ed in cambio ricevere un altro inutile anno di formazione. Inutile? Alla luce della non validità del titolo stesso pare un carico di studio (e lavoro) veramente insensato.
Ma come siamo arrivati a tutto questo? Forse qualcuno è allergico ai concorsi, iter fondamentale per accedere alla P.A. e crea strade cooptative per altre persone?
Certo il caso di Pompei di un mese fa circa lascia perplessi e in un certo senso fa riflettere molto.
Riassumendo; all'interno della legge di stabilità votata alla fine del 2017, è stata inserita con una manovra, eufemisticamente, poco trasparente.
La commissione bilancio della Camera dei Deputati, all'interno del pacchetto emendamenti cultura, infatti, approvò in quel caso una norma che consentiva di fatto la stabilizzazione della segreteria tecnica pompeiana. Circa 500mila euro annui dal 2018 in poi, per stabilizzare di fatto dei precari iperspecializzati, bypassando ad esempio gli esiti di un concorso voluto dal Ministero stesso e legato all'assunzione di 500 funzionari nei beni culturali (iter concorsuale cominciato nel Luglio 2016 e terminato pochi mesi fa).
L'instaurarsi di dinamiche del genere, unita a una iper formazione volutamente selezionata secondo criteri ad uso e consumo delle governance.
Forse è bene ricordare che "agli impieghi (pubblici) si accede mediante concorsi o altre procedure selettive, nel rispetto dei principi di pubblicità, imparzialità ed efficienza. Semplicemente l'articolo 107 della Costituzione. Un passaggio che mira alla formazione di classe dirigente al servizio della collettività e non scelta dalla volontà amministrativa di turno.
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