Un risultato inaspettato, quello dello spezzino acquisito Toti, che ha dimostrato, in un mare di disaffezione degli elettori dal voto (poco sopra il 50% l'affluenza, in calo di dieci punti) una capacità di mobilitazione del proprio elettorato e di raccolta del malcontento presente in regione.
Malcontento raccolto in misura anch'essa oltre alle aspettative dalla candidata pentastellata, la carneade dallo splendido sorriso Alice Salvatore, che con il 25% tallona da vicino Raffaella Paita insidiando all'ex centro-sinistra persino il secondo posto.
Più staccato, e sotto i risultati dei sondaggi, il civatiano Luca Pastorino, leader, giunto con estremo ritardo, della coalizione della sinistra, che, con quasi il 10%, dei voti conferma l'esistenza di uno spazio politico a sinistra del PD non residuale, perlomeno in Liguria.
Risultato inferiore al punto percentuale per Antonio Bruno, candidato di un pezzo del percorso nazionale che fa riferimento alla lista L'Altra Europa (ma senza SEL e PRC).
Le prime parole di Raffaella Paita (che parla di “disegno cinico di Pastorino, Civati e Cofferati”) intendono sostenere il verificarsi di una intelligenza col nemico di un pezzo della vecchia coalizione tutto volto a danneggiare il Partito Democratico, quasi che tale partito fosse il sole attorno a cui tutto il sistema dei pianeti ruota. Parole comprensibilmente cariche di livore, e non nuove per chi ha seguito gli eventi liguri di questi mesi, che si caratterizzano per una mancata apertura di riflessione rispetto ad una sconfitta che appare clamorosa per vari fattori locali e nazionali.
In primo luogo, facendo un raffronto tra queste consultazioni e le precedenti, oltre al dato impressionante sull'astensionismo, dato che dovrebbe far riflettere il principale azionista della maggioranza uscente in consiglio regionale, si evidenzia un vero e proprio crollo della coalizione di centro-sinistra che cinque anni fa si era affermata con il 52% dei voti. A questo dato andrebbe sottratto il risultato dell'UDC (inferiore al 4% nel 2010) che questa volta, nell'ambito di Area Popolare, era alleata di Toti, una sottrazione che però, sul fronte moderato avrebbero dovuto essere compensata dai consensi provenienti da settori del centro-destra ad una delle due liste in appoggio al PD.
Questo crollo numerico, che nemmeno la percentuale ottenuta dalla sinistra riesce a spiegare, finito con ogni probabilità ad ingrossare le fila di astensione e grillismo, suggerirebbe da parte del PD una maggiore analisi sulla insoddisfazione accumulatasi in particolar modo nell'ultimo mandato di Claudio Burlando per le note vicende legate al dissesto idrogeologico, un problema sicuramente non imputabile agli ultimi cinque – o dieci – anni di governo della Regione ma che, per parte importante dell'elettorato di centro-sinistra, ha delle responsabilità da individuarsi nell'ultima guida di piazza De Ferrari.
La fragilità del territorio ligure si è poi sommata alla fragilità della sua economia, duramente colpita dalla crisi è stata l'occupazione, in particolar modo quella giovanile, in una Regione, un tempo, cuore industriale dell'Italia nord-occidentale. Ai fattori di ordine locale sembra essersi sommata una insoddisfazione di carattere nazionale di parte consistente del “popolo di centro-sinistra” verso la direzione intrapresa dal Partito Democratico. Le primarie pesantemente condizionate da esponenti di centro-destra, le politiche del governo in tema di lavoro, ed in ultimo sulla scuola, hanno convinto tanta parte di quel popolo a voltare le spalle alla “ditta”. Non sono infatti bastati due mesi di campagna elettorale condotti rispolverando il vecchissimo tema dell'antiberlusconismo (tema che tre governi di larghe intese consecutivi sembravano aver seppellito per gli inquilini del Nazzareno), del voto utile contro “l'uomo nero”, i furenti richiami all'ordine dei bersaniani locali e nazionali, a convincere non soltanto molti semplici elettori, ma persino l'assessore uscente alla Sanità Claudio Montaldo, a sostenere Raffaella Paita.
Il Partito Democratico, perde, con consapevolezza, pezzi alla sua sinistra, senza riuscire a sfondare, nonostante una certa spregiudicatezza, nell'elettorato di centro-destra. Ciò nonostante incolpa la sua sinistra del gravissimo delitto di essere ciò che è (per l'appunto la sinistra) e di non voler accettare usi obbedir tacendo politiche di destra che, oltre a snaturare il centro-sinistra fino a farlo sparire concettualmente, non aiutano nemmeno ad allargarne i tradizionali confini numerici. Pur tenendo conto del dato ineludibile dei voti assoluti, che sempre per chi milita a sinistra debbono essere un cruccio non formale, le urne liguri (ma anche quelle toscane, e potrebbe sembrare paradossale, ma qualora la sinistra conquistasse, a differenza del 2010, un seggio, anche quelle campane) aprono uno spazio a sinistra, indicano la possibilità di un cammino, irto di ostacoli ma non impossibile da percorrere, con spirito unitario, con personale politico meno usurato, con capacità anche di allearsi e governare (penso all'Umbria) ove si ritenga che le condizioni lo consentano. Il voto ligure è un piede che tiene aperta la porta impedendo che si chiuda, che poi si spalanchi è altro affare.
foto da primocanale.it