ARRIVAL **** 1/2
(USA 2016)
Regia: Denis VILLENEUVE
Fotografia: Bradford YOUNG
Cast: Amy ADAMS, Jeremy RENNER, Forest WHITAKER
Durata: 1h e 55 minuti
Distribuzione: Warner Bros
Uscita: 19 Gennaio 2017
La fantascienza è un genere tornato prepotentemente a ruggire. Dopo alcuni remake come Ultimatum alla Terra e La guerra dei mondi, sono stati Alfonso Cuaron con Gravity e Christopher Nolan con Interstellar a riportare in auge la sci-fi. A questo tavolo si è unito anche Denis Villeneuve che ha rimesso in carreggiata un genere trattandolo in maniera umanistica, stile "odissea" di Stanley Kubrick o The tree of life di Terrence Malick. Nel cinema di Villeneuve non mancano lezioni di cinema di Zemeckis ("Contact"), Spielberg ("Incontri ravvicinati del terzo tipo"), Nolan (Interstella e sprazzi di Inception), Tarkovskij (Solaris) e di Neil Blomkamp (District 9).
Al pubblico meno esigente non gliene fregherà molto e preferirà prodotti più sempliciotti come "Passengers" (con Jennifer Lawrence e Chris Pratt). Al pubblico più esigente piacerà perchè nel mezzo c'è filosofia, senso della vita e quant'altro.
Molti di voi già si staranno chiedendo chi è Villeneuve. Il regista canadese è tra i più importanti cineasti in circolazione. Ha iniziato a mietere successi nel 2011 con il bellissimo La donna che canta. Da allora non ha sbagliato un colpo: Enemy (ancora inedito in Italia), Prisoners, Sicario e ora Arrival. A ottobre poi uscirà l'attesissimo sequel di Blade Runner. Una sfida per persone coraggiose che, a giudicare dalle poche immagini a disposizione, sembra vinta (o almeno lo speriamo). Lo dico subito forte e chiaro: Arrival è un film importante con immagini indelebili e grandi momenti di cinema puro. Anche se purtroppo ha una seconda parte con qualche difetto rispetto a una prima che rasenta il capolavoro. Il talento e la polidriecità di Villeneuve sono inconfutabili. Vi spiego il perché, partendo dalla storia.
Louise Banks (altra grande prova di Amy Adams) è una linguista nota in tutto il mondo. Ha avuto un forte trauma familiare. Un giorno si concretizza una missione che potrebbe riscattare la sua triste esistenza. Viene contattata, insieme al fisico Ian Donnelly (Jeremy Renner), dal colonnello dell'esercito degli Stati Uniti Weber (Forest Whitaker) perchè 12 navi aliene sono sbarcate sulla Terra. Nessuno sa cosa sono. Saranno gusci, dischi, navicelle, sassi o qualcos'altro? Il mondo esterno impazzisce, tutti dichiarano guerra ai "forestieri". Mancano solo Trump e Salvini (stanno aspettando la loro adesione). Ian e Louise sono gli unici a credere che un dialogo sia possibile. Resta da capire in che modo agire per scongiurare un conflitto. Il compito di Louise si rivelerà più arduo di quello che crede. Prima però c'è da capire il linguaggio. Se avete visto La donna che canta e Prisoners, dovreste ricordarvi qualcosa.
Denis Villeneuve ci porta ad osservare gli spazi (molto terreni) per mettere in scena la mancanza di dialogo nella nostra società, anziché affondare nelle infinite sequenze di distruzione gratuite in computer grafica, stile Roland Emmerich o Michael Bay. Ecco che Arrival diventa una metafora potente del nostro tempo: bisogna allontanare la diffidenza verso l'altro, abbattere la barriera e proporsi al dialogo. Anche se ci sono profonde differenze. Invece preferiamo usare whatsapp piuttosto che parlarci negli occhi. Il confronto tra gli umani e la razza aliena è molto simile a Incontri ravvicinati del terzo tipo: il contatto tra questi mondi (apparentemente lontani) porta a ridefinire i paradigmi della ragione e del sentimento.
La prima parte del film è incredibile, curatissima, dettagliata, ben recitata e fotografata divinamente da Bradford Young. Amy Adams (strepitosa ed espressiva come sempre), Jeremy Renner e Forest Whitaker assicurano la loro presenza scenica al film. Villeneuve dirige sicuro e azzecca parecchie cose, come la "calligrafia" aliena. Nella seconda parte c'è un cambio di registro. A qualcuno son convinto non piacerà (compreso il finale). Il film ha una struttura circolare (come da tradizione nei film di Villeneuve) e anche qui tutto ha un senso. Nel cinema di oggi non è poco. Tutto diventa molto terreno e quotidiano. Sono gli occhi straordinariamente espressivi della splendida Amy Adams (all'ennesima interpretazione sublime della sua carriera) a trascinare lo spettatore nella seconda parte del film. Il suo personaggio è uno fra i più riusciti nell'ambito delle quote rosa, nel cinema del nuovo millennio. Ecco che l'attenzione del regista si sposta gradualmente al personaggio di Louise, al suo trauma e all'intreccio tra le sue cose familiari e l'attenzione per i linguaggi degli altri. È lei a convincerci che "un altro mondo è possibile". Sta a noi lottare per trovarlo e per cambiarlo. Partendo dal dialogo e dalla collettività, considerati vitali in ogni tipo di rapporto. Cinema compreso.
FRASE CULT: "Ci sono giorni che definiscono il senso della tua vita"
TOP
- Amy Adams è il fulcro del film. Dopo "Animali notturni", anche Villeneuve si affida ai suoi occhi iper espressivi. Dopo Meryl Streep, è la migliore attrice sulla piazza (insieme a Marion Cotillard).
- La fotografia di Bradford Young lascia a bocca aperta
- Il film è per chi pensa che la sci-fi sia roba per gente disturbata
- La sceneggiatura fila liscia in coerenza con i temi trattati. Il personaggio della Adams è, tra i femminili, uno dei ruoli meglio scritti negli ultimi 20 anni
- La scelta di Villeneuve di ispirarsi a Nolan, Kubrick, Zemeckis, Cuaron, Blomkamp invece che al cinema commerciale stile "Indipendence Day". E poi ci sono intensi sprazzi di Malick.
- La regia di Villeneuve ha un'attenzione incredibile per i dettagli
FLOP
- Il cambio di registro della seconda parte (finale compreso) è intuibile abbastanza facilmente
- Non piacerà a chi vuole le cose semplici e lineari
- Jeremy Renner è un po' annichilito di fronte alla bravura di Amy Adams
DOPO L'AMORE ***
(Francia 2016)
Regia: Joacquim LAFOSSE
Cast: Berenice BEJO, Cedric KAHN, Marthe KELLER
Durata: 1h e 40 minuti
Distribuzione: Bim
Uscita: 19 Gennaio 2017
Dopo Hitchcock, Polanski, Farhadi, Lumet, Scola, Fincher o il recente Room di Lenny Abrahmson, bisogna dire che il cinema "da camera" funziona piuttosto bene. In Francia questo genere di opere sono scritte e girate molto bene. Un esempio è Cena tra amici. In Italia da questo titolo è stato fatto il remake Il nome del figlio dell'Archibugi e ne ha tratto linfa (strutturalmente parlando) anche Perfetti sconosciuti di Paolo Genovese.
Questa volta sotto la lente d'ingrandimento c'è una comune coppia. Marine (Berenice Bejo di The Artist) e Boris (Cedric Kahn) vivono insieme da 15 anni nella casa di lei. Hanno due figlie gemelle (molto vispe) di 8 anni, Jade e Margaux. La coppia si sta separando, il loro matrimonio è ormai sfasciato. Il problema principale è che la donna è di famiglia benestante, ha lavoro e la casa di proprietà. Lui, invece, fa lavoretti saltuari, ha difficoltà economiche e non può trasferirsi. La casa (solitamente emblema dell'unione e della famiglia) diventa il pomo della discordia: l'abitazione è di lei, ma le ristrutturazioni le ha fatte lui. Tutta l'azione si svolge prevalentemente nella cucina, da sempre emblema della famiglia e dell'incontro (specie nei ceti medio-piccoli). Marine è una donna estremamente piena di regole che Boris non riesce ad accettare. Ma il problema più grosso per lui è il fatto che lei sia sembra sempre di cattivo umore. Boris si sente umiliato per la sua condizione economica che gli impedisce di fatto di campare la sua famiglia.
Francamente, secondo la mia esperienza personale, posso dire che è il male più grosso che si può fare a una persona. Boris mi ricorda lo smarrito "equilibrista" del film di Ivano De Matteo con protagonista Valerio Mastandrea. La differenza è che qui il coniuge è "costretto" a rimanere nella casa della moglie, il secondo viene buttato fuori da casa e deve ricostruire la propria vita. Non è una cosa da poco avere un tetto, ma può essere anche un inferno. Specie se nel mezzo ci sono due figlie piccole che reclamano spazio e attenzione. Le frizioni fra i due portano a litigi sempre più frequenti, le tensioni emotive sfociano in crudeli dispetti. Sembrano Dustin Hoffman e Meryl Streep in Kramer contro Kramer (seppur con meno qualità). La fine del loro amore diventa come il concetto dell'eutanasia: meglio vivere in casa da separati facendosi la guerra (vita compromessa da una malattia) o chiudere il rapporto una volta per tutte (la morte)?
Nessuno cede di un millimetro. La guerra si fa intensa. La colpa deve ricadere sull'altro/a. Non si ascoltano nemmeno. Ed ecco che Dopo l'amore si ricollega magistralmente ad Animali notturni di Tom Ford quando la madre di Amy Adams dice alla figlia "ciò che ora ami di lui, un giorno lo odierai". Anche in questo film francese la frase più importante del film è detta dalla madre di lei: “oggi non si ripara più niente, ma si butta via tutto appena si guasta”. L'amore è come un elettrodomestico. Il regista belga Joacquim Lafosse dirige un film asciutto, coadiuvato da una sceneggiatura lineare, che non parteggia, ma sceglie di mostrare i comportamenti dei personaggi. Sta allo spettatore capire e dare la propria opinione. Una nota di merito al casting, vista la scelta ponderata dell'attrice francese Berenice Bejo (vista recentemente in The artist e Fai bei sogni). Nel 2013 l'abbiamo vista ne "Il passato" di Asghar Farhadi. Anche lì era una donna che aveva bisogno della presenza dell'ex marito per formalizzare la pratica burocratica del divorzio. Vinse il premio come miglior attrice protagonista al Festival di Cannes. Visti i precedenti di Angelina Jolie con "By the sea", verrebbe da suggerire al regista francese Michel Hazanavicious (marito della Bejo) di stare in campana.
TOP
- Berenice Bejo garantisce qualità
- I temi del film sono importanti e pongono domande profonde
- Lafosse, intelligentemente, sceglie di non schierarsi. Sta allo spettatore comprendere le dinamiche
- La qualità del cinema francese d'autore dovrebbe far riflettere in Italia
- Il cinema "da camera" e le lezioni di Farhadi, Hitchcock, Polanski e Fincher sono state ben assorbite recentemente con "Room" e "Perfetti sconosciuti"
FLOP
- La scrittura è ottima, ma la regia è piuttosto lineare senza grossi colpi di scena
- La traduzione del titolo non rende l'idea. Il titolo originale (L’economie du couple) invece è perfetto
- Il regista non racconta le cause del dissidio fra i due coniugi