L'incontro di lunedì 15 dicembre al CLE di Torino con relatori Giorgio Gattei (docente di Storia del pensiero economico, Unibo) ed Enrico Vigna (del Centro Iniziative per la Verità e la Giustizia, CIVG), promosso da Noi Restiamo Torino, Rete dei Comunisti Torino, Giovani Comunisti e La classe, è stato soprattutto una preziosa rassegna sull'imperialismo, eruzione della peggior putrescenza capitalistica sfociata un secolo fa nel più sanguinoso conflitto della storia umana.
Premessa. Le periferie metropolitane in Europa e in Italia
Come si è potuto vedere dai recenti fatti di Tor Sapienza e dalle ancor più recenti tensioni nei quartieri popolari milanesi, le periferie delle città metropolitane sono il nucleo di un malessere crescente sempre più difficile da arginare, ormai anche in Italia. Infatti, se nelle grandi metropoli europee la situazione negli anni scorsi è spesso sfociata in riots (nell'agosto del 2011 nelle periferie inglesi ci furono 5 morti e 4000 arresti su 15000 partecipanti, mentre nel 2005 i disordini nelle banlieus francesi coinvolsero ben 300 città portando ai più estesi disordini dopo quelli del celebre maggio '68), in Italia era rimasta sotto controllo. Tuttavia, le periferie restano una realtà magmatica e difficilmente codificabile, le stesse rivolte di massa si innescano in seguito a fatti che generano una risposta emotiva più che razionale nei protestanti (l'uccisione di giovani immigrati da parte delle forze di polizia ha dato il via alle rivolte di cui sopra).
Il rapporto “Nunca más”, pubblicato in seguito alla caduta dei regimi militari sudamericani, rivelò il vasto fenomeno che prevedeva il sequestro, l'arresto, i processi sommari, le torture, i campi di concentramento, gli assassini e l'occultamento delle salme di coloro che venivano identificati come oppositori politici dalle forze di polizia dei regimi militari. Tale fenomeno è universalmente riconosciuto come crimine contro l'umanità dall'articolo 7 dello Statuto di Roma del 17 luglio 1988 e dalla risoluzione delle Nazioni Unite n. 47/133 del 18 dicembre 1992.
In Messico, lo scorso 26 settembre gli studenti della Normal Rural di Ayotzinapa, giudicata dallo Stato federale “un esempio improduttivo e fortemente socialista”, sono stati attaccati in un agguato teso da agenti di polizia e sicari legati all’organizzazione criminale denominata Guerreros Unidos.
Nonostante la grande manifestazione del 13 settembre a Piacenza, organizzata dal Si Cobas per il reintegro dei lavoratori licenziati dall'Ikea con 16 pullman venuti da Napoli, Milano, Bologna, Roma, Torino, Brescia, Como, Genova, Ancona, Modena per dire che "Se toccano uno toccano tutti", i licenziamenti politici sono proseguiti.
Parlare delle condizioni in cui versa il vecchio continente oggi è possibile solo facendo la dovuta premessa: siamo in una fase ampiamente post-democratica, in cui le élite economiche hanno ormai preso largamente il sopravvento su di una cittadinanza frastornata che si dibatte tra l'apatia politica e i rigurgiti populisti, che alterna il consenso sottomesso alla logica delle élite all'insoddisfazione permanente verso la classe politica. Sono tutte sfaccettature di un fenomeno complesso che occorre studiare, per cambiare, e che quando non crea strane forme di Sindrome di Stoccolma amplia comunque a dismisura la sterilità del dissenso politico.
“Eppure niente sembra cambiare, quand'è che ci lasceranno in pace/ C'è la guerra nelle strade e la guerra in Medio Oriente/ Invece di combattere la povertà combattono le droghe/ Così la polizia può venire a scocciare me/ Che non ho mai commesso un crimine senza essere costretto a farlo”
Così Tupac Amaru Shakur in “Changes” descriveva la propria vita, i propri rapporti sociali e con la legge a Harlem, ghetto degli afro-americani a New York dove passò la sua prima adolescenza con la madre Afeni Shakur.
Mentre l'ennesima tragedia si consumava nel Canale di Sicilia, il rieletto alla carica di Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz durante il suo discorso inaugurale rinnovava l'invito alla visita per Papa Francesco, il quale per il momento, prudentemente, evita di rispondere.
Se è piuttosto difficile capire la protesta di un Buonanno qualsiasi che richiede di riportare al centro le radici cattoliche dell'Europa proprio nel giorno in cui si rinnova l'invito al Papa nella sede rappresentativa della medesima, è molto più semplice e comprensibile il ruolo che le istituzioni intendono giocare davanti all'ondata di disperazione in arrivo dal mare. Il fatto che questo ruolo sia dettato dal “comunicatore europeo dell'anno” (premio conferito a Francesco dal Parlamento europeo nel 2013) è solo una consequenzialità scontata, deve aver fatto risparmiare molto in relazioni pubbliche i governanti così austeri.
Mentre l'ennesima tragedia si consumava nel Canale di Sicilia, il rieletto alla carica di Presidente del Parlamento europeo Martin Schulz durante il suo discorso inaugurale rinnovava l'invito alla visita per Papa Francesco, il quale per il momento, prudentemente, evita di rispondere.
Se è piuttosto difficile capire la protesta di un Buonanno qualsiasi che richiede di riportare al centro le radici cattoliche dell'Europa proprio nel giorno in cui si rinnova l'invito al Papa nella sede rappresentativa della medesima, è molto più semplice e comprensibile il ruolo che le istituzioni intendono giocare davanti all'ondata di disperazione in arrivo dal mare. Il fatto che questo ruolo sia dettato dal “comunicatore europeo dell'anno” (premio conferito a Francesco dal Parlamento europeo nel 2013) è solo una consequenzialità scontata, deve aver fatto risparmiare molto in relazioni pubbliche i governanti così austeri.
Tra le tante menzogne che ci vengono propinate dai media e fatte ingoiare a forza dalle nuove narrazioni che hanno acquistato ampia risonanza anche nei comitati scientifici, senza dubbio quella più grave è che la lotta di classe costituirebbe ormai un rottame novecentesco inapplicabile qui e ora.
La “new economy”, “il progresso tecnologico”, “la terziarizzazione” avrebbero dovuto spianare la strada alla tanto agognata e mai raggiunta eliminazione della classe operaia. In modo silenzioso e il più indolore possibile il soggetto che avrebbe dovuto muovere la storia a un certo punto è stato fatto fuori anche dal campo delle ipotesi scientificamente accreditate. Queste erano le promesse: niente più classi, niente più lotta, niente più guerra e pace per tutti, la ormai celebre “fine della storia” per l'appunto (nella versione aggiornata pare che si includa pure il niente più fascismo, ergo niente più antifascismo, basta crederci).
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Parte II - Immigrazione intraeuropea, ossia quella italiana nel decantato “paradiso” tedesco
Come ricordava V. Parlato (curatore assieme a F. De Felice de La Questione Meridionale per gli Editori Riuniti nel 1974) in un corsivo per la Fondazione Pintor il 21 giugno 2013: “È con l’unificazione e la moneta unica e l’abbattimento delle barriere doganali che la questione meridionale si apre e si aggrava il degrado del Sud. Ora con l’attuale unificazione dell’Europa siamo al peggio: c’è la moneta unica, tutte le difese doganali sono state abbattute, la libertà di commercio è assoluta e non c’è neppure uno stato unitario che possa fare una politica di riequilibrio. In questo nuovo contesto l’Italia è diventata il Mezzogiorno d’Europa. La questione meridionale siamo noi, Italia e - a peggiorare la situazione - non c’è uno stato europeo che possa progettare una specie di Cassa del Mezzogiorno per il nostro paese.
La questione poi non coinvolge solo l’Italia ma anche la Grecia, la Spagna, il Portogallo e neppure la Francia se la cava tanto bene”.
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