Sabato, 28 Ottobre 2017 00:00

Scimmie europee e uomini africani

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Scimmie europee e uomini africani
quando la paleontologia si interseca con la politica

È notizia degli ultimi giorni la scoperta da parte di un team di paleontologi tedeschi di uno strano primate preistorico che secondo gli scopritori mostrerebbe singolari affinità con gli ominidi ominini e in particolare con i generi Ardipithecus e Australopithecus pur essendo molto più antico di tali fossili (9,7 milioni di anni, contro i circa 5 degli Ardipithecus e i poco meno di 4 degli Australopithecus). La scoperta sarebbe eclatante, non tanto e non solo perché retrodaterebbe di oltre quattro milioni di anni la comparsa di caratteristiche legate agli uomini, ma soprattutto perché sarebbe il primo ominino scoperto al di fuori del continente africano, e quindi metterebbe in discussione l’ormai consolidata teoria dell’origine africana della linea filetica che ha condotto all’essere umano. Tanto che ha iniziato a girare l’idea che questa scoperta “potrebbe riscrivere la storia dell’umanità”.

 

Dall’abbondanza di condizionali nel periodo precedente il lettore attento si renderà conto che c’è qualcosa che mette seriamente in dubbio l’idea che abbiamo un antichissimo ominino europeo, e che la storia dell’umanità non venga riscritta in alcun modo da questa scoperta. I motivi sono molteplici, e non hanno solo, o non tanto, a che fare con la frammentarietà dei reperti (un canino e un molare): la paleontologia dei mammiferi è per gran parte basata sullo studio di denti, al punto che il celebre paleontologo Stephen Jay Gould a mo’ di battuta affermò che l’evoluzione dei mammiferi non è altro che l’incrocio tra due serie di denti per produrre denti lievemente diversi. Ciononostante, è necessario essere cauti: i denti sono soggetti a deterioramento non soltanto dopo la morte dell’animale, ma anche durante la sua vita – l’ancor più eclatante scoperta della scimmia antropomorfa Hesperopithecus, nota anche come “uomo del Nebraska”, si basava su alcuni molari che qualche anno dopo furono riconosciuti come denti piuttosto consumati di un cinghiale fossile, peraltro molto abbondante nel giacimento fossilifero.

Se Hesperopithecus era importante perché le scimmie antropomorfe non erano note nel Nuovo Mondo (e continuano a non esserlo, uomo a parte), la presenza di una scimmia antropomorfa in Europa non è così sconvolgente. Non solo l’Europa è stata abbondantemente popolata da un enigmatico gruppo di scimmie simili (ma probabilmente non strettamente imparentate) ai gibboni, i Pliopithecoidea, ma abbiamo resti di ominidi vissuti nell’Europa meridionale, ancorché molto più primitivi degli australopitechi africani e probabilmente non direttamente imparentati con l’uomo. Quel che sarebbe sconvolgente sarebbe, come detto, la presenza di caratteristiche recenti in un fossile così antico, e la sua presenza in un’area in cui non era assolutamente atteso. Purtroppo ad esaminare meglio lo studio emergono diverse incongruenze. Il dente apparentemente meglio conservato, il canino, sembra non essere nemmeno un dente di primate, ma un frammento di dente di ruminante; il molare è sicuramente di un primate, ma somiglia molto di più a quelli dei Pliopithecoidea, cioè le scimmie che ci aspettiamo di trovare in buon numero in Europa in quell’epoca, che a quelli di un ominide . Gli autori, però, hanno solo cursoriamente paragonato i loro denti con quelli dei Pliopithecoidea, dando invece grande risalto alle affinità con gli ominini, sottolineando come questo ritrovamento possa essere qualcosa di imprevisto ed eclatante, ma prendendo a malapena in considerazione l’ipotesi, ben più plausibile, che si tratti di qualcosa di assolutamente frequente e prevedibile.

È semplice capire il motivo di questa analisi al limite dell’onestà intellettuale. L’ipotesi dell’origine africana degli ominini è suffragata da innumerevoli prove – fossili in condizioni molto migliori del primate di Eppelsheim; ma se si trovasse una sola evidenza chiara di antenati dell’uomo più antichi al di fuori dell’Africa, sarebbe sufficiente per falsificarla. Ed è chiaro come chi riuscisse a dare questa prova avrebbe un ruolo di primo piano nella paleontologia: solo nel 2009 è stata pubblicata la scoperta, suffragata da materiale molto più completo di questo, di Anoiapithecus, un ominide vissuto 12 milioni di anni fa in Catalogna. La scoperta è stata pubblicata su una rivista molto importante, e a buon titolo, perché si tratta di una scoperta importante; Nondimeno, Anoiapithecus appartiene ad un gruppo differente dagli ominini, anche se strettamente imparentato, e non è in alcun modo un diretto antenato dell’essere umano.

Tuttavia c’è anche un altro motivo per i continui tentativi di confutare l’origine africana dell’uomo, ed ha più a che fare con la politica che con la scienza. Ci sono quattro elementi cruciali nell’evoluzione umana che hanno avuto luogo in Africa: l’origine del gruppo degli ominini, che comprende attualmente le due specie di scimpanzé e l’uomo, ma anche un gran numero di forme estinte; l’origine del genere Homo; l’origine di esseri umani anatomicamente moderni; l’origine di Homo sapiens. L’origine del genere Homo in Africa può difficilmente essere questionata, ma come abbiamo visto, ci sono innumerevoli tentativi di screditare l’origine africana degli ominini e quella di esseri umani anatomicamente moderni e di Homo sapiens. Il motivo principale è che l’origine africana dell’essere umano è diventata un tema centrale per un discorso antirazzista con fondamento scientifico – è insensato asserire l’inferiorità intellettuale e biologica di un popolo umano, considerato che la divergenza è estremamente recente, ed anche i bianchi occidentali che si fregiano della loro superiorità e la usano per giustificare vari tipi di colonialismo hanno un’origine africana. Allo stesso modo, il tentativo di dimostrare un’origine extra-africana della linea filetica che conduce all’essere umano, e ancor più dell’essere umano moderno, si è sviluppato nella ricerca ideologica di una verità alternativa, per cui l’uomo anatomicamente moderno non verrebbe dall’Africa, la colonizzazione del pianeta non sarebbe il risultato dell’intraprendenza di questi esseri umani africani, ma il processo avrebbe avuto una direzione contraria. Anche se teoricamente la scienza dà conoscenza, ma non indicazioni morali, in un momento in cui viene percepito un grande flusso migratorio principalmente dall’Africa verso l’Europa, molti pensano che la lettura africano-centrica dell’evoluzione umana darebbe legittimità a queste migrazioni attuali. A fianco del tentativo di dimostrare la fondatezza di differenze biologiche tra gruppi umani – e quindi delle razze – si ha anche questo tentativo di riscrivere la storia dell’evoluzione umana.

In teoria, quindi, l’ipotesi dell’origine africana dell’umanità è una domanda neutra, di scienza pura; in pratica, esso si porta dietro una serie di elementi che vengono quotidianamente impugnati in una prospettiva antirazzista o confutati in una prospettiva razzista. Per questo quei due denti di scimmia trovati nella valle del Reno, nonostante la loro frammentarietà e la scarsa qualità della pubblicazione che li descrive, assumono una rilevanza che va ben al di là della questione scientifica in sé.

Immagine da www.sci-news.com

Ultima modifica il Domenica, 28 Gennaio 2018 00:29
Joachim Langeneck

Joachim Langeneck, dottorando in biologia presso l'Università di Pisa, nasce a Torino il 29/11/1989. La sua ricerca si concentra principalmente sullo studio di processi evolutivi negli invertebrati marini, con sporadiche incursioni nell'ambito dell'etica della scienza, in particolare a livello divulgativo.

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