Il governo messicano, dopo aver tentato con una riforma educativa appoggiata da tutti i partiti politici, di chiudere la scuola di Ayotzinapa è passato alle maniere forti: il presunto furto di un autoveicolo ha concesso l'espediente per l'azione repressiva. Ma le violenze erano già in atto, poiché la manifestazione per la celebrazione del 46esimo anniversario del massacro di Tlatelolco (il 2 ottobre 1968, 300 giovani vennero uccisi a pochi giorni dalla cerimonia d’inaugurazione delle Olimpiadi di Città del Messico) veniva sedata aprendo il fuoco sulla folla: 3 autobus crivellati di colpi, 6 morti ammazzati e 43 scomparsi il triste bilancio finale. La rivendicazione dell’istruzione per i ceti più disagiati e la contestazione delle misure discriminatorie in favore degli istituti delle città sono state considerate inaccettabili dal governo che, appoggiandosi alla criminalità organizzata, ha compiuto il massacro: i 24 cadaveri ritrovati nelle varie fosse comuni dei narcotrafficanti apparterrebbero agli studenti, ma le identificazioni procedono a rilento e le fosse comuni e i corpi bruciati aprirebbero un vaso di Pandora che potrebbe vedere schizzare in alto il numero di “desaparecidos” messicani, portandolo ad un numero più elevato di quello finora preventivato e circoscritto ai soli coinvolti nelle indagini (vedi qui). Amnesty International e Human Right Watch per il momento hanno espresso seri dubbi sulla serietà delle ricerche dei normalisti messe in campo dal governo centrale, tirando in ballo la stessa figura del Presidente Peña Nieto, rimasto passivo finché la crescente pressione internazionale e dell’opinione pubblica non l'hanno costretto a un intervento di facciata e tardivo.
Nel frattempo la comunità messicana è scesa in piazza con la giornata di mobilitazione nazionale dell’8 ottobre, durante la quale, in tutto il Messico si è manifestata la solidarietà ai compagni e ai genitori dei 43 studenti normalisti scomparsi lo scorso 26 settembre.
Altre manifestazioni di solidarietà internazionale sono in programma in questi giorni, anche in Italia.
È appena il caso di sottolineare che quello che abbiamo di fronte è il primo caso di “desaparecidos” avvenuto in un paese che formalmente, secondo i canoni occidentali di democrazia, non è catalogabile come “regime autoritario”. Infatti il Messico, secondo Freedom House (vedi qui), risulta ancora un paese “parzialmente libero”, seppur in costante peggioramento democratico. D'altra parte non accorgersi della deriva autoritaria in Messico sarebbe praticamente impossibile anche per i liberali, nonostante vi siano sinceri movimenti politici democratici di fatto costretti alla clandestinità in uno Stato, il Messico, ancora rientrante nell'empireo di “paese libero” a “democrazia elettorale”.
Questo dato di fatto, oltre a dimostrare la fallacia di certe interpretazioni, inevitabilmente dovrebbe portarci a confermare l'attualità del progetto dell'Ezln in Messico: il capitalismo degenerato in un sistema di rendite che alimentano le diseguaglianze (il Messico è il paese col più alto indice di Gini tra i paesi Ocse) vive e si alimenta sui legami mafiosi (evidenti nel caso del narcotraffico messicano, più latenti in altre economie mafiose); parallelamente l'impossibilità della partecipazione politica in un sistema inevitabilmente corrotto alla fonte e la necessità di un cambiamento sistemico rivoluzionario che parta dalla società, ormai totalmente scissa dalla politica ufficiale, risulta come logica conseguenza.
Non è un caso che le prime comunità scese in piazza a protestare per la carneficina compiuta siano state proprio le comunità de la Sexta zapatista, le quali sono riuscite a condensare a Città del Messico quasi centomila persone tra cui gli studenti delle altre scuole normali rurali del resto del Paese, la CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores Educación), il sindacato degli elettricisti, delegati della Tribú Yaqui, il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco, il Frente Popular Francisco Villa Independiente e svariate organizzazioni e collettivi. Il celebre “¡Ya Basta!” questa volta era accompagnato dalle grida di solidarietà verso gli studenti rapiti e uccisi: “Ayotzinapa somos todos” e “no están solos”.
Un grido di solidarietà che è un avvertimento ai poteri oligarchici che stringono il popolo messicano in una stretta sempre più feroce di militarizzazione e repressione brutale del dissenso.
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