Mercoledì, 14 Dicembre 2016 00:00

È solo la fine del mondo, ma non potete perdervela

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"Non tornare più, non ci pensare mai a noi, non ti voltare, non scrivere.

Non ti fare fottere dalla nostalgia, dimenticaci tutti.

Se non resisti e torni indietro, non venirmi a trovare, non ti faccio entrare a casa mia."

Queste parole le diceva Alfredo (Philippe Noiret) al giovane Totò in Nuovo cinema paradiso, pellicola premio Oscar di Giuseppe Tornatore.

Anche il protagonista del nuovo film di Xavier Dolan, Louis, compie la stessa scelta: abbandonare la sua famiglia per questioni artistiche. Se nel film di Tornatore, il protagonista diventa un cineasta di successo, qui invece abbiamo un affermato drammaturgo di teatro. Inoltre Louis, per non farsi mancare niente, è gay. Come lo stesso regista e il francese Jean-Luc Lagarce (morto di AIDS nel 1995), l'autore della piece teatrale da cui Dolan ha trovato ispirazione per il film.

A differenza di Totò (che tornerà in Sicilia solo per il funerale di Alfredo ormai adulto), Louis decide di tornare dopo 12 anni per comunicare ai parenti che sta morendo. Lo sanno solo lui e gli spettatori, gli altri sono ignari della cosa. Così si imbarca sul primo aereo. L'inizio del film è un vortice di situazioni parallele: il 34enne Louis (Gaspard Ulliel che interpreta l'alter ego del regista), durante il viaggio in taxi, vede le trasformazioni di un posto dove ha vissuto per molto tempo.

Intanto a casa fervono i preparativi: la svitata madre (Nathalie Baye), stratruccata, sta preparando un ricco pranzo e si sta asciugando disperatamente lo smalto blu con il phon, la sorella Suzanne (Lea Seydoux) litiga con il rancoroso fratello maggiore, Antoine (Vincent Cassel), e ammira Louis perchè è andato via di casa. Insieme a loro, a dare una mano in cucina c'è anche la moglie di quest'ultimo, "l'estranea" Catherine (Marion Cotillard).

Appena sceso dal taxi, Louis viene accolto bene da tutti, come nell'episodio biblico del figliol prodigo. La narrazione scorre lentamente perchè piano piano l'apparenza di un caloroso ritorno, fa riemergere vecchi dissapori, incomprensioni, insicurezze.

Detta così sembra Carnage di Roman Polanski, ma qui è abbastanza diverso perchè l'azione si estende in più stanze e anche all'esterno. In più tutto è filtrato dall'ottica di Louis.

L'incomunicabilità e l'inautenticità regnano sovrane e diventano le vere protagoniste della storia, insieme agli sguardi. Sinceramente amo il cinema di Dolan perchè la macchina da presa indugia spesso sugli occhi.

In questo film la cosa si fa ancora più accentuata: i tic vengono a galla, le maschere cadono, le fragilità vengono rivelate. In particolar modo nelle figure femminili: la madre, la sorella Lea Seydoux (che è "gelosa" di Louis) e soprattutto la cognata. Se c'è un motivo per cui adoro Marion Cotillard sono proprio le sue espressive pupille che in questo film sono particolarmente esaltate con primi piani efficaci. Solo per l'interpretazione e la descrizione di questa fragile donna, questo film merita tantissimo. Louis non ha visto crescere la sorella Suzanne, è preoccupato dall'ego del fratello maggiore Antoine (un uomo a cui "piace dimenticare le cose più importanti") che aveva catalizzato già tutte le attenzioni dei genitori. 

È proprio nel dialogo con la madre che si percepiscono i motivi dell'abbandono. Poi c'è la sconosciuta cognata che è timida, insicura, balbuziente, ma che lo capisce più della sua famiglia vera.

Ma il vero enigma che tormenta Louis è in quale momento comunicare ai parenti la notizia, il vero motivo per cui è tornato a casa. "Magari dopo il dessert?" - si chiede. Ed ecco che il tempo gioca un ruolo di primo piano, scandito dall'orologio a cucù. Giocherà a favore di Louis? Riuscirà il nostro eroe a parlare ed a essere compreso?

L'enfant prodige del cinema d'autore Xavier Dolan, al suo sesto film a soli 27 anni, mostra ancora una volta tutta la sua (riconoscibile) "stoffa". Un'opera matura, sincera, diretta come un cazzotto in faccia. Non è un caso se i Festival più prestigiosi (Venezia e Cannes in testa) se lo contendono.

Il suo stile si nota già dalle prime inquadrature: macchina da presa inclinata, stretta su visi, occhi,gocce di sudore sulla fronte, lacrime che bagnano il viso. Tutto ciò è splendido esteticamente con l'ausilio della pellicola 35 mm e delle luci di Andrè Turpin (fotografo di Mommy e de La donna che canta).

La differenza con il digitale si nota e non poco. Dopo il "cambio di formato" esibito in Mommy, Dolan sorprende ancora.

Inoltre, per non farsi mancare niente, il passato di Louis viene mostrato con il suo marchio di fabbrica: i coloratissimi flashback in stile videoclip, intrisi di musica pop/dance (Natural Blues di Moby e Dragostea din tei di Haiducii). I personaggi (interpretati da un sontuoso cast tutto francese che recita in inglese) sono tutti fragili e ipersensibili, compreso quello del burbero Vincent Cassel. Gli occhi non mentono.

Ma al centro della storia c'è sempre lei: la mamma. Il dialogo tra Ulliel e la Baye (già madre per Dolan in Laurence Anyways, da poco uscito nelle sale italiane) è splendido e mostra come la famiglia sia un'esigenza umana. La raffigurazione è in stile malickiano con l'abbraccio tra madre e figlio che sembra presagire una voglia di "rilegarsi" al cordone ombelicale materno. Una vera e propria ossessione. In tutte le opere di Dolan questo rapporto è sempre in primo piano, insieme al silenzio dell'incomunicabilità. Oltre ovviamente ad ampi urli e schiamazzi familiari in mezzo all'opprimente senso di vergogna, una figura che in questo film è piuttosto centrale. È una pellicola quasi perfetta e non è affatto un'opera minore. Ha vinto perfino il Grand Prix all'ultimo Festival di Cannes.

Questo film è capace di misurare la tua esistenza nel caos (imperfetto) delle vite altrui. Il cinema di Dolan non è solo lussuoso a livello di immagine, ma è anche ricco di contenuto. Considerando che ha solo 27 anni, si può dire tranquillamente che è un'anomalia genuina e necessaria per i tempi che viviamo. Per i giovani di oggi dovrebbe essere un punto di riferimento, vista la disinvoltura e l'originalità con cui ogni volta riesce a spiazzarti. Ecco perchè perdersi un film del genere sarebbe davvero la fine del mondo.

TOP

La coerenza della poetica e dello stile "lussuoso" di Xavier Dolan - Le tematiche analizzate con al centro il rapporto/scontro con la madre - Le interpretazioni magistrali del cast tutto francese: Vincent Cassel, Gaspard Ulliel, Marion Cotillard, Lea Seydoux, Nathalie Baye. Marion Cotillard, in particolar modo, illumina la scena solo con lo sguardo. - La macchina da presa che indaga i comportamenti dei personaggi attraverso serrati primi piani - Il film è girato in pellicola 35 mm esaltando inquadrature e colori.

FLOP

Non piacerà a chi non ama il volume alto, sia della musica sia delle urla - Chi non ha amato le opere precedenti di Dolan, troverà noioso anche questo film.

È solo la fine del mondo **** (titolo originale Juste la fin du monde) - Francia 2016

Regia e sceneggiatura: Xavier DOLAN

Cast: Vincent CASSEL, Marion COTILLARD, Lea SEYDOUX, Gaspard ULLIEL, Nathalie BAYE

Durata: 1h e 35 minuti

Distribuzione: Lucky Red

Uscita: 7 Dicembre 2016

VINCITORE DEL GRAND PRIX A CANNES 2016

Immagine di copertina liberamente tratta da www.play4movie.com

Ultima modifica il Mercoledì, 14 Dicembre 2016 16:18
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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