Mercoledì, 20 Agosto 2014 00:00

La repressione di Ferguson come soluzione obbligata

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Eppure niente sembra cambiare, quand'è che ci lasceranno in pace/ C'è la guerra nelle strade e la guerra in Medio Oriente/ Invece di combattere la povertà combattono le droghe/ Così la polizia può venire a scocciare me/ Che non ho mai commesso un crimine senza essere costretto a farlo
Così Tupac Amaru Shakur in “Changes” descriveva la propria vita, i propri rapporti sociali e con la legge a Harlem, ghetto degli afro-americani a New York dove passò la sua prima adolescenza con la madre Afeni Shakur.

L'attualità ci riporta ai contesti metropolitani in cui i riot per le violenze delle forze dell'ordine preoccupano sempre di più la politica, affannata ad arginarli, anziché impegnata a risolverne le cause. L'ultimo riot in ordine di tempo sembra però avere i connotati di qualcosa di più profondo, poiché tocca nervi scoperti del sistema di potere americano, così il punto nevralgico della gestione dell'ordine pubblico fa riemergere molti argomenti nascosti alle cronache.

Siamo a Ferguson, sobborgo di St. Louis, l'area metropolitana più estesa dell’ultimo stato ad abolire la schiavitù, il Missouri. I fatti sono tristemente noti alle cronache: un ragazzino nero ucciso da un agente di polizia con sei colpi di pistola, sparati mentre era a pochi passi dalla casa di sua nonna. Le dinamiche e i dettagli della vicenda, a distanza di dieci giorni, non sono ancora chiari, ma ciò che invece risulta chiaro è il fuoco che tutti, Presidente Obama in testa, stanno cercando di spegnere. Le voci della protesta montata da quel 9 agosto in poi hanno portato in poco tempo la notizia a fare il giro del mondo, richiamando tematiche sociali che sono venute alla ribalta con naturalezza, come trasportate da un'insurrezione che chiedeva l'esatto opposto di ciò a cui si è indotti a pensare: più sicurezza, meno controllo sociale e assolutamente nessuna repressione.

La reazione politica è stata invece incerta, a tratti scomposta, ma sempre determinata alla sordità verso le rivendicazioni: passata per la dura repressione della protesta sfociata sia in atti di vandalismo che in fiaccolate pacifiche, ha portato nelle ultime ore all'intervento più pesante della Guardia Nazionale che cercherà d'ora in avanti di far rispettare le rigide regole imposte al fine di fronteggiare una situazione divenuta ingestibile. Dunque non sono bastati i carri armati della polizia e i fitti lanci di lacrimogeni, non è bastato neppure il coprifuoco, perché la gente del quartiere ha preteso di poter manifestare liberamente, anche violando il coprifuoco se necessario. Si è così deciso di ricorrere ai riservisti dell'esercito nel tentativo di chiamar fuori dalla vicenda una polizia divenuta sempre più violenta man mano che la protesta prendeva corpo e si allargava. Della scorsa notte le immagini che documentano le minacce di morte ai reporter che riprendevano le azioni della polizia (Clicca qui per il video), mentre alcune sere fa due giornalisti Ryan Reilly dell'Huffington Post e Wesley Lowery del Washington Post sono stati arrestati. Chiedere più trasparenza alle forze dell'ordine, come fa Obama, quando si fatica ad esercitare la libertà di espressione e di stampa è un esercizio di retorica a cui il presidente ovviamente non si sottrae.

Le voci di chi è sceso in piazza vengono riportate con fatica dunque da quotidiani come il The Guardian, e raccontano le profonde ragioni del riot: un oratore a Ferguson afferma “Continuiamo a dare i nostri soldi a questi bianchi, viviamo nelle loro case, e così non possiamo certo ottenere giustizia. Non c’è nessun rispetto. Sono sempre pronti a metterti alle strette se non paghi una bolletta ... Non se ne può più”.

DeAndre Smith, un barbiere presente al centro commerciale bruciato QuikTrip, rivelando implicitamente e criticamente la natura dello Stato borghese ha dichiarato ai media locali: “Credo che siano troppo preoccupati per quello che sta accadendo ai propri negozi e alle proprie attività. Non lo sono abbastanza per l’omicidio”.

In un'intervista di Anna Curcio al professor George Ciccariello Maher su Commonware si descrivono attentamente il contesto storico in cui si inseriscono i fatti di Ferguson e le ragioni della rabbia che passano per l'impunità nei casi di Emmett Till a Trayvon Martin. L'intervista giunge ad abbozzare una spiegazione della militarizzazione e del razzismo dilagante nelle forze di polizia: “Ferguson non è stata semplicemente blindata per essere governata, è stata più complessivamente strutturata sulla base della violenza sistematica della polizia. E le due dinamiche hanno lavorato insieme. Così, il processo di deindustrializzazione, inteso in primo luogo alla luce del lungo contesto storico di cui stiamo parlando e poi nella storia più recente, è un processo che rende una grande fetta della popolazione degli Stati Uniti, quasi prevalentemente nera, estranea al processo di produzione; diventa, in altre parole, popolazione in eccesso. La risposta dello Stato è l’incarcerazione di massa oppure il suo immagazzinamento in strutture specifiche, dove magari poter estrarre plusvalore attraverso il lavoro forzato. Da questa prospettiva la questione si dà concretamente tra immagazzinamento e abbandono. Visto più complessivamente, si tratta di un cambiamento, proprio al XX secolo, che interessa l’intera storia delle relazioni razziali a partire dall’ansia sociale generata dall’abolizione della schiavitù e in merito al cosa farsene degli ex schiavi”.

Lo Stato che con la Costituzione Federale vergò il più complesso sistema politico in grado di giustificare la privazione totale della libertà, si trova oggi - eliminato formalmente il tredicesimo emendamento e con le vittoriose battaglie per i diritti civili alle spalle - ad utilizzare l'abbandono e l'immagazzinamento del materiale umano in eccesso come soluzione più efficace per continuare a perpetuare il più iniquo dei sistemi economici in totale libertà. L'eguaglianza resta una chimera a cui le masse dominate devono anelare rimanendo nel recinto liberale, inseguendo il mito di Steve Jobs e magari con la rappresentanza distorta affidata a un presidente di colore che Malcolm X avrebbe tranquillamente definito “negro da cortile”, e la sostanza rimane la stessa: razzismo, emarginazione sociale e ghettizzazione della maggioranza della popolazione, corruzione delle istituzioni e abuso di potere da parte delle medesime.
In ultima analisi una volta passata la rabbia del riot e spente le fiamme da Obama, i familiari di Michael Brown si troveranno costretti a fare i conti con la medesima giustizia che operò poco più di un anno fa anche per i familiari di Trayvon Martin; una giustizia che dunque resta e non può far altro che restare all'interno di questo sistema, concepito in favore di una minoranza, direbbe Lenin.

Ultima modifica il Martedì, 19 Agosto 2014 15:59
Alex Marsaglia

Nato a Torino il 2 maggio 1989. Laureato in Scienze Politiche con una tesi sulla storica rivista del Partito Comunista Italiano “Rinascita” e appassionato di storia del marxismo. Idealmente vicino al marxismo eterodosso e al gramscianesimo.

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