IL CASO SPOTLIGHT ****
(USA 2015)
di Tom MC CARTHY
con Michael KEATON, Rachel MC ADAMS, Mark RUFFALO, Liev SCHREIBER, Stanley TUCCI, Billy CRUDUP
Durata: 2h e 8 minuti
Distribuzione: BIM
CANDIDATO A 6 PREMI OSCAR
Uscita: 18 febbraio
Ci sono delle storie difficili che vanno raccontate e divulgate per far sì che la gente non le dimentichi. 2001. Gli Stati Uniti in quell'anno subirono l'attentato alle Twin Towers, l'11 settembre. Sullo sfondo c'è anche questo evento. Ma nel film di Mc Carthy si parla di altro: lo scandalo della pedofilia nella Chiesa. Ancora una volta è la città di Boston a ospitare gli eventi narrati nella pellicola. Già numerose opere avevano la città americana come sede (vedi Mystic River, The Departed e tanti altri). Il giornale “Boston Globe” indagò sugli abusi sessuali nei confronti dei minori, insabbiati dall'istituzione ecclesiastica. Portò alla luce questi fatti e vinse anche un Pulitzer di “pubblico servizio” nel 2003. Molti dei preti che avevano abusato dei minori, erano cattolici di origini irlandesi. Inizialmente sembrano pochi, poi diventano tanti fino a che non si scopre che in tutto il mondo il virus della pedofilia sta “mordendo “ e non poco. Nonostante il 53% dei lettori del giornale fosse cattolico, il neo direttore del giornale, l'ebreo Marty Byron (Liev Schreiber), guidò la squadra investigativa contro l'omertà dei media e del potere ecclesiastico. Il bene pubblico era più importante della fede di una parte dei suoi lettori. Insieme a lui c'erano Ben Bradlee Jr (John Slattery), Walter Robinson (Michael Keaton), Sascha Pfeiffer (Rachel Mc Adams), Michael Rezendes (Mark Ruffalo) e Matty Carroll (Brian D'Arcy James). Il team fu ribattezzato “Spotlight”, inteso come luce della ribalta.
Sì perché nel grigiore generale questi giornalisti illuminarono la scena, rendendo pubblica una storia drammatica, ma reale. Il tutto partì dalle indagini su un ex sacerdote divenuto psichiatra e sposato con una ex suora (il massimo per uno spot del Family Day) che, nel corso di trent’anni, fece una ricerca stabilendo che il 53% dei preti non rispettava il voto di castità e il 6% compiva reati di pedofilia. Una bella media, non c'è che dire. Molti di questi sacerdoti rimasero impuniti, ma alle vittime rovinarono le loro esistenze indelebilmente. Questo non dimentichiamolo mai. Il direttore era convintissimo che il cardinale di Boston fosse al corrente della storia, ma utilizzò il potere in modo che le cose non fossero rese pubbliche. I documenti vennero segretati.
La cosa non fu affatto facile: il Cardinale Law, arcivescovo di Boston, tentò in tutti i modi di ostacolare il loro lavoro con intimidazioni e minacce. E poi, parlando con l'avvocato delle vittime (Stanley Tucci), i giornalisti si resero conto che queste persone erano state indottrinate e costrette a non rivelare nulla. La paura regnava sovrana. La Chiesa Cattolica non era (e non è) credibile perché pensa di poter salvare tanta gente nascondendo la perversione di pochi. La condotta è fondamentale nella scuola, così come nell'educazione della classe dirigente. Figuriamoci nell'istituzione che da sempre predica la buona morale, finendo spesso per “razzolare” nel modo opposto. La forza con cui Papa Francesco ha condannato i colpevoli di questo tipo di reati è la prova di un’acquisita nuova consapevolezza in materia. Da Roma, solitamente molto loquaci e invasivi, non hanno aperto bocca su questo film. È un motivo in più per andare a vederlo.
Il film di Tom Mc Carthy è un'opera solida e corale, senza fronzoli e retorica dove non si avverte più il rumore delle macchine da scrivere della cultura giornalistica del Novecento. Oggi il giornalismo si fa aspettando le notizie dell'Ansa davanti a un computer, non per strada, ma questi giornalisti-detective attingono dalla vecchia scuola. Modello anni '70 in puro stile “Tutti gli uomini del presidente” di Alan J. Pakula. Soliti muri, stessi uffici, identiche inquadrature, regia solida, interpreti superlativi (su tutti Michael Keaton e uno straordinario Mark Ruffalo). Lì c'erano i paladini senza macchia Robert Redford e Dustin Hoffman, oggi invece ci sono Michael Keaton (ritornato a graffiare al cinema dopo “Birdman”), Rachel Mc Adams (scelta già in un ruolo simile in “State of play”), Mark Ruffalo, Billy Crudup, Liev Schreiber. Tutti bravissimi. Giornalisti italiani, svegliatevi e prendete appunti.Non solo loro, però. Anche gli altri italiani (cattolici compresi) farebbero bene ad indignarsi. La pedofilia è un male da debellare all'istante. Avete idea cosa significhi subire tali abusi nella fase più delicata della vita? Su questo tema c'è ancora troppo omertà. Cinematograficamente parlando, per scuotere la gente dal torpore, utilizzerei una frase importante di “Mystic River” di Clint Eastwood: “a volte penso che ci siamo saliti tutti su quella macchina”. Se poi non vi basta, leggete attentamente i titoli di coda di “Spotlight” e capirete.
TOP La regia, la sceneggiatura serrata, la qualità degli interpreti (Keaton e Ruffalo in primis), l'omaggio al cinema anni '70, l'aver portato alla luce una storia così importante, l'idea alla base del giornalismo d'inchiesta, l'analisi della pedofilia (e l'omertà) come uno dei peggiori mali della società.
FLOP Non consigliato a chi non ama i film ricchi di dialoghi. Per i cattolici ferventi sarà dura accettare queste tragiche verità.
IL CLUB ****
(Cile 2015)
di Pablo LARRAIN
con Alfredo CASTRO, Roberto FARIAS, Antonia ZEGERS
Durata: 1h e 38 minuti
Distribuzione: Bolero
Uscita: 25 febbraio
Fin dagli esordi, il cileno Pablo Larrain ha mostrato tutta la sua stoffa: prima con “Tony Manero”, film nel quale analizzava la società cilena ai tempi di Pinochet attraverso la figura di un uomo (l'attore feticcio Alfredo Castro) ossessionato dal personaggio di John Travolta de “La febbre del sabato sera”. Ovviamente il pretesto era quello di analizzare la cultura cilena e quella americana (la colonizzatrice) che imponeva (e impone) determinati riferimenti. Nel successivo “Post Mortem”, Larrain raccontava il golpe del 1973 attraverso gli occhi di un impiegato (interpretato dal solito Alfredo Castro) di un obitorio di Santiago. Successivamente ha trattato la caduta del regime di Pinochet del 1988 nello splendido “NO – I giorni dell'arcobaleno”. Qui aveva trattato la campagna pubblicitaria del comitato del “NO” negli ultimi tempi del regime. Gael Garcia Bernal, il protagonista, era assolutamente perfetto per questo ruolo. Pablo Larrain è un regista di grandissimo talento, capace di scovare angoli nascosti, orrori insabbiati con grande tecnica e un sesto senso per lo spettacolo. Nel 2016 uscirà anche in Italia con ben due film: “Il Club”, Orso d'argento a Berlino 2015 (dietro “Taxi Teheran” di Panahi), e il biopic “Neruda” (il poeta sarà interpretato da Gael Garcia Bernal). Arriverà da noi il prossimo autunno. Questa volta al centro della discussione c'è la Chiesa, ma Larrain lascia (apparentemente) il tema del potere trattato nelle opere precedenti. Una casetta (apparentemente anonima) sulla costa cilena è l'oggetto di un'indagine. Qui vivono un gruppo di uomini e una donna, Monica. Chi sono?
Dimenticate la casa del Grande Fratello. Non è un reality. Sembrano tutte persone comuni, ma non lo sono. All'interno abbiamo 4 sacerdoti e una suora “custode” che vivono in una sorta di prigione per espiare i peccati del passato. Alcuni hanno rovinato vite umane, altri sono pedofili. Alcuni sono vittime, altri sono carnefici. Qualcuno tutti e due. Un giorno però un quinto uomo, Padre Garcia, arriva nel piccolo “club” per indagare per conto della Chiesa su un fatto accaduto all'interno della casetta. L'obiettivo è far sì che la cosa rimanga segreta. Ma il passato di quest'uomo sarà pulito? E perchè questi personaggi vivono questo esilio? Sono loro a provare imbarazzo o è la Chiesa? Il palazzo lascia il posto all'istituzione religiosa, il giudizio degli uomini a quello di Dio ma si tratta sempre del club, secondo la chiave di lettura suggerita fin dal titolo. Oggetto d’indagine è ancora una volta l'abuso di potere di alcuni nei confronti di altri.
Larrain è uno dei registi contemporanei che mi piace di più in assoluto perché riesce ad indagare a fondo sulle cose, non avendo paura a “sporcarsi” le mani. “Il Club” è un'opera sincera, a tratti disturbante, che ha il compito di portare avanti non tanto la moralizzazione della Chiesa, quanto l'ignoranza e le ipocrisie degli uomini che compongono una comunità. È un film senza scrupoli che non ha paura del giudizio dello spettatore, anzi pretende che chi guarda partecipi. Un'opera necessaria fatta di fantasmi, luci ed ombre (come nella citazione della Genesi di inizio film), responsabilità ed omissioni. Il regista non giudica questi personaggi nonostante le loro imperdonabili azioni del passato. Larrain vuole che la Chiesa prenda atto della propria “composizione umana”, compresa l'imperfezione. Come sta facendo Papa Francesco. Voltare pagina è sempre più necessario per un'istituzione antica come quella della Chiesa Romana.
TOP La regia, i temi del film, l'uso delle luci e delle ombre per dare maggior peso ed efficacia alla storia, la coerenza e la capacità di Larrain di ricercare la verità.
FLOP La lentezza della narrazione in alcuni tratti.
Diteci la Vostra opinione!
Buona visione!