Sabato, 06 Gennaio 2018 00:00

Un supereroe italiano, un miliardario tirchio e un manipolo di sgangherati comunisti

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Un supereroe italiano, un miliardario tirchio e un manipolo di sgangherati comunisti

Buon anno a tutti! Si riparte con il botto. Sarà un gennaio ricchissimo. Per cominciare bene, ecco tre recensioni: il sequel del primo supereroe made in Italy, una commedia satirica su un fatto storico rilevante e il grande ritorno a 80 anni suonati di Sir Ridley Scott con un'opera ambientata in Italia. A voi!

Il ragazzo invisibile - Seconda Generazione***
(Italia 2017)
Genere: Fantasy
Regia: Gabriele Salvatores
Sceneggiatura: Ludovica Rampoldi, Stefano Sardo, Alessandro Fabbri
Fotografia: Italo Petriccione
Cast: Ludovico Girardello, Valeria Golino, Ksenia Rappoport, Galatea Bellugi
Durata: 1h e 40 minuti
Distribuzione: 01 Distribution
Trailer italiano qui
Uscita: 4 Gennaio 2018
Frase cult: Ogni notte faccio lo stesso sogno e poi mi sveglio pensando che non è vero.

2014. In Italia usciva "Il ragazzo invisibile". Il regista premio Oscar Gabriele Salvatores arrivava in sala con l'ennesimo film sperimentale della sua carriera. Fu una cosa nuova, anche in Italia avevamo il nostro supereroe. Fu un flop al botteghino: incassi di oltre 5 milioni, budget intorno agli 8. Tanta roba per un film italiano. Uscì anche la versione a fumetti tratta dal film. Questa "rivoluzione" ha poi portato pellicole ben fatte come "Lo chiamavano Jeeg Robot", ma è stato Salvatores il primo a credere nelle potenzialità di quest'operazione. Il nuovo anno ci porta subito il sequel. Il "ragazzo" invisibile non è solo Michele Silenzi (protagonista del film), ma è soprattutto Salvatores stesso. Il regista sceglie di passare in secondo piano per esaltare la storia, scritta a 6 mani dal trio Rampoldi, Sardo e Fabbri. Bisogna dire che già il primo film era in stretta connessione con i temi di "Educazione siberiana". Da lì in poi il regista napoletano ha abbandonato le commedie che gli dettero la fama e cominciò a fare film all'estero esportando il nostro cinema. Nirvana, Io non ho paura e Mediterraneo rimangono le sue opere migliori e se vogliamo rivoluzionarie quando uscirono.

Questa volta in questo sequel non c'è nulla di nuovo e originale, bisogna dirlo. Sicuramente sono chiare le influenze dei fumetti Marvel (X-Men su tutti), ma per il Belpaese è sicuramente una novità degna di questo nome. Un po' come ha fatto Sibilia con "Smetto quando voglio", anche qui si gioca a fare gli americani. Ma qualcosa di nostro c'è e bisogna dire che questa pellicola, al netto di qualche cosa che non va, è tutto sommato più autoriale e nostrale. Il problema principale del film è la qualità media della recitazione e la commistione delle lingue. Ad eccezione dell'ottima Galatea Bellugi, gli altri non emergono in maniera particolare. Gli sceneggiatori vorrebbero essere originali, ma è chiara fin da subito l'influenza degli X-Men sul cinema di Salvatores che da sempre ha raccontate storie di adolescenti e diversità. La fusione degli accenti friulano e russo fanno il resto generando, di tanto in tanto, qualche risata involontaria. Ma c'è anche un lavoro interessante di computer grafica, curata dal mago degli effetti visivi Victor Perez (Harry Potter, Il cavaliere oscuro il ritorno, Star Wars Rogue One). Oltre 21 minuti della pellicola son frutto di un lungo lavoro durato oltre 1 anno e mezzo. L'Istat ci dice chiaramente che stiamo diventando sempre di più un Paese di vecchi e di pensionati. Per riportare la gente al cinema servono idee e il tentativo di questa pellicola è sicuramente importante da questo punto di vista. Salvatores ha allestito una squadra giovane (anche nei tecnici) puntando su telecamere più dinamiche, aggressive. Questo lo ha aiutato molto: si vede che è coinvolto, che si diverte. Basta vedere l'inizio del film girato a Rabat, in Marocco.

Questo secondo episodio non è un film per bambini, ma parla maggiormente della fase (cruciale) di transizione tra l'adolescenza e l'età adulta. La scelta di rivolgersi a un determinato pubblico è sicuramente un pregio, ma anche un difetto del film. Perch-è sceglie di osservare in maniera oggettiva i malumori, i piaceri, gli sguardi, le soggezioni dell'età. Come ho già detto però non tutto funziona: il livello della recitazione non sempre è al top, alcuni attori sono molto acerbi. Peccato perché la regia di Salvatores meritava una sceneggiatura più accurata. Veniamo alla storia.

Siamo a Trieste. Michele Silenzi (un quasi anoressico Ludovico Girardello) è diventato più sicuro di se stesso, nonostante quell'immenso potere che non sempre sapeva controllare. Aveva salvato Stella, la compagna di classe di cui era innamorato. Non gli aveva rivelato la sua identità. Aveva paura che fosse rintracciato dai suoi nemici. In questa seconda pellicola, Michele ha 16 anni e non riesce a capire gli altri (siamo in due). La madre adottiva (Valeria Golino) è morta lasciandolo da solo, Stella si è innamorato di un altro, ovviamente, e il padre Andreij (mai nome fu più azzeccato...) è sparito. Puff. La rabbia, il disagio giovanile sono temi piuttosto contemporanei e anche per i supereroi i tempi sono difficili. La cosa diventerà ancora più complicata nel momento in cui nella vita di Michele arriveranno la sorella gemella Natasha (Galatea Bellugi, bravissima) e la vera madre Yelena (Ksenia Rappoport) che Michele pensava fosse morta. Il villain sarà un magnate russo del gas (non è Putin, sennò con il plutonio li faceva fuori tutti) che da anni tiene segreti degli strani esperimenti genetici. Michele verrà coinvolto in quella nuova e pericolosa avventura chiamata vita. Riuscirà il nostro eroe a maturare e a prendere consapevolezza di se stesso? L'unica certezza è il consiglio che viene dato prima dei titoli di coda. Credetemi, fa bene.

Top

- La coerenza con la filmografia di Salvatores (Come Dio Comanda, Io non ho paura su tutti)
- Telecamere aggressive e dinamiche al servizio della storia
- La scelta di parlare direttamente a un determinato tipo di pubblico
- La recitazione di Galatea Bellugi
- La fotografia di Italo Petriccione e il lavoro in Cgi del "mago" degli effetti visivi, Victor Perez

- La colonna sonora che spazia tra Eddie Vedder, Linkin Park e tanto altro

Flop 
- Il livello generale della recitazione non sempre è all'altezza
- Il mix tra dialetto friuliano e russo genera risate involontarie
- Gli sceneggiatori che cercano di far sembrare originale una storia che attinge a piene mani dai fumetti Marvel degli X-Men

Tutti i soldi del mondo ***
(USA 2017)
Regia: Ridley Scott
Sceneggiatura: David Scarpa
Fotografia: Dariusz Wolski
Cast: Mark Walhberg, Michelle Williams, Christopher Plummer, Charlie Plummer
Durata: 2h e 12 minuti
Distribuzione: Lucky Red
Uscita: 4 Gennaio 2018
Trailer italiano qui
Tratto dal libro "Painfully Rich: The Outrageous Fortune and Misfortunes of the Heirs of J.Paul Getty" di John Pearson
La frase cult: “Se ora pagassi solo un penny, mi ritroverei con quattordici nipoti rapiti"

Lo scorso 30 novembre sir Ridley Scott ha compiuto 80 anni. Li ha festeggiati in Italia, a Roma, sul set del suo nuovo film "Tutti i soldi del mondo". Non aveva previsto questo ritardo, ha dovuto compiere un'impresa senza precedenti per uscire nei cinema nei tempi prestabiliti. 18 ore al giorno sul set a 80 anni non sono poche... La colpa è stata del caso Harvey Weinstein che ha coinvolto l'attore premio Oscar Kevin Spacey che, all'epoca della burrasca, stava finendo le riprese del film di Scott (leggi qui). Sapete come è andata e francamente non ho voglia di esaltare l'ipocrisia di Hollywood. In pratica Christopher Plummer ha rigirato le scene in cui era presente Spacey costringendo Scott a rifare il lavoro da capo in pochissimo tempo. Questo film verrà ricordato nei manuali di cinema per essere un'opera che visse due volte: una con il volto di Spacey cancellato, una con quella di Plummer. Hitchcock ne sarebbe orgoglioso. La Sony ha speso oltre 12 milioni di dollari in più per finire il film togliendo il primo dai titoli. Tutta questa velocità si vede nel film. La sceneggiatura si prende delle libertà inaudite (vedi il luogo della scena del rapimento che avvenne a Piazza Farnese e non nei viali infestati da prostitute bilingue), gli intrecci sono un po' tagliati con l'accetta (la scena dell'incontro con le Brigate Rosse) e, tanto per cambiare, l'Italia è rappresentata come un Paese da barzelletta (notare le Forze dell'Ordine tricolori). Al resto ci pensano alcune scelte di casting decisamente poco azzeccate (Nicolas Vaporidis bandito calabrese è roba da chiodi).

E poi c'è la verità storica. Qualche settimana fa su "Repubblica", Michael Mammoliti (nipote del sequestratore di Getty) ha stroncato il film dicendo che è storicamente tutto sbagliato (leggi qui). Tuttavia al vecchio Ridley sono sempre piaciute le sfide. Dall'esordio de I duellanti, passando per Alien, Blade Runner, Il gladiatore, American Gangster ha sempre trattato il conflitto tra mondi diversi, apparentemente lontani. Anche Tutti i soldi del mondo ha in ballo la sfida tra il denaro e la famiglia. Valgono di più i soldi o gli uomini? Una bella domanda visti i tempi che corrono. Scott ci dice una cosa importante: oggi come allora sia negli uni che negli altri non si nota la differenza. Il magnate è l'emblema di ciò: per lui i soldi sono tutto, si circonda di opere d'arte costosissime, ma non batte ciglio quando il nipote viene rapito. Per Getty il denaro è il potere che ti permette di essere chi vuoi essere (apparentemente). Ed ecco il perché della frase "se ora pagassi solo un penny, mi ritroverei con quattordici nipoti rapiti". Uno dei punti di forza del film è che i quattrini vengono mostrati (fisicamente) solo quando i rapitori contano le banconote del riscatto. Il perché è facile da capire: il capitalismo e la mafia erano destinati a diventare ben presto una cosa sola.

L'opera resta da vedere per i temi trattati, per le citazioni alla Dolce vita felliniana, per l'ambientazione, la messa in scena sontuosa (fotografia di Wolski, già collaboratore di lunga data di Spielberg) e per l'interpretazione di Christopher Plummer che riesce nell'impresa di non far rimpiangere Kevin Spacey (che tuttavia è rimasto in un'inquadratura). Al resto ci pensa Scott con mestiere ed esperienza. Questa storia riguarda parecchio noi italiani, visto che è realmente accaduta a Roma nell'estate del 1973.

Il nipote sedicenne del magnate del petrolio Jean Paul Getty (prima Kevin Spacey, poi Christopher Plummer) venne rapito misteriosamente da uomini mascherati legati alla 'Ndrangheta calabrese. La madre del ragazzo, Gail Harris (Michelle Williams), chiese a Getty il pagamento del riscatto fissato a 17 milioni di dollari. L'uomo, ricchissimo e altrettanto tirchio, non ne volle sapere. Considerava i suoi familiari dei parassiti che speculavano sulle sue fatiche. “Se ora pagassi solo un penny, mi ritroverei con quattordici nipoti rapiti”, dichiarò alla stampa. Un pensiero molto contemporaneo. Considerate che Jean Paul Getty morì nel 1976 con un patrimonio stimato sui 4 miliardi di dollari! La donna non si perse d'animo e intavolò la trattativa con i rapitori con l'aiuto dell'esperto ex agente della Cia, Fletcher Race (Mark Walhberg). La notizia fece il giro del mondo, i Getty diventarono celebrità di primissimo livello. Cosa che cozza con questa pellicola che, ovviamente, li demolisce per tutte le oltre 2 ore di durata. Il peso dell'opinione pubblica non scalfì il magnate. Soltanto quando i rapitori fecero pervenire alla famiglia l'orecchio mozzato del nipote, si decise a pagare circa 2 miliardi di lire (leggi qui). Il problema è che il ragazzo appena liberato si trovò una bella sorpresa: doveva restituire al nonno i soldi a rate con un interesse annuo del 4%! Il perché di questo piano di accumulo di ricchezze lo capirete nel finale. Lo sceneggiatore David Scarpa quando scrisse il film disse che "aveva sempre avuto il desiderio di scrivere qualcosa sui soldi e su come controllano e influenzano la vita delle persone. Molte delle nostre decisioni sono condizionate dai soldi. E chiaramente la gente che non ne ha è altrettanto condizionata in quanto le sue scelte e le sue possibilità sono più limitate. Ma i soldi influenzano i ricchi anche sul piano emotivo, nel senso che offrono loro libertà e potere ma in alcuni casi queste cose non servono”. La scelta di Scott di far apparire e scomparire Getty è particolarmente efficace e, grazie all'ottimo Christopher Plummer, è il motivo principale per vedere il film. Al netto di alcuni difetti piuttosto evidenti.

Top
- Christopher Plummer fa un ritratto di Getty molto efficace sostituendo degnamente Kevin Spacey
- La sfida come tema insito nella filmografia di Ridley Scott che qui sta nel rapporto tra famiglia e denaro
- I soldi, la famiglia, ma anche il potere che il denaro esercita su poveri e ricchi
- La messa in scena, l'ambientazione (film girata tra Roma e l'Inghilterra)
- Ridley Scott dirige con mestiere ed esperienza, pur non essendo nella forma migliore
- Michelle Williams è un'attrice con i fiocchi
- La scelta di Scott di far apparire e scomparire il protagonista della vicenda è funzionale alla storia
Flop 
- La sceneggiatura piuttosto frettolosa, farraginosa e ricca di luoghi comuni sull'Italia (l'incontro con le Brigate Rosse, il luogo del rapimento, la rappresentazione delle Forze dell'Ordine)
- Il doppiaggio italiano
- Alcune scelte di casting (Vaporidis bandito calabrese è da arresto)
- Secondo fonti autorevoli, il film ha profonde falle sulla verità storica dei fatti
- La scelta (ipocrita) di togliere dal film Kevin Spacey, spendendo 12 milioni di dollari in più


Morto Stalin, se ne fa un altro *** 1/2
(Francia 2017)
Regia: Armando Iannucci
Sceneggiatura: Ian Martin, Armando Iannucci, David Schneider
Cast: Steve Buscemi, Michael Palin, Jason Isaacs, Olga Kurylenko
Durata: 1h e 46 minuti
Distribuzione: I Wonder Pictures
Uscita: 4 Gennaio 2018
Trailer italiano qui
La frase cult: Sono sicuro che Stalin si divertirebbe un mondo

Si può ridere della morte di qualcuno? Francamente non è bello e sicuramente poco morale. Ma quando il soggetto in questione è Josif Stalin, è lecito farlo? Questo è stato il punto di partenza di questa black comedy scritta dal regista e comico scozzese (di chiare origini italiane) Armando Iannucci con Ian Martin e David Schneider, oltre alla graphic novel di Fabian Nury e Thierry Robin.

Siamo alla fine di febbraio del 1953. Le purghe, i rastrellamenti di massa e le torture della polizia del regime stavano dilagando. La paura e il sospetto della diversità di opinione rappresentavano una minaccia reale per il regime. Radio Mosca trasmetteva per radio il concerto per pianoforte n.23 di Mozart. Stalin era moribondo, ma in pochi lo sapevano. Forse se non avesse mandato nei gulag tutti i medici, si sarebbe potuto salvare. Quella sera ascoltò la trasmissione e chiese la registrazione. Tra i membri dell'Orchestra c'era Maria (Olga Kurylenko de La corrispondenza e To the wonder) che aveva perso alcuni familiari per colpa del dittatore. Venne convinta a suon di rubli a replicare l'evento in onore di Stalin. Tutti erano impauriti di finire nei gulag. Questo era il pensiero della maggioranza dei russi. Pochi giorni dopo, il 2 marzo, il dittatore georgiano morirà per colpa di un ictus. La morte verrà annunciata il 5 marzo perché nel Partito si scatenò una guerra di successione senza esclusione di colpi bassi. Come si può leggere su Wikipedia, "fu drammatico il racconto dell'ultimo istante di vita del dittatore fatto dalla figlia Svetlana: convinto di essere vittima di una congiura, Stalin maledisse i capi comunisti riuniti attorno al divano sul quale giaceva. Alcuni storici hanno accettato l'ipotesi dell'assassinio per avvelenamento, ipotesi categoricamente smentita dallo storico Roy Medvedev, secondo cui non sono emerse dagli archivi sovietici prove a sostegno di questa tesi". Malenkov (Jeffrey Tambor) sarebbe stato il legittimo erede, ma a contendergli il posto c'erano il capo della polizia segreta, Beria (Simon Russell Beale), il suo avversario diretto Nikita Khrushchev (il tarantiniano Steve Buscemi). Senza dimenticare il generale Zhukov (Jason Isaacs). E poi c'erano i familiari di Stalin e il ministro degli esteri Molotov (Michael Palin, ex Monty Phyton). Si aprono le scommesse: chi vincerà?

I "ballerini" iniziarono a danzare, le persone si rivelarono nelle loro inquietudini. Sembrava di essere in una sorta di House of cards a colpi di falce e martello. George Orwell aveva ragione. "Il linguaggio politico ha lo scopo di presentare le menzogne come veritiere e la prevaricazione come rispettabile". Morto Stalin, se ne fa un altro è una farsa necessaria nel cinema contemporaneo sulla scia dello straordinario Il concerto di Radu Mihaileanu, ma con maggior spazio alla commedia nera. D'accordo che i politici siano sopra la legge fregandosene dell'interesse del popolo, ma il film di Iannucci indaga sui meccanismi del potere, li deride, partendo dal capitalismo e dalla sua antitesi (il partito comunista).
In questo film non c'è la verità storica, ma ogni personaggio è caricaturale: da Steve Buscemi a Michael Palin, passando per Jeffrey Tambor e Jason Isaacs, la baracca regge grazie a uno humour nero fine e molto anglosassone.
Tutti questi personaggi sono fantocci irragionevoli, votati all'interesse personale, ma sono anche pieni di paure così come il popolo che loro stessi annientano con le loro decisioni. L'unica cosa umana in questa giungla è la passione per la musica classica (come nel Concerto di Mihaileanu). Non è un caso che Putin abbia censurato il film in Russia. Siamo in tempi di una nuova Guerra Fredda e ancora l'essere umano non ha capito i propri errori e i propri limiti. Perché molte volte il grottesco e il reale coincidono. Non siamo ai livelli (eccelsi) di Chaplin e del grande dittatore, ma Iannucci dimostra che la lezione l'ha digerita abbastanza bene.

Top
- Cast di attori bravissimi
- Il sense of humour fine e anglosassone
- Il messaggio del film molto contemporaneo
- Il grottesco e il reale tendono a coincidere (involontariamente?)
- La sceneggiatura e il tono voluto da Armando Iannucci
- I personaggi rappresentano degli archetipi della società contemporanea
- Le forti connessioni umoristiche con Il concerto di Radu Mihaileanu
Flop 
- Chi ricerca la verità storica rimarrà deluso
- Putin ha censurato il film in Russia

Immagine tratta liberamente da www.mymovies.it

Ultima modifica il Venerdì, 05 Gennaio 2018 22:01
Tommaso Alvisi

Nato a Firenze nel maggio 1986, ma residente da sempre nel cuore delle colline del Chianti, a San Casciano. Proprietario di una cartoleria-edicola del mio paese dove vendo di tutto: da cd e dvd, giornali, articoli da regalo e quant'altro.

Da sempre attivo nel sociale e nel volontariato, sono un infaticabile stantuffo con tante passioni: dallo sport (basket, calcio e motori su tutti) alla politica, passando inderogabilmente per il rock e per il cinema. Non a caso, da 9 anni curo il Gruppo Cineforum Arci San Casciano, in un amalgamato gruppo di cinefili doc.

Da qualche anno curo la sezione cinematografica per Il Becco.

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