Il siciliano Roberto Andò, dopo i riusciti "Viva la libertà" (vedi qui) e "Le confessioni" (vedi qui), ha preso spunto da questo fatto di cronaca per farci un film dalle forti tinte gialle. Effettivamente è un'opera intrigante e affascinante, ma l'operazione questa volta non funziona a pieno regime. L'intuizione è sicuramente interessante, lo svolgimento invece non sempre è all'altezza. La macchina gira un po' a vuoto e il suo maggior difetto risiede nella sceneggiatura. Francamente non si capisce del tutto quale sia l'obbiettivo principale del film: la cronaca? I personaggi? La critica al mondo del cinema e alla politica? Un omaggio al cinema del passato? Troppi cliché. Diciamo che c'è un po' di tutto. I giochi di specchi dominano la scena, ma alla lunga stuccano e stancano. Ciò non giova al film che in meno di due ore condensa troppo roba con qualche furberia gratuita e qualche sciatteria di troppo degna di un film tv di Rai Uno, fascia prime-time.
Ma veniamo a chiarire il perché. Ancora una volta la protagonista è una donna, cosa molto contemporanea. Valeria Tramonti (Micaela Ramazzotti) è una segretaria del produttore cinematografico Vitelli (Antonio Catania). Sullo stile di Clark Kent/Superman, occhialoni compresi, scrive segretamente per Alessandro Pes (Alessandro Gassmann), pluripremiato sceneggiatore bambinone e donnaiolo che sa vendersi bene (non è un caso che il cognome sia l'acronimo di un noto videogioco, Pro Evolution Soccer). La donna ghostwriter, non molto sicura di sé, è anche innamorata dell'istrionico uomo d'arte e vive a pochi passi dalla madre (Laura Morante) che ha qualche conoscenza politica non di poco conto (è ghostwriter del ministro dei beni culturali). La routine viene scombussolata da un misterioso poliziotto in pensione (un bravissimo Renato Carpentieri) che offre a Valeria una sceneggiatura intrigante e ricca di pericoli, a patto che lei rimanga nell'ombra (ogni riferimento a "L'uomo nell'ombra" di Polanski non è puramente casuale). Una storia senza nome, come suggerisce il titolo. Lei accetta la proposta dell'uomo, facendo leggere il copione a Pes.
Alessandro accetta. Il nome di lei non compare (critica velata al maschilismo che domina il cinema italiano), come sempre. "Pensavo che come al solito sarebbe andata liscia. Tu ci mettevi la faccia e io la storia" - dice ingenuamente lei. Produttori, registi, attori, sceneggiatori sono entusiasti: il film viene approvato. Ma i problemi non tardano ad arrivare. L'effetto domino sta per scatenarsi. Lo script parla del furto del 1969, da parte della mafia, della "Natività" del Caravaggio. Il celebre dipinto è simbolo dell'incapacità degli uomini di capire la natura delle cose. Ed ecco che si gira un film dentro un altro (come una matrioska) che verrà diretto dal polacco Jerzy Skolimowski (che fa se stesso). Tra i finanziatori della pellicola che deve nascere pare ci sia un esponente di Cosa Nostra, un certo Spadafora (Gaetano Bruno), che ha un certo interesse a non divulgare i fatti raccontati. È innegabile che sia una pellicola di Roberto Andò che da sempre si interroga sulla verità anteposta alla finzione, sulla molteplicità delle maschere, sul connubio arte - vita. Dopo l'effetto doppio sperimentato nel folle e meraviglioso "Viva la libertà", questa volta Andò cerca di emulare (senza riuscirci pienamente) Sorrentino nel grottesco, De Palma nel thriller e Wilder nel lato comico. Ognuno dei personaggi ha un "gemello" e l'effetto sdoppiamento è tirato all'eccesso. Ma non è questo il problema principale del film. Troppi registri e la commistione dei toni sono alla base dei problemi.
Dapprima sembra che il caso del furto sia un pretesto per parlare di un'Italia che non sa valorizzare i propri tesori, il proprio patrimonio culturale ed artistico. L'opera infatti è molto colta, strabocca di citazioni letterarie e cinematografiche ("Viale del tramonto" di Billy Wilder, Roman Polanski, Brian De Palma, Quentin Tarantino, Alfred Hitchcock e il nostro miglior cinema anni '60) mirate a stupire il pubblico. Ogni personaggio è mosso da un altro, ognuno è "ghostwriter" di un altro. Ma a differenza del riuscitissimo "La migliore offerta" di Giuseppe Tornatore (ricordate "in ogni falso c'è qualcosa di autentico"?), qui tutto questo mistero però lentamente si sgretola ed iniziano i dolori. La direzione degli attori è mal impostata: la Ramazzotti ha due espressioni (una con i "quattrocchi" e una senza), è tremendamente monocorde ed è sensuale come un tostapane appena acceso, Gassmann è troppo istrionico, la coppia Morante - Ramazzotti ha battute da terza media. Si salvano solo la buona fotografia di Maurizio Calvesi e l'ottimo interprete Renato Carpentieri (75 anni) che porta un po' di mistero al racconto. Il resto è tirato via, tagliato con l'accetta, con forte di rischio di cadere nella banalità e nella superficialità (risoluzione finale compresa). Infatti tutti i problemi del cinema italiano contemporaneo in questo film si avvertono eccome. Ecco spiegato il motivo per cui la pellicola non è stata ammessa al Concorso principale di Venezia 75. La pecca peggiore è la critica al mondo politico: sterile e ammaestrata dalla solita "scimmietta democristiana", in modo tale da non scomodare nessun tipo di pubblico. Chissà se qualche uomo di Cosa Nostra dovesse andare a vedere il film al cinema, potrebbe obbiettare o fare causa! Anche la mafia è una parodia di se stessa. Hanno ragione gli utenti che in rete hanno criticato la pellicola: sembra di essere in una parodia di Maccio Capatonda! Il già citato "Viva la libertà" (sempre di Andò) e "La trattativa" (vedi qui) di Sabina Guzzanti se ne fregavano di quale pubblico andava a vederlo, ma entrambi andavano giù pesante a denunciare certe cose. Il primo parlava della crisi della Sinistra italiana e dava una possibile soluzione al futuro dell'esistenza della stessa (cosa che poi si è rivelata azzeccata, soprattutto nel libro "Il trono vuoto" da cui il film è tratto), il secondo raccontava la trattativa Stato-mafia informando lo spettatore di fatti e ricostruzioni della vicenda con la solita ironia della Guzzanti.
Se li riguardate oggi, vi sembreranno opere profetiche. E non è un caso che alcuni attori del film di Sabina siamo stati chiamati da Andò in una storia sulla carta intrigante, ma che si perde in uno svolgimento piuttosto sciatto, superficiale e con un eccessivo citazionismo sovraesposto. Alla fine si avverte il gusto dell'occasione mancata perché il film non rimane impresso e l'effetto di caduta nell'anonimato, da"storia senza nome" appunto, è servito su un piatto d'argento.
Una storia senza nome
(Italia 2018)
Genere: Noir/Commedia
Regia: Roberto Andò
Cast: Micaela Ramazzotti, Alessandro Gassmann, Renato Carprentieri, Laura Morante, Antonio Catania
Fotografia: Maurizio Calvesi
Sceneggiatura: Roberto Andò, Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti
Durata: 1h e 50 minuti
Produzione e Distribuzione: 01 Distribution - Rai Cinema
Uscita: 20 Settembre 2018
Presentato fuori concorso al 75° Festival di Venezia
Trailer qui
La frase cult: “il cinema e il crimine hanno sempre avuto un certo feeling”
Regia ***
Fotografia ***1/2
Interpretazioni **1/2
Sceneggiatura **
Montaggio ***
Film **1/2