Pillole dal Giappone #273 – Freddi i colloqui Lavrov-Kono sulle Curili meridionali
Nei precedenti articoli abbiamo fatto il punto sulle lotte e la vita degli afroamericani nella letteratura e nel cinema. L’arte che diventa militanza e osservatorio privilegiato di una situazione umana e politica sempre sul punto di esplodere. Ma la storia degli afroamericani è anche quella dei tanti che si sono ribellati alla violenza e repressione razzista dei bianchi.
Pillole dal Giappone #259 – Nuovi progressi per la pace nell'Asia del Nord-Est
Pillole dal Giappone #258 – Gli anti-base vincono di nuovo ad Okinawa
Immigrazione, integrazione e accoglienza: una cultura ostaggio della Lega
C'è stato un tempo lontano in cui questo paese nella sua storia è stato il più grande crocevia di civiltà del Mediterraneo. Dall'antichità, le sue coste e i suoi vasti e multiformi territori sono stati toccati da navi e popolazioni provenienti da ogni angolo del Mediterraneo.
Sankara le peuple africain te réclame: omaggio di un fiero burkinabé
«Non è possibile effettuare un cambiamento fondamentale senza una certa dose di follia. In questo caso si tratta di non conformità: il coraggio di voltare le spalle alle vecchie formule, il coraggio di inventare il futuro. Ci sono voluti i pazzi di ieri per permetterci di agire con estrema chiarezza oggi. Voglio essere uno di quei pazzi. Dobbiamo avere il coraggio di inventare il futuro.»
L’Africa, con la complicità dell’Occidente, ha rigettato il suo figlio più combattivo. Un infanticidio che ha rubato il futuro e le speranze del suo popolo.
Il Becco presenta:
Di cambiamenti climatici, conflitti e generalizzazioni
Numerose ricerche correlano cambiamento climatico e conflitti, ma la prima review mette in discussione la generalizzazione dei loro risultati, sollecitando alcune riflessioni anche sul nostro modo di leggere i fenomeni geograficamente e culturalmente “lontani da noi”.
Scimmie europee e uomini africani
quando la paleontologia si interseca con la politica
È notizia degli ultimi giorni la scoperta da parte di un team di paleontologi tedeschi di uno strano primate preistorico che secondo gli scopritori mostrerebbe singolari affinità con gli ominidi ominini e in particolare con i generi Ardipithecus e Australopithecus pur essendo molto più antico di tali fossili (9,7 milioni di anni, contro i circa 5 degli Ardipithecus e i poco meno di 4 degli Australopithecus). La scoperta sarebbe eclatante, non tanto e non solo perché retrodaterebbe di oltre quattro milioni di anni la comparsa di caratteristiche legate agli uomini, ma soprattutto perché sarebbe il primo ominino scoperto al di fuori del continente africano, e quindi metterebbe in discussione l’ormai consolidata teoria dell’origine africana della linea filetica che ha condotto all’essere umano. Tanto che ha iniziato a girare l’idea che questa scoperta “potrebbe riscrivere la storia dell’umanità”.
A casa loro: le tante realtà del continente africano
I recenti appuntamenti elettorali europei hanno visto come denominatore comune la retorica intorno all’immigrazione. Un fattore a vantaggio delle forze nazionaliste, che mobilitano la rabbia e il senso di impotenza dell’elettorato contro i numerosi rifugiati che arrivano ogni giorno nel continente. Le gravi conseguenze delle politiche neoliberiste di quest’ultimo decennio hanno concesso il campo a queste pericolose derive fasciste e nazionaliste, che hanno spostato pericolosamente a destra l’asse anche dei partiti del PPE.
Il Premio Nobel sudafricano Desmond Tutu, simbolo della lotta antiapartheid insieme a Mandela, lo scorso giugno in un momento di boom degli sbarchi, ha sollevato un interrogativo importante: "Per una volta, almeno per una volta mi auguro e prego perché i cittadini europei, e i loro governanti, non si chiedano dove vogliano andare gli esseri umani che bussano alle porte, troppo spesso sbarrate, dei ricchi Paesi occidentali. Io spero e prego che almeno una volta ci si chieda da cosa fuggono, e perché, e per responsabilità di chi, i loro Paesi si siano trasformati in un inferno in terra". In questo senso, è utile andare oltre alle degradanti discussioni dei talk show e alle imbarazzanti dichiarazioni dei nostri politicanti e, forse troppo brevemente, tentare di inquadrare la reale situazione di un continente immenso come quello africano. È utile ricordare a noi stessi, contrariamente a quanto riportato dai media, che solamente un terzo dell’immigrazione africana varca il Mediterraneo e i suoi confini continentali. Due terzi della totale immigrazione dell’Africa è interna, come si può vedere analizzando i dati della World Bank del 2016. Negli ultimi anni, si è anche registrato un alto numero di migranti che ritornano nei loro paesi origine, anche dai paesi ad alto reddito dell’area OCSE.
Oltre all’immigrazione, l’altra ottica dalla quale viene osservato il continente africano è quello del cosiddetto “afropessimismo”. Ovvero la costante e immediata associazione dell’Africa a tragedie come la fame, le carestie, le epidemie, le guerre ecc. Sicuramente sono alcuni dei problemi che ancora oggi frenano il grande continente, ma non possono essere i punti di partenza per una visione oggettiva della grande realtà africana. Dalla nascita degli stati nazionali africani, soprattutto nell’Africa subsahariana, la timida crescita economica del continente si è bruscamente frenata tra il 1970 e la fine degli anni Ottanta. Condizionata da una serie di fattori quali le forti oscillazioni del prezzo del petrolio, fattori economici riguardanti i tassi di interesse sui debiti pubblici, il forte protezionismo dei paesi dell’Africa settentrionale, mala gestione economica, fattori geopolitici che causano conflitti ecc. Vi è stata una ripresa economica generale del continente a partire dalla metà degli anni Novanta, ma che non è stata omogenea in tutte le regioni. Una crescita determinata da alcuni fattori: forte domanda internazionale di materie prime (petrolio, metalli, gas ecc), calo dell’inflazione, progressi democratici e politici, nuova classe dirigente, timida diffusione della tecnologia ecc. Il problema delle risorse è determinante per capire lo sviluppo del continente: paesi ricchi di risorse e materie prime non hanno avviato una crescita economica sostenibile e non hanno portato a una riduzione della povertà. Paesi come Angola, Camerun, Nigeria e Gabon sono al fanalino di coda del continente negli indicatori internazionali sulla povertà e sulle aspettative di vita, per differenti fattori, eppure sono i maggiori detentori delle risorse petrolifere del continente, i cui i governi nazionali ricevono ingenti guadagni dalla vendita di petrolio. Nonostante la democrazia, e questo è un dato positivo, stia diventando il sistema di governo di riferimento del continente africano (anche nell’Africa subsahariana) la corruzione è uno dei maggiori freni alle politiche di sviluppo.
È migliorato l’indicatore che rileva il grado di qualità della democrazia, essendo aumentati in molti paesi africani gli organi di controllo sulle operazioni di voto e l’accesso della popolazione ai mezzi di informazione. Generando anche un aumento delle proteste democratiche nel continente, come nelle ultime elezioni in Ghana. È anche interessante mettere in relazione lo sfruttamento delle risorse naturali con il fenomeno dell’urbanizzazione, in forte crescita da alcuni anni a questa parte. Normalmente segnale positivo di crescita economica e sociale nei paesi in via di sviluppo, in Africa molte città non sono il luogo dove si produce la ricchezza ma dove viene consumata. È una urbanizzazione completamente diversa ad esempio da quella asiatica, dove grazie ai servizi e alle attività produttive quali il settore manifatturiero sono un luogo dove la ricchezza viene prodotta. Oltretutto questa urbanizzazione in forte crescita non è accompagnata ovunque da politiche di sviluppo sostenibili nelle risorse vitali quale acqua e la terra coltivabile, priva di qualsiasi strategia di pianificazione.
Nonostante la possibilità di avere una popolazione giovane che può comunque beneficiare dei miglioramenti nelle condizioni di vita e dalla riduzione in molte aree del tasso di mortalità, una delle più grandi incertezze del continente è legata alla sua demografia. Meno del 20% delle donne africane hanno accesso a mezzi di contraccezione, il processo di riduzione della fertilità incontrollata è lento, manca una efficace educazione sessuale e nonostante l’aumento dell’età delle donne in cui generano figli il numero di nascite per famiglia rimane alto e stabile. L’Economist nel 2011 ha parlato di un possibile disastro maltusiano del continente africano. Gli ultimi dieci anni hanno inoltre evidenziato un aumento dei conflitti, sia statali che regionali, dopo una riduzione che aveva favorito elementi di crescita economica dalla fine degli anni Novanta. Esempio lampante di questo fattore sono il Mali e lo Zimbawe, considerati poco tempo fa due degli stati africani che avrebbero trainato la crescita del continente (con indicatori classici come il PIL elevati prima delle guerre che li stanno distruggendo).
Non ci sono però solamente questi elementi negativi, nonostante sia disomogenea però il continente, soprattutto i paesi subsahariani, sono andati incontro a uno sviluppo sociale e politico importante. Che hanno favorito in molti paesi la crescita di una classe media, con un ricambio generazionale anche alla guida di molti paesi, una crescita della consapevolezza politica e l’accesso al dibattito democratico. Elementi confermati dai maggiori investitori internazionali nel continente africano, quali Russia, Cina, Brasile e India. L’Italia è uno dei maggiori paesi europei che investe in Africa, soprattutto nelle materie prime.
Per superare la demagogia sull’immigrazione, è necessario partire da una profonda analisi dei fattori cambiamento e sviluppo nel continente africano e accompagnare gli investimenti e le opportunità economiche con una crescita sostenibile. L’Europa non può continuare a ignorare il dinamismo e le problematiche di un continente come l’Africa a cui è storicamente legata. È un elemento cruciale e fondamentale per risolvere la tragedia quotidiana dei morti nel Mediterraneo, la tratta degli scafisti e i tanti problemi legati al rapporto tra continente europeo e continente africano. La forte crescita economica che molti paesi africani stanno sperimentando, non accompagnata da una redistribuzione della ricchezza e da miglioramenti delle condizioni di vita, è un problema che può essere affrontato. In un momento storico in cui le economie avanzate sono in recessione o in stagnazione economica, l’Africa è la nuova frontiera degli investimenti e alcune economie hanno i tassi di crescita più elevati al mondo. È importante investire e lavorare in Africa per una crescita sostenibile, favorendo un aumento delle qualità delle politiche pubbliche dei governi accompagnato da una lotta alla corruzione. Per fare ciò è necessario uno scambio dinamico e forte tra i due continenti, che non si limita allo slogan “aiutiamoli a casa loro” ma un programma di aiuti internazionali e di scambi funzionale al progresso dei paesi africani e a una politica sostenibile di sfruttamento delle risorse e materie prime. Soprattutto favorendo la formazione di una nuova classe dirigente, in una popolazione molto giovane come quella del continente africano. La crescita e lo sviluppo del continente africano sono un’opportunità non solo europea, ma per il futuro globale. Ad oggi l’Europa, pur essendo uno dei più grandi donatori in termini di ONG e aiuti internazionali, insieme ad accordi economici con molti paesi africani, non sembra essere in grado di elaborare una politica capace di interpretarne ed aiutarne lo sviluppo. Generalizzando nella macchina di propaganda politica europea le complessità e le differenze di un enorme continente a cui siamo strettamente legati dalla storia, a cominciare da quella scia di sangue che si perde nelle acque del Mediterraneo.
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