Black Mass - L'ultimo gangster
Tratto dalle pagine dell'omonimo best seller di Dick Lehr e Gerard O'Neill, Scott Cooper firma la sua terza regia dopo le buone recensioni di "Crazy Heart" e "Il fuoco della vendetta". Questa volta si parla di James "Whitey" Bulger (Johnny Depp ricoperto da un innaturale trucco). Quello che, nel 2007, era considerato dall’FBI il secondo fuggitivo più importante dopo Osama Bin Laden. Ancora una volta Scott Cooper porta avanti con determinazione progetti di qualità, ma che purtroppo peccano per l'inevitabile paragone con i predecessori: "Il fuoco della vendetta" somigliava molto a "Il Cacciatore" sia come ambiente sia come "scavo psicologico" di alcuni personaggi. Anche "Black Mass" sa di già visto: prende spunti da Michael Mann, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese e Clint Eastwood, ma li mescola in modo non del tutto omogeneo (sono solo omaggi). Anche qui la scrittura latita rispetto ai maestri sopra citati, la regia non è per niente invasiva. Alcuni esempi: Boston è descritta solo marginalmente, la famiglia di Bulger è descritta poco (il personaggio di Dakota Johnson sparisce quasi subito) e non fa capire allo spettatore se ci sono ripercussioni sulle azioni criminali di Whitey, il trucco di Johnny Depp (che qui recita bene) è pesante e sa di "cinematografico" rendendo, in alcuni tratti, Bulger una sorta di macchietta. Se non ci fosse stato Depp a fare da catalizzatore, forse questo film sarebbe passato velocemente senza essere notato. Infatti a Venezia più del film di Cooper, l'oggetto delle discussioni era la decandenza fisica della star americana. Aspettando il ritorno nei panni di Jack Sparrow nel quinto episodio della saga piratesca, il buon Johhny ci ha provato a trasformarsi e a imbruttirsi per cercare di richiamare l'attenzione dell'Academy in vista degli Oscar. Tuttavia a livello di intrattenimento il film non è assolutamente un cattivo prodotto (con particolare menzione per i titoli di coda con immagini d'epoca).
Veniamo al film. Siamo a South Boston, già teatro di film come The Departed, Will Hunting e Mystic River (in "Black Mass" c'è anche Kevin Bacon). Negli anni '70 Bulger (di origini irlandesi) aveva in mano racket di prostituzione, droga, scommesse e quant'altro. "Il silenzio è d'oro, le parole sono d'argento" – dice Whitey ai suoi uomini. Tradotto: chi "spiffera" viene ucciso. Il "leitmotive" del quartiere è la lealtà verso i vecchi amici: come in "Mystic River" anche qui ci sono tre uomini che da ragazzi erano inseparabili. Anche qui vicino al fiume, vengono "interrate" le vittime del boss. Due sono i fratelli Bulger, ovvero Whitey che è chiamato Jimmy (come il "boss" di Sean Penn nel film di Eastwood, strana coincidenza) e il senatore Bill (ruolo marginale per l'ottimo Benedict Cumberbatch di "The Imitation Game"). Oltre a loro c'è l'agente FBI John Connolly (Joel Edgerton di "Exodus"), amico inseparabile dei due. E' chiaro fin da subito che il pomposo John vuole far carriera. E' irritante questo personaggio, rappresenta in tutto e per tutto il sogno americano a tutti i costi. Visto il suo ruolo, chiede un aiuto ai due in cambio della sua lealtà: un appoggio politico da Bill e, in segreto, fa diventare Whitey un informatore dell' FBI per abbattere la mafia italiana (omaggio a "The Departed" di Martin Scorsese). Jimmy fa fare bella figura alla polizia, John viene promosso, ma il piano del boss prevede di diventare il padrone di South Boston. Il "protocollo" segreto prevede,però, che l'informatore non possa essere toccato. Ecco che il margine tra legalità e illegalità diventa sempre più stretto. Ecco che verità e menzogna si fondono, si dilatano per poi definitivamente scoprirsi. L'unica certezza è che la differenza la fanno le parole. Quelle ti "possono spedire sottoterra all'istante". Whitey Bulger docet.
Black Mass (USA 2015)
di Scott COOPER
Cast: Johnny DEPP, Benedict CUMBERBATCH, Kevin BACON, Joel EDGERTON, Sienna MILLER, Dakota JOHNSON, Julianne NICHOLSON, Corey STOLL
Durata: 2h e 2 minuti
Distribuzione: Warner Bros
Uscita: 8 Ottobre 2015
TOP L'interpretazione di Johnny Depp, gli omaggi che Cooper fa ai gangster movie, i titoli di coda
FLOP La scrittura poco incisiva, la prevedibilità di alcune situazioni, la mancanza di approfondimento dell'ambientazione, il trucco "corrosivo" di Johnny Depp, l'interpretazione "acerba" di Joel Edgerton
VOTO ***
The program
Se c'è un regista che ha raccontato a 360° la bugia, questo è il britannico Stephen Frears. Le relazioni pericolose, Philomena, Eroe per caso, Mary Really, The Queen sono alcuni esempi notevoli. Che si tratti della Parigi del Settecento, di un albergo di lusso o di Buckingham Palace, Frears racconta le sue storie in maniera distaccata. Non conosce tali ambienti, ma li descrive talmente bene che sembra esserci nato. Un grande regista capace di fronteggiare questo tema in vari ambiti e in diverse situazioni. Il suo nuovo film "The Program" è stato stroncato dai media perchè volevano farsi raccontare la storia di Lance Armstrong. Questo è il tragico errore che lo spettatore non deve fare. Frears non gliene frega niente del ciclismo, del doping. Il suo compito è quello di far capire agli spettatori quanto sia corrotto e marcio il mondo. Il ciclista americano è un'efficace metafora dello squallido teatrino mediatico dello sport. I punti di partenza sono il libro “Seven Deadly Sins: My Pursuit of Lance Armstrong” del giornalista sportivo David Walsh (interpretato nel film dall'irlandese Chris O'Dowd, il "cornificato" dj Simon dello spassoso "I love radio rock") e il documentario "The Armstrong Lie" di Alex Gibney (autore di "Going Clear", il documentario su Scientology) da cui Frears ha attinto per le numerose immagini di repertorio.
Il film è velocissimo, scorre bene partendo dall'ascesa del ciclista americano Lance Armstrong (un ottimo Ben Foster) che, stanco di perdere e di durare fatica, decide di far parte del “più sofisticato programma di doping nella storia recente dello sport”, sotto la guida del medico italiano Michele Ferrari (l'attore e regista francese Guillame Canet, noto per essere il compagno di Marion Cotillard). Ecco però che a Lance viene diagnosticato il cancro a un testicolo (1996). Riesce a sconfiggerlo. L'aureola in pratica l'ha già sulla testa. Manca solo una vittoria per consacrarlo, per farlo riconoscere alla gente. Ed ecco i primi trionfi nel segno del doping con la Us Postal, la vittoria contro il cancro, l’impegno contro la malattia e la nascita della Fondazione che porta il suo nome (scudo mediatico notevolissimo).Nel 1998 torna al mondo delle due ruote vincendo il Giro del Lussemburgo, ma il chiaro intento è vincere il Tour de France. Tra il 1999 e il 2005 vince sette Tour consecutivamente. Imprese memorabili (vedi la famigerata tappa di montagna dell'Alpe d'Huez) fanno diventare Armstrong un "mostro" capace di ogni tipo di impresa. Diventa il ciclista più vincente della storia della corsa francese.
E' tutta una enorme montatura. Foster piazza anche un omaggio (notevole) a "Taxi Driver" con Armstrong che parla da solo preparandosi le balle da dare ai media nei modi del Travis di Robert De Niro (ricordate il celebre "stai parlando con me?").
Il giornalista David Walsh però è l'unico che non crede a quel che vede, avendo visto le prime corse di Lance quando non era nessuno. Sente puzza di doping, ma c'è un enorme muro di omertà a ogni livello: sportivi, giornalisti, editori, medici, squadre, federazione. Inoltre la giustizia italiana aveva messo sotto torchio il medico che, tuttavia, nel 2006 venne prosciolto per prescrizione del reato. Non perchè era innocente. A tal proposito, c'è da dire che pochi giorni fa gli avvocati di Ferrari hanno minacciato il sequestro delle copie e la richiesta di un grande risarcimento danni in caso The Program uscisse nelle sale. Il motivo? Ferrari ha accusato il film di diffamazione, sostenendo di non aver mai somministrato delle sostanze ad Armstrong.
In ogni caso non c'erano prove contro l'americano ed era ulteriormente difficile andare contro questi personaggi mediatici vista la mole di persone che il ciclista riusciva a spostare in suo favore. Sì perchè nel frattempo Lance Armstrong era diventato non solo una macchina da soldi, ma un brand, un marchio mondiale capace di attrarre milioni di dollari in poco tempo (a tal proposito funzionavano alla grande le "apparizioni" ai malati di cancro). Era un personaggio costruito a tavolino da dottori, sponsor, investitori, assicuratori (a tal proposito c'è il cameo di Dustin Hoffman) e quant'altro. Più di una rockstar, ma non scordiamoci che Lance era la cavia da laboratorio n°1 del dott. Ferrari. Ma non c'erano prove della positività del ciclista. Anche se una notizia del 2010, rivelata dal presidente dell' Unione Ciclistica Internazionale, Pat McQuaid, confermò che, nel periodo dei trionfi, Lance fece una donazione di 100 000 euro alla Federazione. Motivo che farebbe capire l'assenza di controlli anti-doping nei confronti dell'atleta. Nonostante il film tralasci la storia d'amore del ciclista con la cantante Sheryl Crow, i duelli ciclistici con Pantani e tanti altri, a questo punto i protagonisti cambiano.
Sì perchè entrano in ballo le prime confessioni di atleti dopati, le accuse di Simeoni al dott. Ferrari (bella la scena in cui Armstrong minaccia mafiosamente il corridore italiano) e ... i gregari. La seconda parte del film è notevole perchè sposta l'azione sui membri della squadra di Armstrong. E così si scopre come Lance venne glorificato, mentre le biciclette degli altri venivano usate per far cassa per pagare "il programma" . Rigorosamente in nero, all'italiana. Tale cosa fece infuriare Floyd Landis che cambiò squadra al termine della stagione. Nel 2006 Landis vinse il Tour, ma venne trovato positivo. Gli venne revocata la vittoria e fu squalificato.
Armstrong si era ritirato l'anno prima, ma i timori di essere scoperto iniziarono a farsi reali. Ed ecco che il muro omertoso iniziò a vacillare. Nel 2008, a 38 anni, Armstrong fu costretto a tornare a correre con Astana, ma ottiene solo un terzo posto al Tour 2009 dietro Contador e Schleck. Nel 2011 si ritirò defitivamente dopo risultati mediocri. Tutto ciò bastava per rendere visibili gli sponsor, per accrescere la sua popolarità, per aumentare la sua immagine di santificazione. Il resto molti di voi lo conoscono già, compresa la famosa intervista finale da Oprah Winfrey.
E' un gran bel film, forse un po' didaliscalico e un po' troppo recente, visto che la vicenda si è chiusa appena 3 anni fa. Chi da Frears esige la sorpresa, qui avrà poco spazio di azione visto che il fenomeno mediatico dietro al ciclista americano è stato piuttosto amplificato. Tuttavia il film resta da vedere soprattutto per uno strano fenomeno odierno: come può Armstrong aver influenzato milioni di persone nel mondo basando la propria vita su una bugia? Ancora una volta Frears smaschera l'inganno in maniera esemplare paragonandolo a un mondo dove le regole dello star system (o meglio del business) indirizzano il pubblico a certi comportamenti atti a soddisfare la sete di profitto di pochi.
Che si chiami Armstrong o Volkswagen o Mafia Capitale, a Frears non interessa. Prima o poi i falsi dei cadono da soli. L'importante è l'arrosto, di fumo ne è già venduto abbastanza. Se Frears fosse italiano, avrebbe spunti per tutta la sua vita. Cinematografica s'intende.
The program (Francia/ Gran Bretagna 2015)
di Stephen FREARS
Cast: Ben FOSTER, Dustin HOFFMAN, Chris O'DOWD, Guillame CANET, Jesse PIEMONS
Durata: 1h e 43 minuti
Distribuzione: Videa
Uscita: 8 Ottobre 2015
TOP I temi della storia, la ricostruzione ambientale, le interpretazioni di Foster e O'Dowd, la velocità della narrazione con la telecamera incollata alle ruote di Armstrong.
FLOP Chi si aspetta un biopic sulla vita di Lance Armstrong, rimarrà deluso. Frears vuole raccontare ben altro.
VOTO *** 1/2