Benedetta follia ***1/2
(Italia 2017)
Genere: Commedia
Regia: Carlo Verdone
Sceneggiatura: Carlo Verdone, Nicola Guaglianone, Menotti
Fotografia: Arnaldo Catinari
Cast: Carlo Verdone, Ilenia Pastorelli, Maria Pia Calzone,
Lucrezia Lante della Rovere, Paola Minaccioni
Durata: 1h e 49 minuti
Produzione e distribuzione: Filmauro
Trailer qui
Uscita: 11 Gennaio 2018
Frase cult: “Ti volevo dare la banana, anziché la buonanotte: colpa del T9"
Dal 1980, grazie al fiuto del maestro Sergio Leone, con "Un sacco Bello" Carlo Verdone è diventato un personaggio di culto del nostro cinema. Ben presto nel cuore del pubblico italiano è diventato l'erede di Alberto Sordi. Ci ha pedinato, ci ha osservato e ha denunciato i nostri vizi, le nostre virtù e le nostre debolezze attraverso i suoi personaggi. Basterebbe "Bianco Rosso e Verdone" da solo per far capire il concetto ai duri di comprendonio. Solo Nanni Moretti è riuscito, con il suo alter ego Michele Apicella, a far meglio di lui. Per il suo 26° film da regista ha scelto di ripartire dagli esponenti di un successo recente del cinema italiano per rivitalizzarsi: sto parlando di "Lo chiamavano Jeeg Robot". Non solo la coprotagonista Ilenia Pastorelli, ma soprattutto gli sceneggiatori Menotti e Guaglianone. Anche se lo standard qualitativo e il tono del film sono piuttosto lontani dal periodo d'oro. Tuttavia rispetto alle ultime prove si vede che c'è voglia di sperimentare. Purtroppo però gli ingredienti tipici della commedia italiana qua e là emergono (quasi sicuramente) per l'intromissione della Filmauro di Aurelio De Laurentiis. E come per magia l'amaro verdoniano si mescola a qualche momento più superficiale che culmina poi nel finale un po' diabetico. In ogni caso questo film è da vedere per alcuni motivi. Innanzitutto attorno a un Verdone divertente e autoironico (vedi la scena iniziale e quella dello specchio) c'è un cast tutto femminile, una cosa rara per il nostro cinema. Si sa che Carlo ha sempre avuto un debole per le attrici: da Margherita Buy a Francesca Neri passando per Micaela Ramazzotti, Claudia Gerini, Laura Morante, Regina Orioli, Laura Chiatti, Ornella Muti, Asia Argento, Paola Cortellesi. E ora Ilenia Pastorelli. Si vede che c'è la chimica giusta e lei ha i giusti tempi comici. E poi Verdone, per l'ennesima volta, dice pubblicamente che bisogna credere di più nei giovani. Come a suo tempo Sergio Leone fece con lui. Mentre invece sorvola sul degrado della "sua" Roma cercando di "truccarla" come la vorrebbe lui. Il fantasma di "Spelacchio" è solo un lontano ricordo.
Nella prima parte di "Benedetta follia" c'è più poesia, più dedizione al racconto della solitudine di un uomo ancorato al passato. Non è un caso che ascolti "La stagione dell'amore" di Franco Battiato ricordando gli antichi fasti di un tempo che non tornerà. E infatti Guglielmo Pantalei (Carlo Verdone) più volte si specchierà rimembrando quando era un giovincello. Poi però l'incantesimo finisce e la moglie Lidia (Lucrezia Lante Della Rovere), dopo 25 anni di matrimonio apparentemente felice, si stanca e lo molla per una donna. Non una persona qualsiasi però: la commessa del negozio di articoli religiosi del marito Guglielmo. Una cosa di una gravità inaudita visto che lavora prevalentemente con alti prelati del Vaticano e per persone molto pie. L'uomo, democristiano doc, baciapile (e anche mani), dovrà rivedere la propria vita, prendere delle scelte, riprendere in mano i cocci e ricomporli. Fino a che un giorno nella sua vita imperverserà la "borgatara" coatta Luna (Ilenia Pastorelli) che aspira a diventare la sua nuova commessa nonostante il suo "physique du rôle" faccia pensare ad altro. La fluida interazione fra i due produrrà una scintilla nelle loro vite e una contagiosa voglia di ricominciare che sovrasterà i problemi esistenziali dei due. Il povero Guglielmo finirà anche nella selva oscura degli amori online. Ci sono delle gag molto divertenti, tra cui un omaggio alla scena più nota di "Harry ti presento Sally".
"La Rete si è impossessata delle relazioni sentimentali. Io sono un po’ all’antica, qualche dubbio ce l’ho, mi piacerebbe tornare a un rapporto più umano"- dice il Verdone reale. Insomma, per dirla come Sally di Vasco, è tutto un equilibrio sopra la follia. Sopra la (benedetta) follia.
Top
- L'interazione tra Carlo Verdone e Ilenia Pastorelli
- Verdone tenta di rinnovarsi (riuscendoci in parte) con l'aiuto di Guaglianone e Menotti
- La coerenza con i film precedenti che somiglia alla filmografia di Nanni Moretti
- La solita ricetta che coniuga commedia e qualche riflessione sul tempo che passa
- La colonna sonora che l'appassionato Verdone cura sempre molto
- L'indagine sulla solitudine e sugli amori online
- L'autoironia di Carlo Verdone
- L'omaggio alla scena cult di "Harry ti presento Sally"
Flop
- Gli ingredienti tipici della commedia italiana contemporanea
- L'intromissione della Filmauro di De Laurentiis in fase di sviluppo della storia si avverte
- Nel finale si avverte un eccesso di "zuccheri"
Tre manifesti a Ebbing, Missouri ****1/2
(USA 2017)
Regia e sceneggiatura: Martin Mc Donagh
Fotografia: Ben Davis
Cast: Frances McDormand, Woody Harrelson, Sam Rockwell
Durata: 1h e 55 minuti
Distribuzione: 20th Century Fox
Uscita: 11 Gennaio 2018
Trailer italiano qui
Migliore sceneggiatura al Festival di Venezia 2017
La frase: Mia figlia Angela è stata ammazzata sette mesi fa. La polizia è troppo impegnata a torturare la gente di colore per risolvere un crimine vero.
Pur non essendo un film dei Coen, questo lo sembra. Dimenticate il non esaltante "Suburbicon" di George Clooney (sceneggiatori dei due fratelli), qui c'è molto di più. Non perché la protagonista è Frances McDormand, moglie di Joel Coen ed indimenticabile interprete di "Fargo". Martin McDonagh è una penna acutissima, sa sempre dove piazzare l'occhio della sua camera. È un degno erede del cinema dei fratelli più famosi della settima arte. Finalmente c'è vita. La scrittura di questo film è solidissima, mescola diversi generi (dramma, western metropolitano, noir e black comedy) e dà tantissima linfa a tutti: regista, attori, spettatori,direttore della fotografia e quant'altro. Eppure se non fosse per il passaggio al Festival di Venezia 2017 (il film ha vinto il premio come miglior sceneggiatura), quest'opera non la conoscerebbe nessuno. Sono sicuro che quest'opera sarà protagonista alla prossima notte degli Oscar. Siamo a Ebbing (città del tutto inventata) nel Missouri,nella più profonda provincia del Midwest degli Stati Uniti d'America. E fino qui c'eravate arrivati tutti. Basta leggere il titolo.
Mildred Hayes (una strepitosa Frances McDormand in versione John Wayne) è una donna divorziata che non riesce a capacitarsi dell'accaduto. Così ha sollecitato l'intervento della polizia locale. Vuole giustizia. Sua figlia Angela è stata violentata e poi uccisa. La donna non riesce a darsi pace e ne ha ben d'onde. È una storia intrisa di alcool e ballate country. Non c'è spazio per gente dolce e tenera, tutti sono induriti dalla depressa provincia americana. Il tempo passa in un baleno, non succede niente. Decide di smuovere le acque, agendo. Brava Mildred, fai bene. "Più tieni un caso sotto i riflettori, più probabilità hai di risolverlo" - pensa la donna. Così, attingendo dai suoi risparmi, decide di commissionare tre manifesti con messaggi diretti che incolpano lo sceriffo Bill Willoughby (Woody Harrelson). "Stuprata mentre muore", "E ancora nessun arresto?", "Come mai, capo Willoughby?". Le reazioni del paesello saranno strabordanti, la comunità si rivelerà in tutte le sue sfaccettature. Altro che pubblicità progresso, qui siamo a quella del regresso. Lo sceriffo è malato di cancro al pancreas e vorrebbe stare tranquillo. Tra i suoi uomini a cui viene delegata la risoluzione del caso, c'è l'immaturo agente Dixon (Sam Rockwell) che è noto per i suoi metodi violenti e razzisti (ma è anche un "bamboccione"). Naturalmente a lui le azioni della donna non piacciono affatto. Lo sceriffo gli consiglia di lasciar andare l'odio e imparare ad amare. Tuttavia nello stato del Missouri l'uscita dallo schiavismo non è stata ancora assorbita. Ma non sono solo i neri gli schiavi, lo siamo tutti: i cittadini normali, i poliziotti distratti. È una lotta quasi da film western quella tra due fanatismi molto diversi, ma speculari che purtroppo vanno a braccetto: da una parte Mildred che vuole giustizia a tutti i costi, dall'altra la polizia (su tutti Dixon) che vuole prendere tempo senza mostrare la sua vera faccia. Entrambi però sono uguali e diversi allo stesso tempo.
Ma McDonagh compie un prodigio dirigendo in maniera perfetta un cast magnifico e ben assortito ed evitando le sabbie mobili della retorica, spiegando di fatto le ragioni e le radici della violenza dell'America contemporanea. E di tanto in tanto si ride con un umorismo corrosivo, molto black comedy anni 70. Trump ovviamente c'è dentro fino al collo. Il male è tangibile che si voglia o meno. È insito nella natura umana, figuriamoci nella società americana. Tant'è che McDonagh ha scritto il film dopo aver fatto numerosi giri in autobus, osservando le persone. "Tutta questa rabbia non genera che altra rabbia". Così è (anche) se (non) vi pare. McDonagh ha trovato il cuore del problema dell'America e, azzardo, il prossimo 4 marzo vincerà qualche statuetta. Nel frattempo, mentre vi scrivo, la fiamma dell'odio si allarga a macchia d'olio e la violenza dilaga.
Top
- Cast di attori sontuosi (McDormand, Rockwell e Harrelson). L'amalgama tra la Mc Dormand e Rockwell è da applausi. Senza dimenticare gli attori di contorno
- La sceneggiatura solida e potente che ha sbancato a Venezia 2017
- McDonagh dirige bene gli attori, sa sempre dove piazzare la macchina da presa e scrive in maniera perfetta
- La descrizione della società contemporanea dell'America ai tempi di Trump
- Gli omaggi al cinema dei fratelli Coen
- McDonagh fugge dalle sabbie mobili della retorica con abilità
- La coesione di vari generi cinematografici (black comedy, western, noir e dramma)
- La descrizione dell'escalation della violenza
- Il finale del film: equilibrato e con molti risvolti
Flop
- Alcuni elementi del film sono molto americani
- Questo film non avrebbe avuto visibilità senza il premio al Festival di Venezia