Tutti questi "mondi" hanno ispirato il figlio Stefano che, zitto zitto, sta diventando uno dei registi italiani più apprezzati nel mondo. Il suo stile ormai è piuttosto riconoscibile. La dedica sui titoli di coda è tutta per il padre. La lezione pare averla imparata piuttosto bene. Infatti il suo ultimo lavoro ("Suburra") è impreziosito dal racconto delle avventure di un gruppo di uomini, ai quali viene continuamente ripetuto di non essere all'altezza dei propri padri. Della bravura di Sollima si sono accorti anche in America, dopo le apprezzatissime serie Tv "Gomorra" e "Romanzo Criminale". "Suburra" diventerà anche una serie tv per Netflix nel 2017. Sul versante cinematografico, Stefano Sollima ha realizzato solo il poliziesco "ACAB" nel 2011.
Anche lì, l'ispirazione era un libro di Carlo Bonini, noto giornalista investigativo italiano. Sì perchè anche "Suburra" è tratto da un'opera letteraria (uscita nel 2013) dello stesso Bonini e dell'ex magistrato Giancarlo De Cataldo (già autore di "Romanzo Criminale" da cui Placido ha tratto il film). Due profeti in Patria visti i recenti sviluppi di Mafia Capitale. Ovviamente il genere preferito di Sollima è il poliziesco, ma le sperimentazioni western del padre sono state necessarie per rendere i suoi film dei veri e propri "noir" metropolitani. Per intendersi in America c'è un certo Michael Mann che ha diretto capolavori di genere (Heat la sfida, Collateral e Strade violente su tutti), ma in "Suburra" c'è anche un po' di cinema europeo stile Nicolas Winding Refn (soprattutto i neon rossi dei locali somigliano a "Solo Dio Perdona") e un po' di cinema italiano (un po' del "Gomorra" di Garrone, il "Romanzo Criminale" di Placido e qualche sprazzo di Sorrentino). Sollima però ha forti gusti e non cita testualmente le sue influenze. Anche se la sua regia è ispirata molto ai film americani di genere. Tanto che all'inizio del film pare di essere catapultati in "Angeli e Demoni" di Ron Howard.
È il 5 novembre 2011 e siamo all'interno del Vaticano. C'è Ratzinger (inquadrato solo di spalle) che sta per dimettersi, schiacciato dalle pressioni interne ed esterne sugli scandali dei preti pedofili. La Chiesa è impaurita come il futuro camerlengo. Il futuro è in pericolo. Manca una guida vera. E poi c'è la preoccupante perdita di fedeli causata dei recenti scandali di pedofilia. Contemporaneamente il politico di centrodestra (matrice PDL), l'onerevole Filippo Malgradi (strepitoso Pierfrancesco Favino nel far valere la doppia, o triplice, natura di questo personaggio) sta per avere un festino a base di sesso e droga con due escort (una è minorenne) in un hotel con vista su Piazza Navona (lo stile è quello di Silvio in modalità hardcore). Una bella vetrina per uno tutto casa e famiglia come lui. È molto intelligente il nostro politico. Addirittura dopo il sesso e la coca, non si fa mancare nemmeno una copiosa urinata in piena notte dal terrazzino della camera d'albergo. Tanto l'acqua e il piscio si mescolano e non si notano al buio, avrà pensato. Lo squallore inizia a pompare a spron battuto. Tranquillo, onorevole. È in buona compagnia. A Firenze recentemente c'è chi, davanti a tutti, ha fatto i suoi "bisognini" (sesso compreso) all'aria aperta in piazza. Come diceva il Titta De Girolamo di Toni Servillo mai sottovalutare le conseguenze dell'amore.
Come nel secondo film di Paolo Sorrentino sopra citato, questo "festino" è l'innesco dell'Apocalisse che si scatenerà una settimana più tardi. L'escort minorenne muore (tranquillo Silvio! Ruby è ancora viva e vegeta). Probabilmente per overdose. Il politico non vuole metterci la faccia e scappa da buon vigliacco. L'altra escort chiama l'amico "Spadino" (Giacomo Ferrara) per "pulire". Nel corridoio i due si incrociano, senza parlarsi. Particolare molto importante. Il ragazzo si rivela ben presto il fratello di Manfredi Anacleti (Adamo Dionisi), il boss della banda degli zingari. Quelli che sono coinvolti nello scandalo calcio-scommesse (nel film tuttavia non c'è traccia di ciò). Lo stesso boss che "ha in mano" la vita del giovane Sebastiano (Elio Germano), organizzatore di feste mondane per vip in stile "grande bellezza" di sorrentiniana memoria. "Spadino" ricatta Malgradi per non rivelare niente del festino a luci rosse. Vuole fare soldi, entrare nel "giro", procurare escort e droga al politico per migliorare il suo giro d'affari. L'onorevole, in crisi, chiede aiuto (indirettamente) a Samurai (Claudio Amendola), ultimo esponente della Banda della Magliana nonchè intermediario degli affari romani della mafia.
È chiaro che questo personaggio è facilmente associabile, nella realtà, a Massimo Carminati (a cui già Michele Placido si era ispirato per il personaggio di Scamarcio in "Romanzo Criminale").
Samurai è il garante di tutta la malavita. Tutti lo rispettano e lo temono. È il padrone di Roma. La situazione però sfugge di mano anche a lui per colpa di un boss della malavita del litorale di Ostia. Il suo nome d'arte è "Numero 8" (Alessandro Borghi di "Non essere cattivo"), figlio di un ex "compagno di bravate" di Samurai. Il giovane, insieme alla fidanzata tossiconame Viola (Greta Scarano di "Senza nessuna pietà"), sogna di trasformare il litorale romano in una sorta di "city of blinding lights" stile Las Vegas con il progetto "Waterfront". Samurai ha bisogno di una legge sulle periferie per approvare la cosa e chiede aiuto al corrotto Malgradi. "La legge passerà, se c'è bisogno di comprare qualcuno, specie dall'altra parte, non ci sono problemi". Non è la politica che preoccupa. Lì il terreno è sempre fertile. In Italia questo assioma lo conosciamo.
Il problema è che un evento (inaspettato?) porterà a una guerra tra il clan degli zingari di Manfredi Anacleti e la banda di Numero 8. L'affare rischia di saltare. Tuttavia l'Apocalisse non è questa: il 12 novembre Silvio Berlusconi si dimette da Presidente del Consiglio. Attualmente è l'ultimo governo eletto dal popolo italiano. Malgradi subirà delle ripercussioni sul suo futuro (stupendo il "tratteggio" psicologico di Favino sul personaggio in questa scena).
Il Papa, per la prima volta nella storia, si dimette lasciando la Chiesa senza una guida (anche se nella realtà Ratzinger si è dimesso l'11 febbraio 2013). Ecco che i destini di tutti i personaggi ci fanno capire cos'è la Suburra del titolo: nell'Antica Roma era un vasto e popoloso quartiere sulle pendici dei colli Quirinale e Viminale che viveva in condizioni miserabili nonostante fosse affacciata su un'area ricca di monumenti e servizi pubblici. Per questo oggi nel linguaggio comune questo termine è sinonimo di luogo malfamato, teatro di immoralità, squallore e criminalità. Peggio della Sin City di Frank Miller. Ignazio Marino, per una volta, non c'entra niente (anche se era presente alla "prima" del film al cinema Adriano di Roma). Dimenticate gli scontrini e la casa vista Colosseo di Scajola. Nel film la Suburra non è l'omonima piazza della zona dei fori imperiali, ma è il luogo dove esponenti della malavita, del Vaticano, della politica (e quant'altro) si ritrovano per prendere accordi (vedi scena dell' incontro tra Samurai e Malgradi), per soddisfare le loro manie di grandezza. Eppure se si vuole cercare la tragica realtà odierna di Roma, si rimarrà in parte delusi. Non è un documentario. Sollima lo ha detto a più riprese. Non ci mettete dentro Marino, non ci incastra nulla.
"Suburra" è grande cinema italiano che però ha il pregio di raccontare delle cose molto attuali. Il resto è intrattenimento di grande qualità con una ricostruzione ambientale da applausi scroscianti come l'acqua che invade la Capitale dall'inizio alla fine. La pioggia cade dal cielo, ma quando piove ininterrottamente le fogne si riempiono. Ed ecco che l'acqua piovana e quella putrida si uniscono e fuoriescono. Come le persone perbene e quelle corrotte. Per Sollima non c'è salvezza e nessuna "ciambella" di salvataggio. Roma non ha molte speranze. Forse aveva ragione il nemico di Batman, Ras Al Ghul quando diceva che la città è diventata terreno fertile per sofferenze e ingiustizie. Non c'è possibilità di salvezza, va aiutata a farla cadere per riazzerare tutto. Tutti sono dei perdenti. Soprattutto il cittadino comune che è costretto, prima o poi, a fare i conti con la realtà criminale, finendo per rimanerne corrotto. È un film di medio/alto budget per il cinema italiano (7 milioni di euro), è piuttosto atipico, molto bello, curato, ammaliante. I pregi maggiori sono le scenografie (stupenda la ricostruzione degli ambienti), le luci e il cast straordinario: già conosciamo Favino e Germano (il primo bravissimo nelle varie sfumature, il secondo è leggermente mal asservito dalla sceneggiatura), ma qui le vere sorprese sono il gran ritorno di Claudio Amendola e soprattutto Alessandro Borghi (che pare il calciatore Daniele De Rossi senza capelli). Un vero gigante. Straordinario. Speriamo che non si perda strada facendo.
Poteva essere un capolavoro, ma negli ultimi 10 minuti la sceneggiatura (firmata dagli storici Rulli e Petraglia, già autori di "Romanzo di una strage" di Giordana) fa qualche strafalcione: l'epilogo del personaggio di Germano, l'evoluzione di quello di Greta Scarano sembrano in parte metaforici e stonano con il resto della storia. Così come il finale che è piuttosto "telefonato". Non tenetene conto. Perchè per quasi due ore il film intrattiene alla grande e scorre copiosamente come l'acqua che cade su Roma. A questo punto sorge una dubbio amletico sulla Capitale: se piove merda e devi metterci un ombrello, chi chiamerai? Più che il "ghostbuster" Bill Murray, la risposta la dovrebbe dare la politica.
SUBURRA (Italia 2015)
di Stefano SOLLIMA
Cast: Pierfrancesco Favino, Elio Germano, Claudio Amendola, Greta Scarano, Alessandro Borghi, Antonello Fassari, Giulia Elettra Gorietti, Adamo Dionisi, Giacomo Ferrara
Durata: 2h e 10 minuti
Produzione e distribuzione: Rai Cinema - 01 Distribution
Uscita: 14 Ottobre 2015
VOTO ****
TOP Cast sontuoso (con Alessandro Borghi e Pierfrancesco Favino sugli allori), la contemporaneità della storia, la stupenda messa in scena degli ambienti, gli omaggi al cinema d'autore contemporaneo. Dà l'impressione di non essere un film italiano.
FLOP Senza alcuni antichi difetti italici di sceneggiatura (il "colpo di scena" telefonato del finale, l'epilogo dei personaggi di Germano e Scarano) sarebbe un quasi capolavoro, se si considera la qualità del cinema italiano mainstream. Chi cercherà il confronto diretto con la realtà, rimarrà profondamente deluso.