Correva l'anno 2002 quando Jason Bourne faceva la sua prima apparizione sul grande schermo. "The Bourne Identity" fu l'inizio di tutto. L'ex agente segreto della Cia deve la sua fama ai romanzi di spionaggio della sagace penna di Robert Ludlum. Visto il successo del primo episodio, la Universal si convinse nel proseguire il racconto, prima nel 2004 con "The Bourne Supremacy" e poi nel 2007 con "The Bourne Ultimatum". Alla direzione, ad eccezione del primo episodio firmato da Doug Liman, c'è sempre stato Paul Greengrass ("Captain Phillips").
La peculiarità del suo stile registico è l'uso forsennato delle sue macchine da presa, soprattutto nelle scene d'azione che seguono i personaggi in maniera quasi compulsiva. Il risultato è che il pubblico si sente immerso totalmente nella visione. La narrazione è appassionante e tende a ricostruire il passato del protagonista attraverso un montaggio serrato fatto di indizi, flashback e informazioni segrete. Fu proprio per divergenze creative tra Universal e il regista che nel 2012 uscì in sala lo spin-off "The Bourne Legacy". Il personaggio di Jeremy Renner era un altro agente segreto in cerca di vendetta. Il suo nome era Aaron Cross. Greengrass e Damon non presero parte alla quarta pellicola della saga. Tuttavia alla base del successo di questo personaggio, sempre interpretato da Matt Damon, c'è sicuramente il fatto che questo spietato killer smemorato parla poco, agisce e alla svelta. È un maestro nelle arti marziali, esperto nel procurarsi vie d'uscita quando non ci sono, nello studiare le vie di fuga, nel conoscere i posti.. Che sono tanti visto che in ogni film ci sono almeno 5-6 location sparse in tutto il globo. Sono passati 14 anni dal primo episodio, Matt Damon ha qualche ruga, qualche capello bianco in testa, ma è sempre più gonfio (muscolarmente parlando).
Sicuramente chi si chiede dove sarà stato Bourne in questi 9 anni, sa già la risposta. Per i duri di comprendonio, la parola chiave è la palestra. Male che vada, sarà stato ad imbottirsi di steroidi. Nel 2015 Greengrass, Damon e la Universal hanno trovato l'accordo per tornare ad occuparsi del franchise. Ed eccoci a parlare del quinto capitolo (anche se in realtà è il quarto, visto che "The Bourne Legacy" è uno spin-off della saga), uscito in Italia lo scorso 1 settembre. Bourne (Matt Damon) si è allontanato dalla CIA e dall'America, è sempre solo e fa combattimenti clandestini di boxe in Grecia. C'è la crisi anche per lui.
Sembra una battuta facile, ma l'economia rappresenta uno dei personaggi di questo film. Uno dei momenti più belli è ambientato ad Atene. Bourne è stato rintracciato dalla
CIA nel bel mezzo della protesta del popolo ellenico in piazza Syntagma, sede del Parlamento greco. Naturalmente c'è un lungo inseguimento tra Bourne e un killer nel mezzo della ribellione greca. Il tutto è avvenuto perchè la fidata Nicky Parson (Julia Stiles) ha delle nuove informazioni per lui che ha "hackerato" dai computer della CIA. Ed ecco che il passato torna a riemergere. Bourne scopre nuovi indizi, nuove situazioni e fiuta che nel mezzo alla questione ci sia una persona molto vicina a lui. Un nuovo programma, una nuova struttura di potere infatti lo portano a riemergere dopo diversi anni. L'obbiettivo dell'Agenzia è controllare le vite delle persone, ottenere informazioni fregandosene della privacy. Questi comportamenti però avevano risvegliato le coscienze delle persone, come nel caso Snowden (il 1 dicembre uscirà anche in Italia il film omonimo di Oliver Stone). Per chi non lo sapesse, Edward Snowden era un ex tecnico della CIA che rivelò pubblicamente dettagli di diversi programmi di sorveglianza di massa del governo statunitense e britannico, fino ad allora tenuti segreti. Se Vi sta a cuore il tema, consiglio vivamente la visione del documentario "Citizenfour", vincitore anche di un premio Oscar. Torniamo a noi. Nel frattempo anche la struttura della CIA è cambiata: al vertice ci sono il direttore Robert Dewey (Tommy Lee Jones, sempre una garanzia), che ha diversi scheletri nell'armadio, e l'ambigua analista Heather Lee (la new entry Alicia Vikander, premio Oscar per "The Danish Girl"). Oltre a loro c'è un killer che perseguita Bourne, un vecchio nemico che ha una motivazione personale che ha a che fare con il passato del nostro "eroe". Capendo di essere in forte pericolo, Jason Bourne viaggia attraverso l'Europa tra Roma, Atene, Londra e Berlino per poi ritornare a Las Vegas per sistemare la questione una volta per tutte. Tutti gli ingredienti della saga sono rispettati, l'azione non manca, i virtuosismi di Greengrass nemmeno. Il caos e l'instabilità politica, lo spionaggio delle persone sono i veri protagonisti del film. Il ritmo è assai spedito, gli inseguimenti mozzafiato. Le assicurazioni avranno avuto profonda soddisfazione, vista l'incredibile quantità di veicoli incidentati.
Nel complesso il quinto episodio regge. Matt Damon gioca tutto sul fisico, parla pochissimo (25 battute, quasi come Di Caprio in "The Revenant") e sembra seguire le lezioni di duri come Chuck Norris, John Wayne, Bruce Willis. Ora che politicamente ha fatto il voltagabbana (da Obama a Trump in un lampo), le cose in comune aumentano. A dare mano al protagonista, ecco le new entry Tommy Lee Jones e Vincent Cassel che giocano sulla loro pluriennale esperienza. Oltre alla gradevole new entry femminile: l'astro nascente Alicia Vikander (moglie di Michael Fassbender) che dà nuova linfa alla saga di Bourne, caratterizzando il suo personaggio con tante sfumature. A tal proposito attenzione al piacevole finale che lascia aperta la porta a un (probabile) nuovo episodio. L'unico neo è che la regia la inquadra sempre in due soli modi per non far vedere che è alta solo 160 cm. Solo Berlusconi ai tempi d'oro usava questi mezzucci (ricordate lo scalino o il cuscino sotto la sedia?). Tuttavia credo che anche qui, per evitare i soliti incidenti di ripetizione da "serializzazione", sarebbe meglio attuare qualche cambiamento nel franchise. Anche Jason Bourne, alla lunga, potrebbe fare la fine del protagonista di "Midnight in Paris". Perché, in fondo, c’è sempre un passato che giustifica la nostra insoddisfazione e la nostra incapacità di affrontare il presente. Woody Allen chiamava il fenomeno "sindrome dell'epoca d'oro". A Hollywood recentemente hanno dimostrato di conoscere bene la materia. Anche Jason Bourne non ne è immune.
TOP
– Matt Damon gioca molto sul fisico e poco sulle parole
– Le location, la narrazione che salta temporalmente, gli elementi tipici della saga
– I temi politici alla base della pellicola
– Gli inserimenti di Tommy Lee Jones e Alicia Vikander danno sostanza al film
– I virtuosismi di Greengrass che danno la sensazione dell'instabilità politica
– Gli inseguimenti mozzafiato (in primis quello girato ad Atene)
– La colonna sonora di Moby ("Extreme Ways") è più ritmata
FLOP
– La saga necessita di rinnovamento e di nuovi elementi per durare
– Bourne al primo colpo fa fuori la gente
– La Vikander è inquadrata in modo che non si veda quanto è alta