Viviamo in un mondo dominato dalla cattiveria. Fisica, verbale che sia. Come sosteneva Cormac McCarthy, i vecchi valori hanno ceduto il passo a una violenza cieca e incontrollata. Spesso è anche frutto del cinismo, dell'arroganza, della maleducazione, ma anche del linguaggio dei media. Il regista olandese Paul Verhoeven ha nei suoi film trattato quest'argomento a 360°. Dal primo Robocop ad Atto di forza, passando per Basic Istinct e L'uomo senza ombra. Stavolta però il regista 78enne supera ogni limite con un thriller "scandaloso" con momenti di pura (e grottesca) commedia. Si parla di perversione (stile Basic Istinct), verità, sensi di colpa e relativo superamento, oltre al contrasto tra uomo e morale derivante dagli insegnamenti della religione cattolica. Verhoeven anche stavolta provoca mettendo in scena le ipocrisie umane ambientando il film in Francia (lo ha anche presentato in anteprima al Festival di Cannes 2016). Un Paese originariamente laico, cinematograficamente parlando. Un'opera del genere in Italia sarebbe stata vietata (chissà perché...). Negli Stati Uniti nessuna attrice avrebbe "sporcato" la propria immagine come ha fatto l'autoironica Isabelle Huppert. Sono sicuro che molti spettatori e spettatrici rimarranno disturbati/e dalla visione di quest'opera. Quantomeno scatenerà diverse discussioni. Elle è un viaggio imperfetto (come l'essere umano) nell’ordinaria violenza e nelle insicurezze che si nascondono nella quotidianità delle nostre vite.
Ispirandosi al romanzo "Oh..." di Philippe Djian, parla della vita di Michelle (Isabelle Huppert). La donna è acida, cinica, disillusa e sprezzante. Viene da un passato tragico: il padre, sfruttando la sua inconsapevole complicità, sterminò 27 persone di ogni tipo. Lo stesso uomo ha richiesto agli avvocati di essere scarcerato in giorni piuttosto difficili per Michelle. Divenuta adulta, è una manager, proprietaria di una società che produce videogiochi (violenti naturalmente). Un giorno però è vittima di un stupro nella sua abitazione. Nuovamente in quella via il passato torna a bussare alla sua porta, avrà pensato. Decide di non denunciare l'accaduto e continua a vivere la sua vita per mostrarsi tutta di un pezzo. Racconta il fatto solo alla socia Anna. Dentro di sé, però, l'episodio scatenerà una caccia ossessiva per scoprire l'identità dell'uomo. È disposta a pagare un'ingente somma per scoprire se l'uomo è un suo dipendente. Nel frattempo l'aggressore non tarderà a ripresentarsi a casa di lei. E da qui inizia il bello del film perché questa "caccia" scatenerà in lei un'insaziabile (e godurioso) masochismo. Come se non aspettasse altro (a tal proposito occhio alla splendida scena della cena). La sua identità sessuale prenderà il sopravvento e svelerà il vero carattere della donna. Tale ambiguità permea tutto il racconto per oltre 2 ore.
Michelle non è una che fa la vittima, ma è una riccona tutta di un pezzo a cui non piace lagnarsi. Intorno c'è tanta superficialità a cui lei non risparmia frecciate velenose: la madre che si è rifatta il viso (stile "Brazil" di Terry Gilliam) e ha un "toyboy" tra le mani, il figlio scemo che non si accorge che il bambino appena avuto dalla compagna ha una pelle più scura della sua, la sua migliore amica che non si accorge che il marito la tradisce, l'ex marito insegnante che si è messo con una sua allieva parecchio più giovane. E poi c'è il vicino di casa e la sua cattolicissima moglie (che addirittura va a piedi fino a Santiago di Compostela per assistere alla Messa di Papa Francesco). La borghesia viene fatta a pezzi (come fece a suo tempo Bunuel), le rigide convenzioni sociali vengono travolte ed esce fuori un film laico, anarchico, senza regole, totalmente diverso da ciò che siamo abituati a vedere. Tuttavia l'opera è molto intelligente perché attua una profonda critica costruttiva (e non distruttiva). Prendete l'identità dello stupratore. E' abbastanza semplice da capire. Ma solo perchè Verhoeven non usa questo come fine e fa capire allo spettatore che non è il suo interesse principale. Da lì in poi il film scatena altre tematiche districandosi tra il (contorto) piacere sessuale femminile, abbattendo le barriere sociali, religiose e le ipocrisie insite nell'essere umano.
A tal proposito l'interpretazione di Isabelle Huppert è straordinariamente efficace. Meritava sicuramente l'Oscar (insieme a Natalie Portman) più di Emma Stone. Per interpretare questo personaggio ha scelto di rischiare, di mettersi in discussione e di sporcare la sua immagine. Chapeau. Nel complesso è un film straordinario capace di saper dosare con molta saggezza i vari generi (comico, drammatico, grottesco, thriller), aiutato da una splendida sceneggiatura, la sapiente fotografia di Stephane Fontaine (noto per le sue collaborazioni con Jacques Audiard) e da una protagonista quasi pirotecnica da quanto è in parte.
Pertanto viene da dire: bentornato Paul Verhoeven e viva il cinema made in France!
TOP
- La regia di Verhoeven, la fotografia di Fontaine esaltano la sceneggiatura;
-La totale assenza di regole che rendono questo film ammaliante e ironico;
- Lo splendido amalgama tra i vari registri dell'opera che svicola tra thriller, dramma e commedia intrisa di humour nero;
- L'interpretazione sublime di Isabelle Huppert, meritevole dell'Oscar;
- La critica alla borghesia e alle convenzioni;
- L'incredibile rapporto fra violenza e piacere;
- La descrizione (contorta quanto basta) del piacere femminile;
- La scoperta dell'identità dell'aggressore dà linfa alla seconda parte del film;
FLOP
- L'identità dell'aggressore è facilmente intuibile. Però ha un senso nell'economia della storia;
- Il finale poteva essere sviluppato un po' meglio. Sarebbe stato un capolavoro.