È appena uscito il quarto film da regista dell'attrice Jodie Foster, in contemporanea con la presentazione (fuori concorso) al Festival di Cannes. Purtroppo per lei era meglio quando faceva il suo mestiere: recitare. Non che abbia fatto un brutto film, ma francamente mi aspettavo di più visti i presupposti e i temi. Per tre-quarti il film funziona, intrattiene, ma poi crolla fragorosamente perché la sceneggiatura sceglie la via più convenzionale incappando in qualche buccia di banana e in colpi di scena prevedibili. Da film americano di genere. La Foster tiene conto di vecchie lezioni (Quel pomeriggio di un giorno da cani, Quinto potere e la serie tv The Newsroom), mescolato a qualche esperienza da attrice (su tutte "Inside Man" di Spike Lee, da cui copia diverse inquadrature senza però raggiungere l'altissimo livello di quel film). Peccato che non abbia un team di sceneggiatori di livello e che non sia una regista capace di eguagliare consumati maestri della settima arte. Tutto ciò si nota, nonostante la presenza di Clooney e della Roberts che tappano qualche buco. Se confrontiamo "Money Monster" con il recente "La grande scommessa" di Adam McKay, si capisce che l'operazione è simile: studiare la crisi economica, le sue azioni e le sue conseguenze in modo da rendere "pop" il tutto. Il rischio è che quest'opera finisca per essere più efficace (per i più) dell'altra per il linguaggio, ma non rischia niente. E' tutto molto convenzionale e hollywoodiano (nel bene e nel male), mentre il film di McKay di rischi se ne prendeva molti. Ed è per questo che l'ho apprezzato.
Ma veniamo alla trama. C'è un presentatore televisivo di nome Lee Gates (George Clooney) che guida gli spettatori nel suo programma "Money Monster". Dà suggerimenti, consigli per investire i risparmi alla gente. È tutto confezionato, uno spettacolo finto e un po' trash. Un giorno, però, il giovane Kyle (Jack O' Donnell di "Unbroken") imperversa in studio con una pistola. Fa mettere un giubbotto imbottito di esplosivo a Gates. Il detonatore è controllato dallo stesso Kyle che vuole giustizia. Minaccia di fare una strage fino a che non raggiungerà il suo obbiettivo: la verità. Decide di "far ragionare" Gates mandando nel panico tutta la troupe. Il caso finisce sui notiziari di tutto il mondo. Il giovane ha seguito i consigli del programma tv, ha investito i suoi risparmi ed era rimasto fregato. I suoi soldi erano spariti. 60000 dollari. Pochi per gente come Gates, ma abbastanza per un giovane che deve pagarsi la casa (e le relative spese) a New York. La producer Patty (Julia Roberts), prossima a cambiare network, guida Gates verso un'ancora di salvezza inviandogli consigli, mettendosi in contatto con la polizia e tanto altro. Viene fuori che un fondo di investimento ha bruciato 800 milioni in un giorno. Tante persone era rimaste fregate. Come è potuto accadere tutto ciò? Chi c'è dietro questa operazione? Siamo di fronte a un classico thriller (con sfumature ironiche affidate a Clooney) che prova a coinvolgere lo spettatore sul trading (e le sue conseguenze morali) operato dai grandi fondi di investimento. Per intendersi quelli che muovono velocemente miliardi di dollari ogni giorno. Gente senza scrupoli che se ne frega della gente, dei suoi risparmi e dei loro investimenti. L'importante è far danzare il dio denaro.
Ha ragione Kyle. "O credi nelle persone o nei soldi". Oggi non ci sono vie di mezzo. Conosco tante persone (anche povere) che, a parole, credono negli esseri umani, ma quando sentono anche solo il profumo dei soldi, diventano talmente "impotenti" da cambiare opinione. Non è affatto un brutto film, anzi ha un ritmo indiavolato, incalzante, dialoghi serrati, ma manca l'equilibrio.
Nella prima parte la pellicola scorre molto bene con un montaggio invidiabile (nel nostro cinema sarebbe impossibile da proporre) e con premesse invitanti. Peccato che nella seconda lo spettatore sa già dove si andrà a finire, finale compreso. E tutto diventa schematico e sa di già (ampiamente) visto. In ogni caso il messaggio della Foster, dato in pasto a Julia Roberts, è lodevole e cinico: "qui non facciamo giornalismo televisivo, punto." Almeno che qualcuno non ci metta la pistola alla tempia. Si sa, la manipolazione mediatica (e politicizzata) è ancora più letale della forza della finanza. Ma anche questo incipit è tradito dall'idea che invade questo film: per lunghi tratti sembra un film contrario al capitalismo, ma poi alla fine tutto ciò viene ampiamente cambiato in corso d'opera dando un colpo al cerchio e uno alla botte. Nel tritacarne ci finisce di tutto: polpa, ossa e carcasse. Serviva più cinismo e più cattiveria per un film di questo tipo. La sensazione è che alla fine lo star system hollywoodiano vinca sempre, soffocando il (raro) "wind of change". Ed ecco che alla fine emerge il vero colpevole dell'operazione: il capitalismo. E i rimpianti per una buona riuscita dell'operazione aumentano.
TOP
Il montaggio
I temi proposti
Il ritmo incalzante
I dialoghi ficcanti e serrati della prima parte
L'amalgama tra le due star George Clooney e Julia Roberts.
FLOP
La sceneggiatura nella seconda parte che tradisce i buoni propositi della prima
Il cinismo che doveva essere maggiore viste le tematiche proposte
La Foster che non è ai livelli registici di Lumet e Spike Lee
L'invadenza dello star system hollywoodiano
Le smorfiettine e le battutine da spot Nespresso di George Clooney sono evitabili
Julia Roberts per lunghi tratti è acida all'inverosimile