“Ho sciupato il tempo e ora è lui a sciupare me” (William Shakespeare)
Questo pezzo è dedicato a tutti quelli che, come me, sono consapevoli di averne sciupato un po'.
Nel calcio il 10 è considerato il numero dei fuoriclasse, dei portatori di fantasia e di estro. Nella carriera del regista inglese Christopher Nolan "Dunkirk" rappresenta il decimo film della sua filmografia. Il primo senza Michael Caine. Una carriera fin qui ottima, coronata di grandissimi successi come la trilogia del Cavaliere Oscuro, Memento, Inception, Interstellar, Insomnia e The prestige. Personalmente ho visto tutte le sue opere (corti compresi) e credo che nel (non eccelso) panorama cinematografico odierno sia un grande sperimentatore. È uno dei pochi registi che non ha abbandonato la pellicola e, dal 2008, ha abbracciato l'Imax invece del 3D. Il secondo capitolo della trilogia di Batman, in particolare, è per me un film di culto nel contesto della società odierna (il finale in particolar modo). Tuttavia Nolan non è ai livelli, tanto per citare uno dei suoi registi preferiti, di Stanley Kubrick, ma neppure del primo Steven Spielberg o di Terrence Malick. Anche se va detto ha uno stile unico, anche qui riconoscibilissimo in almeno due-tre scene visivamente straordinarie (soprattutto quelle aeree, a bordo degli Spitfire). La sua filmografia è finora piuttosto coerente. Oltre ai temi dell'identità, del doppio e dell'interpretazione dei sogni, è sempre stato un architetto del tempo. Ci ha giocato, lo ha "plasmato" (cinematograficamente parlando), lo ha manipolato (ricordate "Memento" ?) creando abili strutture a incastro con soluzioni narrative spesso ben congegnate (su tutti "Inception"). Anche qui Nolan sceglie la strada più rischiosa: raccontare la vicenda dell' "operazione Dynamo" con personaggi quasi senza nome (o appena bofonchiati). L'inglese è un prestigiatore e sa benissimo che la sceneggiatura è piuttosto importante. Anche in "Dunkirk" il tempo diventa quasi un'ossessione, come in tutti i suoi film. Nolan inviò a Hans Zimmer una registrazione del ticchettio di un orologio. Il compositore tedesco (sesta collaborazione con il regista inglese, tra cui le indimenticabili "Time" e "Like a dog chasing car") partì da lì e scrisse la colonna sonora.
Una musica implacabile e inesorabile che scandisce la durata di ogni azione, creando sensazioni di ansia e intensità continue e crescenti (il brano portante lo potete ascoltare qui). Nella prima parte regnano i soliti bassi zimmeriani, nella seconda il pianoforte e gli archi salgono di tono in una colonna sonora da cardiopalma. Ci sono solo urla (interiori ed esteriori), silenzi dell'abisso della guerra e i cuori che battono. È urgente trovare la soluzione a un problema grosso, quasi come se si camminasse su degli ordigni pronti ad esplodere (stile "Mine" di Guaglione e Resinaro). Ogni minuto è prezioso e potrebbe essere l’ultimo. La Seconda Guerra Mondiale è appena iniziata e noi sappiamo che non fu una guerra lampo. Hitler e i suoi nemici invece ne erano ignari.
Il film è tratto dal saggio di Joshua Levine (il libro è uscito il 24 agosto) e racconta che, tra il 27 maggio e il 4 giugno del 1940, l’esercito nazista sferrò un potente attacco agli Alleati. Gli inglesi (ricordatevi che il regista viene da lì) si trovarono bloccati a Dunkerque (o Dunkirk, se preferite) non lontani dal confine tra Francia e Belgio, chiusi in uno stretto fazzoletto di terra tra i fuochi incrociati (per saperne di più, visualizzate le seguenti pagine). Come riporta Wikipedia, "agli inglesi non restava altra scelta che reimbarcarsi verso l'Inghilterra, ma dei tre porti a disposizione (Boulogne, Calais, Dunkerque), solo quest'ultimo aveva resistito ai tedeschi, per quanto bombardato giorno e notte dall'artiglieria e dall'aviazione. Fu pertanto giocoforza scegliere Dunkerque per porre in salvo le truppe Alleate, secondo un piano che portò al coinvolgimento di ben 850 imbarcazioni di tutti i tipi, dalle grosse unità militari ai pescherecci e ai piccoli natanti da diporto". 400.000 soldati inglesi si ritrovarono bloccati sulla spiaggia di Dunkirk e organizzarono una massiccia operazione di ripiegamento. L'impegno profuso da tutti per contenere i danni fu un evento storico che contribuì e non poco alla futura liberazione nel 1944. Per Christopher Nolan e per i suoi connazionali l'episodio storico è un mito. Sulle spiagge di Dunkirk si è scritta una pagina eroica della loro Storia. Gli stoici britannici presero coscienza, seppero fare squadra e uscirono da un momento buio. E questo purtroppo è il problema del film perché nell’ultimo quarto d’ora viene fuori la retorica patriottica. Poteva essere un capolavoro, peccato.
Tuttavia la pellicola è di grande qualità, con pochissimi dialoghi, che si svolge diligentemente su tre diversi piani narrativi congeniali allo stile narrativo nolaniano: il molo (ovvero la terraferma), il mare e l'aria. Ognuno di questi "episodi" ha una durata diversa, anche se poi sembrano durare allo stesso modo. Il tutto è voluto. Sembra di essere nella "trilogia del tempo" di Sergio Leone. Ricordate la parte iniziale di "C'era una volta il west"? È tutto costruito sapientemente sul senso dell'attesa e della dilatazione temporale. Sicuramente ricorderete quel dolly (una sorta di carrello, con annessa una gru per riprese in altezza più complesse, sul quale si monta una macchina da presa) che prima inquadra Jill (Claudia Cardinale) nella stazione e poi si innalza per seguire la stessa per entrare in una città nuova. Quel dolly ci sta raccontando lo stupore che la stessa Jill prova per un mondo nuovo che si rivelerà foriero di difficoltà (la scena la potete vedere qui). In poche parole la differenza tra tempo reale e percepito. In "Dunkirk" l'effetto rappresentato è il medesimo.
Scordatevi la città. Qui siamo sulla spiaggia per una settimana in mezzo alle truppe che attendono di essere evacuate. Il soldato Tommy sfugge miracolosamente a un'imboscata. Contemporaneamente si va un giorno per mare con Mr. Dawson (il premio Oscar, per "Il ponte delle spie", Mark Rylance), un patriota che cerca di recuperare i combattenti naufragati e dispersi. Poi si va un'ora in aereo con il pilota Farrier (Tom Hardy, che "comunica" solo attraverso gli occhi come quando faceva Bane, giunto alla terza esperienza con Nolan dopo "Inception" e "Il cavaliere oscuro il ritorno") prova ad abbattere i bombardieri tedeschi. Ovviamente, come da tradizione, i tre punti di vista, apparentemente diversi, convergono nel presente attraverso il consueto montaggio ellettico che ben si adatta allo stile narrativo del regista inglese. Tutto è estremamente realista e senza tanti fronzoli: si combatte, sulla sabbia, nell’acqua e nel cielo, anche se manca qua e là lo sporco e il sangue sulle uniformi dei soldati nelle scene di massa. La cosa è voluta perchè non è un film propriamente bellico, ma un film sul tempo. Ci sono anche alcuni momenti "malickiani" (stile sottile linea rossa) in cui emergono elementi di quotidianità in questi soldati (vedi il momento che ha per protagonista il comandante, interpretato da Kenneth Branagh). Ed ecco che la noia diventa come la quiete prima della tempesta, ovvero l'imprevedibile incombenza della morte. Nolan vuole trasmettere claustrofobia allo spettatore e non giudicare le azioni dei personaggi. Nonostante si sia in spazi aperti, è come se fossimo in una morsa. Gli inglesi non potevano muoversi: la Francia era invasa dai nazisti, il Canale della Manica era piuttosto ingolfato e i tedeschi controllavano gli Alleati anche per via aerea. Questa è la vita. Fatta di lunghi respiri, di momenti in cui vorremmo sempre rimanere attaccati. Mentre la morte ti corre accanto e quei ticchettii risuonano paralleli nella tua testa. Ancora una volta Christopher Nolan narra una storia di uomini comuni arrivati al limite. La fotografia dell'olandese Van Hoytema ("Her", "Interstellar") è cupa, plumbea, grigia ed è calzante per il messaggio del film.
Perché Dunkirk è come Il cavaliere oscuro: non ci sono eroi, ma solo tanti perdenti. "Perché cadiamo? Per imparare a rimetterci in piedi". Anche in Dunkirk riemerge la vecchia lezione di "Batman Begins". E naturalmente, per non farsi mancare niente, c'è perfino un eco del caos di jokeriana memoria: surviving is enough (sopravvivere è abbastanza). Solo che qui è troppo pompato, come se Nolan strizzasse l’occhio alla retorica spielberghiana. La guerra di Nolan è combattuta da gente comune, che sa che è destinata a morire non a dominare il mondo. Ed ecco che l'uomo non è un'isola, ma ognuno di noi serve per aiutare qualcuno che poi un domani potrebbe aiutare te (il condizionale è d'obbligo in tempi di individualismo sfrenato). Questo film ti fa sentire uomo nel senso di piccolo essere insicuro e mai al riparo. Dire una cosa così in tempi di terrorismo sfrenato, non è una cosa da poco.
Christopher Nolan nel complesso realizza un decimo lungometraggio breve di durata (appena 1 ora e 46 minuti, sfidando la tradizione del film bellico da almeno 3 ore), ma denso di temi e molto intelligente anche industrialmente parlando. D'accordo non è né Spielberg nè Kubrick, ma la strada per la riabilitazione della sala cinematografica sembra questa: la contaminazione dei generi, lo studio del linguaggio, sceneggiature ben scritte, l'arte che strizza l'occhio anche al mercato. Tuttavia il film, nonostante le ottime perfomance, ha ricevuto qualche critica. In Francia, secondo molti, il film sorvolerebbe sui considerevoli aiuti ricevuti dagli inglesi dall'esercito francese. I nostri cugini d'Oltralpe hanno discusso vivacemente sulla poca simpatia di Nolan verso i transalpini. È risaputo che non amano sentirsi dire che sono antipatici. Paolo Conte suggerirebbe che "i francesi s'incazzano". Ma oltre a questo c'è da dire che, secondo gran parte delle biografie storiche ufficiali, non fu la bravura della Marina e dell' Esercito Britannico a determinare i fatti narrati nel film. Fu la volontà di Hitler. Il dittatore tedesco non voleva umiliare l'Inghilterra per poi trattare un' eventuale pace. Così dette l'ordine di fermarsi e di lasciare gli inglesi in quel fazzoletto di terra. Questo aspetto, se confermato, fa pensare che il film abbia preso come riferimento un falso storico. Ed è una pecca non da poco. Dunkirk è un film che va visto al cinema al netto di qualche difetto. Se ne avete la possibilità, in Imax o in pellicola 70 mm perché fra i registi moderni Christopher Nolan sa girare come pochi. Ma per arrivare ai livelli di Malick, Spielberg e Kubrick ha ancora da pedalare.
FRASE CELEBRE (attualissima):
“Gli uomini della mia età impongono questa guerra, perché dovremmo lasciare i figli a combatterla?”
TOP
- Nolan ha concepito Dunkirk per l'esperienza cinematografica (girando in pellicola 70 mm e in Imax)
- La fotografia di Van Hoytema, la grana pastosa della pellicola, le musiche claustrofobiche di Hans Zimmer che assicurano la sensazione del passare del tempo
- La scelta di dividere il racconto su tre livelli secondo lo stile narrativo congeniale al regista
- Il tempo protagonista assoluto della filmografia di Nolan
- L'assoluta coerenza con i film precedenti. Ci sono anche echi del Cavaliere Oscuro e soprattutto del caos del Joker
- Tom Hardy, che empatizza con il pubblico solo con lo sguardo come ai tempi di Bane, e Mark Rylance regalano due grandi interpretazioni
- Le riprese aeree a bordo degli Spitfire sono di livello altissimo
FLOP
- Nolan non è ai livelli di Spielberg, Malick o Kubrick, ma è sempre da tenere d'occhio
- Le critiche delle biografie storiche ufficiali che rivelano che fu Hitler a non volere umiliare l'Inghilterra. Pare che Nolan abbia utilizzato come riferimento un falso storico
- Troppa retorica dell’ultimo quarto di film che cozza con il tono del resto dell’opera. La strizzatina d’occhio al botteghino è palese e facilona.
- Siamo in guerra e le divise dei soldati sono sempre perfette, non c’è traccia della sporcizia che invece è sui volti.
NOTE TECNICHE:
Questa pellicola è un'esperienza multisensoriale. Dunkirk è stato concepito per il cinema, non per Netflix, Amazon o per lo streaming. Christopher Nolan è uno di quei pochi registi che non ama il digitale e preferisce girare in pellicola. Questo film è girato in 70 mm e Imax per ottenere immagini di risoluzione molto superiore ai canoni tradizionali. Dal 2008 con "Il cavaliere oscuro" (Nolan ha girato 28 minuti in Imax), ogni film del regista inglese ha utilizzato sempre questo doppio sistema, evitando di fatto il 3D e il digitale. La grana pastosa della pellicola e l'esperienza uditiva meritano più di un'attenzione, portando il tutto a un livello altissimo. In Italia attualmente esistono solo 4 sale Imax: a Riccione, a Sesto San Giovanni, vicino a Milano, ad Afragola e Orio al serio, provincia di Bergamo.