Difficile perchè i dubbi personali sulla riuscita politica di coniugare una due giorni di lotte sul lavoro e di lotta per i diritti negati, erano tanti e su tutto aleggiava il ricordo del fallimento e della spaccatura del 14 dicembre, ben più forte di quello del 15 ottobre, pur se tutti ricordano con ansia il secondo episodio.
Succede, di rimanere piacevolmente sorpresi di arrivare in piazza della Repubblica il venerdì e percepire una energia ed una atmosfera diversa, un clima di lotta comune, pur tra sigle e compagni con storie anche di conflitto. Succede di scoprire che parlare di sindacato militante, sindacato che va oltre le vertenze, ma si occupa di politica sindacale a tutto tondo, contestando i modelli confederali di complicità in cambio di garanzie del mantenimento del sistema clientelare, comincia a fare breccia tra i lavoratori che subiscono le conseguenze di una ristrutturazione sociale pienamente inserita in una lotta di classe in cui i proletari perdono.
Succede di arrivare in tanti al comizio finale in Piazza San Giovanni, si riconquista un luogo simbolico, ridotto a simulacro di lotta dal finto concertone dei confederali del 1 Maggio, passato a ennesima arma di distrazione di massa, mentre i segretari andavano a braccetto con il padronato. Il Concerto serale, con artisti militanti, certifica la ripresa simbolica di questa piazza ed apre ad una occupazione notturna fatta di confronto, di fermento, di energia che si prepara al secondo giorno di lotta.
Il sabato il corteo si riforma, colorato, duro, pieno di gente incazzata, deciso, senza mezze misure e senza mediazioni. Appaiono quasi spaesati i compagni del PRC che sono pochi rispetto alla capacità di mobilitazione del sabato prima, che prendono la coda del corteo. Un segnale che il PRC non ci credeva troppo a questa due giorni, pur essendo l’unica forza politica organizzata, non settaria, presente. Un corteo che apre con il movimento alla casa, che richiede diritti concreti ed azioni immediate di risposta, un corteo che stenta a partire per quanto si ingrossa, un corteo che si dota di un servizio d'ordine di altri tempi, per impedire pericolose infiltrazioni e provocazioni costruite ad arte, un corteo che inizia a manifestare sapendo di dover passare di fronte a obiettivi politici (il ministero dell’economia e quello delle infrastrutture) difesi in maniera pesante e per cui una parte della stampa spera in una nuova Genova (parole di un giornalista presente ai margini).
La parole d'ordine scandite sono parole di lotta, espressioni dei mille conflitti aperti in un paese devastato dalla crisi del sistema capitalista, che sfrutta il 99% della popolazione. Non sono parole rivolte ad una casta sola, quella politica-dirigenziale, che esegue le operazioni sporche dettate da altri, ma sono parole di lotta di classe, verso un sistema che usa l'utopia ed il sogno di un europa unità nella pace e di una unità dei popoli, per sostenere trattati economici capestro, che favoriscono i capitalisti, che puntano a sostituire la guerra come mezzo di impoverimento generale e che attaccano i diritti fondamentali ( scuola. Sanità, beni comuni compreso il territorio), per renderli diritti commerciali e commerciabili in borsa.
In un corteo di questo tipo svetta lo spezzone dei migranti, finalmente autogestito senza padrini che li usano al bisogno, che sono anima più rivoluzionaria , più razionale ed energetica della manifestazione, compagni da cui imparare, quando si trovano le mille scuse quotidiane per svicolare la militanza. Alla fine inizia l'assedio dopo qualche momento di tensione dovuto ai provocatori fascisti di Casa Pound e una scaramuccia più per la frustrazione della GDF in via XX settembre che per motivi di ordine pubblico.
Assedio al ministero delle infrastrutture con una forza di polizia bloccate dai rapporti di forza, con compagni che fanno azioni dimostrative, ragazzi e ragazze che decidono di rendere pratico il desiderio comune di sollevazione e rivoluzione e si assumono una responsabilità nel farlo senza bruciare auto a caso.
Proprio aver deciso di assediare obiettivi politici reali, senza fare vaffa day a Genova ben lontano dai palazzi del potere come succederà ai pentastellati grillini, rappresenta la più grande conquista, che trova d'accordo anche quella maggioranza silente e pigra che vorrebbe farlo e che non condanna questi atti,a differenza del 15 ottobre, ma anzi che li vede come l'inizio che qualcosa sta cambiando, che qualcosa è in movimento, ora spetta a noi non sprecare l’occasione.
Foto di Davide Barbera