Menomale che c'è Paolo Virzì, ultimo erede della magica epoca della commedia all'italiana. Un vero toccasana per il nostro cinema. Finora ogni volta che esce una sua opera, ha sempre fatto bene e ha lasciato un'impronta sul pubblico. Prendete Ovosodo, il cult Ferie d'agosto, Caterina va in città, Tutta la vita davanti, N- Io e Napoleone, La prima cosa bella, Tutti i santi giorni, Il capitale umano. Sono tutti film interessanti, divertenti e riflessivi. Proprio sul set di quest'ultima pellicola è nata “La pazza gioia”. Virzì racconta che il giorno del suo compleanno, arrivarono sul set Valeria Bruni Tedeschi e la moglie Micaela Ramazzotti per festeggiarlo. Mentre le due attrici camminavano in coppia, intuì il potenziale di queste due donne. Così Virzì ne parlò con la regista Francesca Archibugi. Il regista livornese collaborò all'ultimo progetto dell'amica, il remake “Il nome del figlio”. Nel film recitava anche Micaela Ramazzotti. Per la prima volta Virzì ha lasciato il suo sceneggiatore di fiducia, Francesco Bruni. Peccato perché personalmente ritengo che sia uno dei più bravi scrittori del nostro cinema contemporaneo. La sua impronta si avverte nei film sopra citati. Virzì e l'Archibugi iniziarono a scrivere questo nuovo progetto a quattro mani. Il risultato è garantito. Finalmente un film italiano che parla di qualcosa con cuore, idee (non originalissime) e passione. Dopo aver raccontato ne “Il capitale umano” del mondo dell'alta finanza e delle sue derive etico-sociali, questa volta al centro dell'intreccio ci sono i pazzi nel periodo successivo alla legge Basaglia. Per intendersi quelle normative che riformarono la disciplina psichiatrica in Italia, affermando che i trattamenti sanitari potessero essere volontari e/o obbligatori. Paolo Virzì ha molto a cuore questo tema perché nel suo cinema l'imperfezione umana ha sempre un suo spazio.
“La pazza gioia” è la somma delle opere precedenti del regista livornese, considerando anche che molti interpreti dei film precedenti sono tornati anche qui. Marco Messeri, Sergio Albelli, Bobo Rondelli e le due protagoniste Micaela Ramazzotti e Valeria Bruni Tedeschi sono gli esempi più illustri della continuità del cinema di Virzì. Che ormai non è più solo nazional-popolare, visto che è sbarcato al Festival di Cannes (sezione “Quinzaine des Realisateurs”). “La pazza gioia” è stato venduto in oltre 40 Paesi. Come dicevo precedentemente, il film non è originale. Prende spunto prevalentemente dal cult “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman (se non l'avete visto, fatelo subito) e da “Thelma & Louise” di Ridley Scott, passando per una recente lezione di cinema italiano: “Si può fare” di Giulio Manfredonia (altro film da vedere).
Siamo a Villa Biondi, in provincia di Pistoia, in una comunità terapeutica per donne con disturbi mentali. Tra le pazienti spiccano Beatrice Morandini Valdirana (Valeria Bruni Tedeschi, da standing ovation) e Donatella Morelli (la solita Micaela Ramazzotti). La prima è una bionda mitomane istrionica, logorroica e orgogliosamente borghese. Berlusconiana della prima ora, ha mandato a quel paese un marito ricchissimo per inseguire l'uomo sbagliato, precipitando nel baratro. Tanto per non farle mancare nulla. La seconda è una giovane madre dai capelli scuri, tatuata, psicologicamente fragile e un passato piuttosto torbido. Nonostante siano profondamente diverse, si sa gli opposti si attraggono e finiscono per diventare amiche. Un giorno Beatrice convince Donatella a fuggire, approfittando di un momento di debolezza della “macchina organizzativa” di Villa Biondi. Come la famosa scena del “nido del cuculo” con la famosa gita in barca, da cui Virzì ha ripreso molto. Le due scappano, stile “Thelma & Louise”, dandosi alla pazza gioia. Quell'euforia irragionevole che ti permette di andare oltre i limiti imposti. Nella seconda parte diventa un film on the road. Lungo la strada, le due riassaporeranno la libertà, ma anche i fantasmi del passato. È davvero un gran film.
Oltre a parlare di igiene mentale, gli OPG (ospedali psichiatrici giudiziari) e la sottile linea rossa tra follia e normalità, Virzì innesca il turbo affrontando il disagio psichico, il sessismo, il senso di comunità, le differenze di classe, la tutela dei minori. Insomma viviamo in una società profondamente malata dove non c'è più etica e rispetto per le persone (anche quelle sane). “Ormai non riesco a osservare le persone senza usare gli strumenti della psichiatria. Quel poco di politica che guardo in tv mi appassiona solo dal punto di vista clinico. Renzismo, grillismo, salvinismo, berlusconismo, mi sembrano il nome di patologie da studiare. E il più delle volte non mi sembrano follie divertenti, ma disturbi ossessivi e cupi” - ha dichiarato recentemente il regista in un'intervista sul Venerdì di Repubblica. Ha ragione perché nessun pazzo dice di esserlo. Figuriamoci i sani. E come diceva Mark Twain, i vostri guai non vengono da ciò che non sapete, ma da ciò che siete sicuri di sapere. Ed ecco che l'opera diventa un pretesto per dire chiaramente che coloro che non rientrano negli schemi, sono fuori dalla società. Le donne specialmente. Già, le femmine. Cosa sarebbe questo film senza le quote rosa? Davvero difficile da dire. Le due protagoniste sono l'arma in più: Valeria Bruni Tedeschi è sublime, sempre sopra le righe, mentre Micaela Ramazzotti lavora in sottrazione mostrando tutte le sfumature (e le contraddizioni) psicologiche del personaggio. Tuttavia quando il personaggio della prima cala, la seconda sale in cattedra, pertanto la coppia è oggettivamente amalgamata benissimo dando briosità e vivacità al racconto. Tanto che a Cannes al film sono stati tributati ben 10 minuti di applausi scroscianti. Menomale ci sono i pazzi in questo mondo. Quelli/e che osano, per intendersi.
A Firenze un proverbio dice “ se un son grulli un si vogliano”. Sicuramente in Italia non abbiamo di questi problemi...
TOP
La coppia Micaela Ramazzotti – Valeria Bruni Tedeschi è il sale (e il pepe) del film
La regia accorta di Virzì
La commistione tra commedia e dramma
L'ambientazione toscana del film, girato tra la provincia di Pistoia e la Versilia
I temi proposti
FLOP
Alcuni elementi della sceneggiatura non convincono pienamente (vedi la corsa della Ramazzotti, che nella scena precedente ha un tutore al ginocchio)
I troppi “sottofinali” che conducono a un finale che si può prevedere
L'uso eccessivo di “Senza fine” (riletta da Carlo Virzì, fratello del regista) durante più momenti del racconto