Tim Burton improvvisamente per la gente era diventato un brocco o un pallone gonfiato. Per molti non sapeva più graffiare, illudere e stordire lo spettatore con le sue fiabe gotiche e potenti. Big Eyes è un film rottamatore nel vero senso della parola della filmografia burtoniana ma è anche una riflessione potente dell'artista sull'arte.
Il tutto si apre con una citazione di Andy Warhol: «Quello che ha fatto Keane è magnifico! Fosse stato brutto, non sarebbe piaciuto a così tanta gente». Una riflessione non da poco, visto che la voglia di celebrità, le pretese artistiche a costi ridotti e le mode del momento avevano allontanato le persone dal vero concetto di arte.
Ma veniamo al racconto del film. La pellicola si apre in California nel 1958 (casualmente il buon Tim è nato proprio a Burbank nell'estate di quell'anno). Una donna di nome Margaret (interpretata magistralmente dalla sempre più brava Amy Adams) carica la figlioletta su un auto. Se ne sta andando per sempre, senza un soldo, dal marito Frank Ulbrich. La sua peculiarità è che dipinge, per passione, ritratti di bambini/e dotati di grandi occhi (i big eyes del titolo) molto espressivi, simili a volti di bambole ma con forte emozioni ed umanità. I suoi lavori sono caratterizzati da ambientazioni oscure, un'atmosfera piuttosto cupa e un gusto decisamente kitsch. Come molti film di Tim Burton che sono stati definiti dark o fiabe gotiche. Non è un caso che la pittrice e il regista siano amici nella vita reale. Per Margaret "gli occhi sono lo specchio dell'anima", i suoi personaggi traboccano sentimentalismo: questo è il segreto del futuro successo. La donna ha bisogno di ricostruire la sua vita ed ecco un inatteso incontro provoca un cambiamento abbastanza veloce.
Margaret conosce Walter Keane (un Christoph Waltz più gigione che mai), un uomo apparentemente protettivo, vero, ricco di fascino. Lui vorrebbe diventare un artista ma non riesce a sfondare (alla fine capirete il perchè). Lui rimane affascinato dai quadri di lei, crede che abbia un enorme potenziale. I due si sposano,le loro vite rifioriscono. Lei dipinge,crea, mentre lui vende e piazza (questa parte assomiglia,un po' per le tematiche affrontate,al matrimonio de "L'amore bugiardo" di Fincher).
Risultato? Soldi a palate. In poche parole Walter (e in parte la moglie) corona il suo "american dream" che si rivelerà effimero e bugiardo. Spacciando i quadri della moglie per propri, per quasi un decennio, Walter costruisce un impero su un'enorme bugia, riuscendo ad abbindolare l'America intera. Fuorchè alcune persone tra cui un critico (il sempre grande Terence Stamp). Ma si sa i critici sono "artisti falliti" che sfogano la loro frustazione sulle opere degli altri.
Non solo soli però, anche Margaret, fino ad allora, era una sorta di "critico consenziente".
Già perchè all'epoca l'arte femminile non era presa in seria considerazione,ma il femminismo è alle porte e Margaret diventa un'eroina. La donna si ribella, vuole il suo nome sui quadri. È lei l'artista.
Ed ecco la scena cult del supermercato (stile scena del ristorante di Essere John Malkovich) dove Margaret vede tutti gli altri clienti che la guardano con i loro grandi occhi che lei ha disegnato. In contrapposizione vede poster, quadri, gadget con la faccia da ebete del marito Walter. Una sorta di delirio dell'essere umano da mercificare con sullo sfondo quel pessimo gusto modaiolo tendente al conformismo (personalmente lo trovo ripugnante come per il regista). Addirittura il marito vende più poster e foto dei quadri (sempre caro mi fu il benedetto consumismo) che le opere stesse. Costano meno, ovvio, ma l'avidità e il conformismo di massa è tenuto a guinzaglio.
È da qui che in lei scatta qualcosa. La voglia di rivalsa, la voglia di riprendersi la propria vita. Ecco che qui Big Eyes mostra tutta l'autorialità di Tim Burton: Walter entra di diritto nella famiglia dei padri infausti delle storie dell'autore americano, mentre Margaret è la principessa chiusa nella torre (la stanza della villa dopo lei produce le sue opere). Ma nonostante tutto ciò, la regia non è invasiva perché Tim vuole dare spazio ai suoi protagonisti. Ed ecco che nell'ultima parte il film praticamente si avvita su sé stesso ritornando alla prima sequenza: Margaret questa volta divorzia da Walter e se ne va in auto con la figlia avuta dal primo matrimonio.
Si è resa conto che suo marito è mitomane, aggressivo e usurpatore, anche se per molti anni lei è stata complice (ci saranno analogie con il fresco divorzio tra Burton e la Bohnam Carter?).
Ed inizia l'ultima parte, quella dove il film diventa un legal thriller che omaggia Perry Mason (recitazione godibile di Christoph Waltz). Sì perchè Margaret rivela il suo segreto a una radio hawaiiana, dimora dove lei e sua figlia sono andate a vivere. Lui ovviamente non ne vuole sapere e fa causa all'ex coniuge. E qui mi fermo perché non voglio raccontarvi il finale (a proposito non perdetevi i titoli di coda con le immagini della vera Margaret).
Grande cast tecnico dove annoveriamo gli stessi sceneggiatori di Man on the Moon e Larry Flynt, Scott Alexander e Larry Karaszewski, e il direttore della fotografia Bruno Delbonnel (già collaboratore di Burton in Dark Shadows) che, qua e là, ammicca a Wes Anderson (infatti nel cast c'è Jason Schwartzman, suo attore feticcio). Senza dimenticare le prove del cast artistico dove Amy Adams lavora per sottrazione, mentre Waltz è spesso sopra le righe (a qualcuno potrà sembrare irritante, a me no). Menzione speciale per i camei di Jason Schwartzman e Terence Stamp. Ma oltre a tutto questo, ancora una volta sono i temi trattati a fare la differenza: si parla di persone ossessionate dalla fama e dal successo, prima ancora che dalla ricchezza, deformate dalla perversa e geniale idiozia del marketing e della pubblicità. Sullo sfondo si vede già il futuro di una società dell’immagine dove il virtuale e il chiacchericcio dominano il resto.
Sorge una domanda spontanea: avrebbe avuto lo stesso successo Margaret senza le "trappole commerciali" di Walter? Probabilmente no. E questo è il motivo per cui lei è rimasta in silenzio per tanti anni. E poi c'è una netta critica ai mecenati, coloro che finanziano le opere artistiche e ovviamente cinematografiche: sono persone che invece di diffondere la cultura alla gente con i loro soldi, usano artisti affermati in tutto il mondo per mostrare il loro potere e per accrescere i loro profitti.
In un mondo dominato dalle privatizzazioni, Burton afferma che il rapporto artista/mecenate debba cambiare dando ampie libertà ai primi. Chi ha i soldi,spesso, non è detto che abbia le capacità per dirigere un lavoro o per farlo adeguatamente.
Spalancate i vostri occhioni, liberate la vostra mente senza paura. Forse quando lo farete, sarete immortalati anche Voi nei quadri di Margaret con i vostri Big Eyes, simbolo della Vostra vera essenza di essere umano.
BIG EYES (Usa 2014)
Regia: Tim Burton
Cast: Amy Adams, Christoph Waltz,Jason Schwartzman, Danny Huston, Terence Stamp
Durata: 105 Minuti
Distribuzione: Lucky Red (www.luckyred.it)
TOP: le interpretazioni di Amy Adams e Christoph Waltz, la fotografia color pastello, i temi della storia, gli omaggi, la diversità dai lavori precedenti di Burton, la scena del supermercato
FLOP: a chi è abituato alle fiabe di Burton, probabilmente non piacerà questo nuovo approccio del regista californiano
VOTO: ****