2010. Tim Burton (qui solo produttore) usciva al cinema con “Alice in Wonderland”. Alla gente piacque la rivisitazione fiabesca del classico di Carroll. La Disney si leccò i baffi, visto che la pellicola è il 22° incasso di tutti i tempi. La critica, in compenso, contestò la scelta di Burton di sposare in toto la CGI (computer grafica), lasciando fuori di fatto il suo stile artigianale. Da allora la Casa di Topolino si è fatta potentissima: ha comprato la Lucas Film (con Star Wars annesso), la Marvel e ha cominciato a ripescare le idee dai suoi classici. Erano nati i cosiddetti remake in live action con tonnellate di CGI, con annesso notevole calo di spessore dei personaggi. Da quel momento sono arrivate in sala una miriade di rivisitazioni: da Alice al Libro della Giungla, da Maleficent a Cenerentola. Solo per citarne alcuni. L'indipendenza artistica è solo un lontano ricordo (sarà per questo che Burton ha lasciato?). Questa non è proprio una bella notizia visto che ultimamente i film Disney sono abbastanza piatti, prevedibili e zuccherosi. Per questo molte persone (io compreso) considera il monopolio espressione di scarsa qualità perchè ricerca la via più facile attraverso il denaro. È il caso anche di questo sequel/prequel della saga di Alice nel paese delle meraviglie. Alla cabina di regia ecco James Bobin (“I muppet”) al posto di Tim Burton, mentre alla sceneggiatura ecco l'esperta Linda Wolvertoon (Il re leone, Maleficent). A fare la differenza ci sono ben 170 milioni di dollari di budget (spesi soprattutto per la CGI).
Il cast del primo film è stato confermato con alcune aggiunte interessanti: Sacha Baron Cohen e Rhys Ifans su tutti. Le mie paure riguardo la bontà dell'opera sono iniziate puntualmente con l'inizio del film: Alice (la solita Mia Wasikoskawa, ormai intrappolata in questo personaggio) guida il vascello del defunto padre come se fosse una via di mezzo tra Jack Sparrow e Owen Chase di “Heart of the sea”. Agghiacciante, sul serio. Di una leggerezza sconcertante. Non vi rivelo altro. Poi il film fortunatamente migliora. La ragazza ha rifiutato il matrimonio combinato (siamo nel 1875) e un impiego sicuro perché capisce che è tutto un grosso imbroglio. All'epoca il Jobs Act non c'era, Renzi nemmeno. Al suo ritorno la ragazza deve prendere delle importanti decisioni insieme alla madre. Improvvisamente vede il Brucaliffo (la voce è del defunto Alan Rickman, a cui è stato dedicato il film), lo segue e finisce per passare attraverso uno specchio magico. Manca l'armadio e poi l'idea di partenza pare somigliare a Narnia, ma da qui, per qualche tratto, sembra di essere avvolti anche nel cinema di Terry Gilliam: dapprima in “Parnassus” e poi, dopo aver varcato la soglia della porta, ne “Le avventure del Barone di Munchausen”. Più avanti ci sarà anche spazio per un (leggero) omaggio a “L'esercito delle 12 scimmie” (lascio a Voi la scoperta). Tornata nel Paese delle Meraviglie, vede che tira una brutta aria: il Cappellaio Matto (Johnny Depp, sempre più “sparrowizzato”) sta male. In ballo c'è il passato della sua famiglia. Perfino l'ora del tè è minacciata in maniera seria. Alice e i suoi amici sono dispiaciuti e tentano di dargli una mano. La Regina Bianca (Anne Hathaway, insopportabile per le sue mossettine e sformiettine da “Pretty Princess”) le fornisce una possibile soluzione: entrare in possesso della cronosfera per cambiare il passato del Cappellaio. Sembra di essere in “Ritorno al Futuro”. Al posto della mitica Delorean, c'è la sfera magica. Peccato che sia in possesso di un ambiguo personaggio: il Tempo (un notevole Sacha Baron Cohen), che vive in un posto che sembra uscito dai film di Tim Burton, da “Harry Potter” e dalla residenza di “Crimson Peak” di Del Toro (dove recitava Mia Wasikowska). Anche nel Paese delle Meraviglie tutto è scandito dal ticchettio e dalle lancette dell'orologio (in puro stile “Hugo Cabret”, dove, guarda caso, c'era anche Baron Cohen). Il problema è che la cronosfera è ambita anche dalla perfida “capocciona” della Regina Rossa (una sublime Helena Bonham Carter, sempre sopra le righe). E piano piano, addentrandoci nella storia, ci si rende conto del passato del Cappellaio Matto, del suo rapporto non idilliaco con il padre (Rhys Ifans di “I love radio rock”) e delle cause dei brutti rapporti tra le due sorelle Regine (che paiono uscite da “Frozen”).
Il bello del film è tutto qui, nella parte centrale dove il ruolo del tempo diventa fondamentale. Le origini dei personaggi ci spiegano le azioni del primo film, rendendo l'opera vivace. Peccato che il ritmo del racconto sia spezzato dalla troppa leggerezza della sceneggiatura (fatta ad arte per strizzare l'occhio a ogni tipo di pubblico, in puro stile Disney moderno) e dall'incessante (ed invasivo) uso della computer grafica che finisce per sovrastare la psicologia dei personaggi. James Bobin sembra puntare sullo spettacolo visivo, ma non sempre centra il bersaglio. Menomale che c'è un frizzante Baron Cohen fornisce una cascata di aforismi in serie, mettendo al centro del racconto la famiglia e il ruolo del tempo che passa. Questo può essere tiranno, può essere un illusione, può passare velocemente o meno, può essere usato bene o male. Non è (sempre) buono e non è (sempre) cattivo, ma dobbiamo impararci a coesistere. Anche la nostra eroina Alice dovrà rendersi conto che il passato è meglio non modificarlo. Però si può imparare da esso per migliorare il proprio futuro. Come direbbe Jep Gambardella de “La grande bellezza”, la più sorprendente scoperta che ho fatto è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare. Se anche Voi siete d'accordo con lui, provate ad agire di conseguenza. Potreste trarne giovamento.
TOP
Le musiche di Danny Elfmann (collaboratore di lunga data di Tim Burton)
Sacha Baron Cohen oscura Johnny Depp
La riflessione non banale sul tempo che passa
Gli omaggi al cinema di Gilliam e non solo
L'interpretazione di Helena Bonham Carter
Le origini dei personaggi che risolvono alcuni punti oscuri del film precedente
FLOP
La sceneggiatura troppo leggera che comprime e minimizza l'opera letteraria di Lewis Carroll
Il monopolio Disney che uccide la creatività e l'originalità
La solita rappresentazione hollywoodiana di alcuni personaggi (il Cappellaio Matto stile Jack Sparrow, la rappresentazione dei “minuti” e delle “ore”)
Johnny Depp, Mia Wasikowska e Anne Hathaway hanno stufato con le solite mossettine e smorfiettine
James Bobin non è Tim Burton
L'uso smisurato degli effetti speciali e della computer grafica
Il mancato utilizzo dell'ironia
L'inizio del film
Il finale frettoloso