Sembra una storia “ strana” che la maggioranza delle lavoratrici si organizzino da sole in maniera indipendente, si informano e si formano, fino a rifiutare un presunto contratto di solidarietà proposto dalla triade confederale complice. Un contratto di solidarietà che serviva a discriminare le lavoratrici storiche che sono passate in dieci anni attraverso la privatizzazione sostanziale con la fondazione (prima era una IPAB pubblica sotto controllo comunale), attuazione del contratto UNEBA con perdita di diritti e soldi, un prestito concesso alla fondazione mai restituito ed infine costrette a vivere in un ambiente in cui il terrore nei confronti della direzione le pone a forte rischio di crisi personali. Ci sono lavoratrici che vengono messe a guardia della fatiscente vecchia struttura, adibita a uso ricreativo per gli scout locali, da usare una tantum!!
Sembra “strano” che una fondazione in mano alla chiesa, che non perde occasione, a livello diocesano per bocca del Vescovo Mattiazzo, per sostenere il sostegno alla famiglie in crisi, non si faccia scrupoli a lasciale a casa 99 persone che sostengono con il loro duro lavoro ( sono tutte operatrici socio-sanitarie quelle in esubero) la famiglia.
Sembra “strano” parlare di crisi per una struttura che ha tutti i letti occupati, con le rette pagate anche coi contributi regionali, che ha ottenuto copiosi contributi pubblici per la costruzione di una nuova struttura.
Spesso tutto questo porta i lavoratori a cedere ed a farsi gabbare da chi per molto anni li ha pilotati, dicendo di sostenerli, verso ogni tipo di accordo andasse incontro alle esigenze padronali, ma questa volta non è successo.
Da sole, un bel gruppo di loro, agguerrite, con la consapevolezza di non poter perdere di più iniziano, in forma associativa, ad organizzarsi anche perché non si fidano dei sindacati ( che si dividono i ruoli, la UIL fa la parte “rivoluzionaria”!) confederali, che apre un confronto chiaro, ma senza vincoli a USB, portatore della solidarietà di altri lavoratori nel mezzo della campagna sulle IPAB venete al centro della azione sindacale regionale del momento.
Raccolgono documentazione, studiano, si formano, cominciano ad usare i social-network come mezzo di propaganda, aprono canali istituzionali e politici in autonomia ( scoprendo poi sulla propria pelle i politici opportunisti e quelli più sinceramente legati al problema) , si confrontano coi parenti degli ospiti, quasi tutti non auto-sufficienti, della struttura, con la cittadinanza locale e con le istituzioni ad ogni livello.
Dopo il rifiuto del famigerato contratto di solidarietà, comincia un rapporto stretto con USB che fornisce il sostegno sindacale alla vicenda, perché si rendono conto che la sola auto-organizzazione non serve e perché della loro associazione vogliono anche fare altro, come occuparsi delle emergenze sociosanitarie della zona.
La lotta si fa ancora più dura, con un irrigidimento ulteriore da parte della curia e del CDA della fondazione, con la completa sparizione dei confederali, “licenziati” in blocco dalle lavoratrici e ben attenti a non farsi coinvolgere ulteriormente.
Ora siamo nel bel mezzo dello stato di agitazione sindacale, con una manifestazione che assumerà varie forme ( dal volantinaggio alla assemblea coi compagni del S. Raffaele di Milano, vicenda con cui condividono molte analogie), la cittadinanza locale dimostra solidarietà ( 128 firme raccolte in meno di due ore in un freddissimo sabato mattina al mercato), la politica istituzionale rimane spaccata dopo l'audizione al consiglio regionale, sulla proposta di commisariare la struttura ( che non ha grosse perdite, ma solo grossi mutui garantiti dalla regione), come suggerito da una stessa relazione regionale, per poi affidarla ad una direzione di IPAB locale, primo passaggio per una ripubblicizzazione del tutto, unica soluzione , per poi poter migliorare contratti ( magari arrivando ad accedere al contratto sanità, visto che quello si fa in una RSA oramai.) e condizioni di lavoro.
Ovviamente sarà una lotta durissima, senza esclusione di colpi da parte del padronato e della politica, che non vuole intervenire, per non rovinare gli equilibri e rischiare di andare in contro tendenza rispetto agli ultimi 20 anni.
Non so se riusciremo nell'impresa, spero che si arrivi ad una solidarietà nazionale su questa lotta, perché la lotta di lavoratrici che curano i nostri anziani, che portano un contributo al benessere di altri, che sono parte integrante del territorio in cui vivono, deve diventare la lotta di tutti.
Immagine tratta dalla pagina Facebook delle Lavoratrici di Tecla