Se nel '92 sull'onda dell'entusiasmo per la caduta del Muro di Berlino Francis Fukuyama poteva permettersi di teorizzare che la storia era finita, oggi a dimostrazione che essa è tutt'altro che finita la stessa Nato e men che meno il Papa iniziano ad alludere alla “Terza Guerra Mondiale” come ipotesi plausibile e concreta. Dunque, finalmente, la saggezza di Platone e Aristotele riemerge dopo l'ubriacatura di questo quarto di secolo passato a vaneggiare sul meraviglioso sviluppo unidirezionale e dall'esito progressivo per l'umanità che avrebbe portato finalmente ogni sistema politico all'uniformazione alla democrazia liberale.
L'analisi storica di Gattei si è legata ad un approccio più improntato al presente, curato invece da Vigna, il quale ha recentemente pubblicato “L'Ucraina tra golpe, neonazisti, riforme e futuro” (Zambon Editore, 2014) un lavoro di documentazione con tanto di prove storiche e concrete sulla barbarie raggiunta durante la rivolta di "EuroMajdan".
Infatti, negli ultimi mesi abbiamo assistito a una rappresentazione e narrazione degli eventi in corso che alternavano a menzogne e articoli di vera propaganda guerresca (vedi Ezio Mauro su Repubblica), un'analisi del conflitto in corso come fatto singolo e slegato dalle forze strutturali e sistemiche che da sempre muovono le guerre. Come se non bastasse, alla distorsione massmediatica, si è aggiunta una politica altalenante delle forze che si propongono il cambiamento nella società, cadute in due errori speculari dovuti a un'analisi eccessivamente povera che ricade troppo spesso in tifoserie: la fascinazione della piazza da un lato, e l'ormai celebre “il nemico del mio nemico è mio amico” dall'altro.
L'intervento di Gattei ripercorre alcune delle interpretazioni guerresche di filosofi e politici della classe dominante: dall'interpretazione “mercantile” kantiana, all'interpretazione “magica” di un De Gasperi che nell'agosto del '14 su “Il Trentino” descriveva la guerra come “un fatto inesorabile” voluto da Dio. Viceversa, saranno proprio i marxisti che grazie al potente strumento del materialismo storico e a importanti categorie interpretative come lo stesso imperialismo riusciranno a capire che la guerra è fatta dagli uomini e solo da essi può essere fermata. In realtà, i marxisti faranno molto di più, rintracciando i meccanismi stessi che la generano e non possono che alimentare una disumanizzazione crescente.
Mentre la socialdemocrazia europea affronterà la sconfitta del pacifismo e dell'internazionalismo, il trionfo del nazionalismo e dell'interventismo, saranno proprio i marxisti più conseguenti ad attrezzarsi e agire per fermare un conflitto mondiale nientemeno che con la rivoluzione. Gattei non manca di ricordare ai troppi smemorati che il Tribunale internazionale dell'Aia (istituito nel 1899 e tuttora attivo) esisteva già inutilmente da parecchi anni proprio al fine di risolvere le dispute internazionali.
Ma è proprio Friedrich Engels che individua con lucidità già a partire dal 1885 la deriva delle alleanze imperialistiche:
«i nuovi mercati divengono ogni giorno più rari […] e quale sarà la fine di tutto questo? La produzione capitalistica non può divenire stabile, essa deve crescere, deve estendersi o morire […] ma questa espansione diviene ora impossibile. La produzione capitalistica corre in un vicolo cieco». Il limite interno al modo di produzione e al sistema di scambi capitalistici sarebbe stato così proiettato in un limite esterno, e «quello che è assai probabile che accada è una guerra di posizione con esito incerto al confine francese, una guerra offensiva con conquista delle fortezze polacche al confine russo e la rivoluzione a Pietroburgo che faccia vedere all’improvviso ai signori della guerra tutto in un’altra luce» (F. Engels, Lettere gennaio 1889-dicembre 1890).
Dopo queste acute considerazioni strategiche Engels, basandosi sempre su categorie marxiste quali la legge dell'accumulazione capitalistica arriva chiaramente a delineare persino gli esiti della Grande Guerra: “l'Inghilterra vincerà la guerra, ma non la pace”, infatti sarà l'industria americana a vincere su tutta la linea e questo era risultato evidente al Generale già nel 1888, quando di ritorno da una visita negli Stati Uniti scrisse: «Se gli americani incominciano, lo faranno con una energia e una violenza a paragone delle quali noi in Europa saremo come bambini» F. Engels, Lettere, gennaio 1891 – dicembre 1892, op. cit., p. 325.
Fu così che contadini e operai, che nei singoli paesi si erano impegnati in una strenua lotta contro il barbaro sfruttamento del lavoro portato avanti da padroni senza scrupoli facendo tremare persino il cuore d'Europa, furono mandati ad uccidersi reciprocamente al fronte in trincea, trasformando la verticale ed emancipatoria lotta di classe tra sfruttati e sfruttatori in una guerra orizzontale tra popoli e lavoratori, nel massacro voluto da lor signori.
In Lenin maturava da tempo la categoria di imperialismo, che giunse a compimento proprio a ridosso del drammatico scoppio della prima guerra imperialistica mondiale per la quale «i capitalisti non soltanto hanno una ragione per fare la guerra, ma non possono non farla se vogliono conservare il capitalismo» e le alleanze inter-imperialiste «non sono altro che un momento di respiro tra una guerra e l’altra, qualsiasi forma assumano dette alleanze».
«L’unica politica di rottura -non a parole- della pace civile, di riconoscimento della lotta di classe, è la politica per la quale il proletariato approfitta della difficoltà del proprio governo e della borghesia al fine di abbatterli. Ma non si può ottenere questo, non si può tendere a questo senza augurarsi la disfatta del proprio governo, senza cooperare a tale disfatta» . “La sconfitta del proprio governo nella guerra imperialista” 26 Luglio 1915. Lenin, Opere complete, vol.26, pp.286-291
Per questo, oggi come ieri, davanti alle guerre di lor signori, l'unica soluzione resta il “disfattismo rivoluzionario” verso il proprio governo e contro il proprio imperialismo.
Successivamente E. Vigna descrive l'attuale violenza americana in Europa, e lo fa partendo dalla documentazione raccolta che ci riporta la ferocia bestiale della rivolta di “EuroMajdan”, le “fosse comuni” e il “traffico di organi” gestiti dalle formazioni che oggi sono Guardia Nazionale. Ma i progetti espansionistici americani verso l’Est non si fermano certo all'Ucraina e includono anche Bielorussia e Paesi Baltici – abbiamo purtroppo scoperto solo recentemente che qui i giornalisti possono subire un fermo semplicemente in quanto “persone non gradite”- prova ne è il disatteso accordo tra Russia e NATO siglato nel 1997, che prevedeva la non creazione di basi militari nei Paesi dell’Europa orientale.
Vigna facendo emergere la pericolosità di un accerchiamento alla Russia chiarisce che questa politica estera statunitense può essere definita semplicemente come “schizofrenica”, poiché mira ad “assaltare e basta, senza strategia, per pura questione di sopravvivenza”.
A dimostrazione dell'analisi il più possibile imparziale emergono le cautele verso una visione “ottimista e di sinistra” della resistenza, poiché oggi i comunisti in quell’area sono solo una forza tra le altre, e nemmeno di maggioranza. Quindi conclude con a una disamina del ruolo spesso attendista dei comunisti troppo inclini a subire la situazione senza stare dentro alle dinamiche e alle conflittualità.