Sabato, 19 Agosto 2017 00:00

Monolith: una scommessa italiana (non completamente vinta)

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Il linguaggio del cinema è universale ma Monolith si propone come film di genere, rivolgendosi sia al grande pubblico che ad alcuni settori specifici. Da un'idea di Roberto Recchioni (attualmente amato ed odiato curatore di Dylan Dog, autore di numerosi successi inchiostrati), prodotto da Sky e Sergio Bonelli Editore (tra gli altri), prima opera distribuita dall'appena nata Vision Distribution (ambizioso progetto italiano), l'opera italiana si rivolge al pubblico internazionale attraverso la semplicità della trama, ma pare comunque rivolto più che altro a delle nicchie (sempre più vaste, come attesta il successo crescente del Lucca Comics & Games).

La madre di un bambino si ritrova nel deserto, con il figlio piccolo rinchiuso, per una fatalità, all'interno di una macchina concepita per non essere violata. Sola e senza speranze la protagonista si muove in un ambientazione suggestiva (è stato scelto il deserto dello Utah), attenta all'impatto visivo (lo stesso autoveicolo, partendo da una vettura della polizia statunitense, è stato affidato all'officina di Hollywood che ha lavorato sui mezzi di RoboCop e Terminator). 
 
Da un'idea semplice si approfondiscono diverse suggestioni, sul rapporto tra essere umano e tecnologia, sul significato di essere madre, sulle insicurezze tra l'individuo e la società. Niente di eclatante o innovativo, ma sarebbe ingeneroso negarle.
 
Coraggiosa la scelta della data di uscita (Ferragosto), in linea con l'ambizione complessiva dell'operazione (anche il fumetto, sviluppato in parallelo, è uscito in un formato inusuale per la tradizione italiana).
 
La scommessa è vinta? Fino ad un certo punto. La buona regia di Ivan Salvestrini e il già citato impatto visivo non salvano dai dubbi rispetto alla recitazione di Katrina Bowden, oltre ad alcune parti della sceneggiatura di Elena Bucaccio. Provando a fare un paragone con Mine (se non lo avete visto rimediate quanto prima, ne è stato scritto qui) è facile pensare che poteva essere fatto di meglio sul piano complessivo degli attori (soffocati forse dal rapporto con il paesaggio), mentre le musiche non aiutano il coinvolgimento in un film comunque non da bocciare.
 
Convincono di più Lo chiamavano Jeeg Robot, Veloce come il vento ed il già citato Mine, per rimanere agli ultimi prodotti in cui l'Italia cerca di dialogare con il mercato cinematografico internazionale.

Sicuramente comunque il progetto è più interessante del Ragazzo Invisibile di Salvatores, forse per il maggiore coinvolgimento di soggetti e linguaggi.

Recchioni ha dichiarato di aver pensato all'idea di ribaltare Duel (primo successo di Steven Spielberg), lasciando l'auto ferma nel suo conflitto con l'uomo (o meglio, la donna, in questo caso).
 
C'è molto linguaggio cinematografico e fumettistico in Monolith.
 
Non un brutto film, non un capolavoro: comunque un tentativo da sostenere.

Immagine di copertina liberamente ripresa da www.mymovies.it

Ultima modifica il Domenica, 20 Agosto 2017 17:21
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it
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