Il punto di partenza sono poche pagine, elaborate da Pietro Ingrao per un incontro organizzato nell’Eremo di Adriana Zarri, teologa capace di scegliere una vita eremitica e candidarsi con Rifondazione Comunista alle elezioni europee del 2004.
Il comunista di Lenola, presidente della Camera e scomparso nel settembre del 2015, accetta di riflettere sulla contemplazione «all’età di quasi novant’anni», con l’umiltà e la quiete di chi ha la capacità di praticare il dubbio come può «solo un saggio» (dalla postfazione di Brunella Pernigotti).
Ingrao si propone da non credente, non pentito per le scelte fondamentali del suo passato, da consapevole protagonista del Novecento italiano. In maniera lucida anticipa problemi oggi più evidenti rispetto alle soglie del nuovo millennio, con un movimento no-global ancora lontano dalla quasi completa evaporazione a cui poi si è assistito nel vecchio continente. Ci sono spunti su cui conto di tornare, ma qui vorrei evidenziare l’importanza di voler fare un passo indietro per farne due in avanti anche sul piano teorico. La centralità del conflitto tra capitale e lavoro non è messa in discussione, solo andrebbero riconosciuti «momenti ulteriore dell’esistenza umana». Esistono altre forme di soggettività oltre a quella determinata dai rapporti economici? Spetta alla politica dare delle risposte oltre l’organizzazione sociale ed il suo funzionamento?
Nel movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, per decenni, si è costruita una mitologia del vivere lavorando o morire combattendo (come si può riscontrare anche nei canti popolari e ritrovare anche nella trilogia del Sole dell’Avvenire di Valerio Evangelisti). Ci siamo dimenticati del valore del contemplare quindi? Stiamo ignorando livelli profondi di conoscenza riguardo a noi stessi?
Dare un senso al nostro tempo implica il dare un senso alla nostra vita. Ingrao ha voluto condividere un’inquietudine, quella di una contemporaneità incapace di prendere visione «del notturno, di quei momenti di interiorità, di sottile esperienza umana, impossibili da osservare dall’esterno». Si aprirebbero le porte di una barbarie disumana anche laddove costruissimo una società in cui tutte e tutti lavorano, senza sfruttamento, laddove si negasse l’esistenza di altri aspetti della soggettività.
Oltre la religione, Ingrao suggerisce di provare a rallentare nel nostro continuo agire, anche sul piano della dimensione politica. Nell’ambito dei movimenti radicali (ma non solo) spesso il disagio rispetto al presente è affidato a psicoanalisi, meditazione, suggestioni filosofiche e pratiche di altro genere comunque individuali. Tentare la condivisione di una riflessione generale pare essere un invito rivolto a tutte e tutti noi. Dare per scontato che il mondo non sia cambiato, pensare che sia solo l’inadeguatezza degli attuali partiti politici (o dell’attuale dirigenza) è forse una semplicistica ed errata consolazione.
«Io nutro ancora una speranza, la mia unica speranza, senza la quale sarei veramente disperato: che le cose possano cambiare».
Pietro Ingrao, Il valore della contemplazione, Castelvecchi, Roma, 2017, p. 48, € 5,00.
Immagine liberamente tratta da www.centroriformastato.it