Sono immagini e voci, quelle che giungono da Amatrice, Pescara del Tronto, Accumuli, che fanno venire in mente quelle di tante altre tragedie vissute dai nostri martoriati territori. Sono tragedie che ho avuto la fortuna, perché di questo si tratta, di aver vissuto solamente di striscio, da “esterno”, e che aiutano probabilmente a ricondurre ad una dimensione più modesta i nostri miseri dolori quotidiani, anche quelli che sembrano - o sono, qualcuno può esserlo - insormontabili.
Ricordo la scossa delle nove del mattino del 29 maggio a Cavezzo, ricordo di non aver capito subito ciò che stava succedendo. Stavo per girarmi per dire a chi in quel momento guidava perché cazzo zigzagasse per strada, che se c'erano delle buche poteva andarci piano sopra. Ma non erano buche, e non era la macchina a muoversi: era la strada. Il caso, perché di questo si tratta, ha voluto che non fossimo arrivati a parcheggiare lì dove volevamo parcheggiare e dove ci saremmo trovati, fossimo partiti trenta o cinquanta secondi prima, sotto un palazzo. Ricordo nell'immediatezza, mentre con un nastro che il previdente Giuseppe aveva in camper si bloccava la strada, di una macchina che a velocità incredibile sbatté contro un'altra parcheggiata e di bestemmie irriferibili subito dopo; ricordo di un signore, forse mezz'ora dopo la scossa che avvicinandosi, in bicicletta, disse “forse c'è mia moglie sotto un capannone, a chi devo chiedere?”, e ricordo che non ho saputo, per qualche interminabile secondo, cosa rispondere. E vengono in mente anche altre immagini, di chi, questa volta in Liguria, dopo l'alluvione non faceva altro che bere, e gli avresti dato ancora del vino tu, perché quando si sta male forse non è poi così sbagliato esagerare con l'alcol.
Sono storie di dolore che guardi da fuori, che hai la fortuna di guardare da fuori e che fai fatica financo a comprendere nella loro semplice enormità. Sono storie di gente che per anni dormirà vestita o non dormirà mai più sotto il cemento preferendo una casa di legno.
Sono immagini però che non possiamo più tollerare di vedere periodicamente, ogni tot anni, come le olimpiadi. Sono immagini, volti, storie, che ci dicono che un ospedale o una scuola non possono crollare, non completamente, non subito, quantomeno. Sono immagini, volti e storie che ci dicono della necessità di un fondo strutturale (e grande, per miliardi di euro) che possa contare su una fonte di approvvigionamento certa (l'IVA, la benzina, il gioco d'azzardo, l'IMU sulla prima casa o tutte e quattro queste cose insieme) e che sia speso per la messa in sicurezza del patrimonio edilizio esistente. Sono cose che, almeno a sinistra, si sono ripetute fino alla noia, ma che non hanno mai avuto la forza di imporsi come uno dei primi temi nazionali (insieme alla sicurezza sui trasporti e al welfare).
Interventi di manutenzione, di messa in sicurezza del territorio dai rischi sismici ed idrogeologici, sarebbero capaci di creare un economia virtuosa, posti di lavoro e, soprattutto, di smettere di contare i morti, di smettere di vedere le pacche sulle spalle e le promesse di ricostruzioni rapide che saranno invece eterne e, se non vi sarà vigilanza, fatte anche male.
Solo la politica può fermare i riti dei funerali collettivi, solo la presa di coscienza da parte del Paese del problema sismico può spingere il parlamento a non sottovalutare il problema una volta che le ultime lacrime si saranno asciugate.