Domenica, 14 Aprile 2013 00:00

Viva la Libertà. Oppure i partiti?

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"La situazione è difficile ma siamo tutti impegnati perchè il partito ne esca bene"

Questa affermazione è targata Massimo D'Alema, e data 12 aprile 2013, in un contesto cioè estremamente problematico per gli italiani, in ogni campo (sociale, economico, politico, ecc.).

Il consenso è una cosa seria e non ha niente a che fare con le alleanze. Oggi l'unica alleanza possibile è con la coscienza della gente

Questa invece è una frase che si ritrova nel film Viva la Libertà del regista e sceneggiatore (l'opera è tratta dal suo libro Il trono vuoto) Roberto Andò.
La distanza tra le due affermazioni è quantomeno abissale. Ma proviamo a rifletterci sopra.

L'intero film Viva la Libertà è di fatto un messaggio chiaro alla politica: serve il ritorno alla passione, alla vita umana nelle sue varie sfaccettature, alla gioia delle piccole cose, alla poesia e alla filosofia, all'onestà intellettuale priva di tatticismi e politicismi. In una parola, serve recuperare quell'istintività e quell'energia umana riassumibile in una categoria sociale ben precisa: la follia.

Erasmo da Rotterdam applaudirebbe fino a scartocciarsi le mani.

Per fare questo occorre naturalmente uscire dalle logiche di apparato burocratico alle quali invece appartiene un “dinosauro” come D'Alema (citiamo lui ma in realtà nel film il riferimento evidente incarnato dal protagonista Servillo è a Walter Veltroni).

Il film comunica questo messaggio in maniera semplice eppure avvincente e avvolgente, convincendo probabilmente anche il più feroce grillino che un evento del genere sarebbe capace di creare una palingenesi della politica italiana. Tant'è che nella finzione cinematografica questa svolta umanistica e vitalistica della politica viene premiata da sondaggi che annunciano un consenso bulgaro per “il partito d'opposizione” capace di colpo di ridare speranza alla gente.

Tutto bellissimo, e leggendo le notizie di D'Alema riportate sopra non si può in effetti trascurare il fatto che ci sia una verità di fondo ineludibile: D'Alema non sa far sognare, e lo scollamento tra le parole che dice e quelle che si vorrebbe dicesse è enorme.

Eppure...

Eppure io, che non sono certo un estimatore di D'Alema e del suo partito, mi sento più affine al suo punto di vista, che denota una certa dose di realismo e alfabetismo politico, rispetto a quello di Andò. Mi spiego meglio: il problema principale è che chi fa politica da una certa prospettiva (e, sottinteso, per gli interessi pubblici della comunità e non per i propri) è convinto e consapevole che il progresso passerà dal rafforzamento del suo partito di riferimento, e lavora costantemente per questo obiettivo. In tempi di Prima Repubblica l'affermazione di D'Alema sarebbe stata compresa e ritenuta normale, essendo un collegamento logico basilare alle masse. Il distacco progressivo tra società e ceto politico ha però spezzato questo legame, per cui oggi un D'Alema che dica esplicitamente una cosa del genere viene letteralmente distrutto da chiunque. D'Alema non ha ancora capito questo passaggio e forse non lo capirà mai, avendo avuto una formazione da burocrate e non essendo mai tornato nel “mondo reale” in cui vive (e lavora) la gente semplice con i suoi problemi quotidiani. D'Alema quindi non può concepire che oggi la gente non lo capisca quando dà per scontato il nesso tra rafforzamento del partito, consenso popolare e miglioramento delle condizioni materiali della collettività.

Il paradosso quindi è che D'Alema ha ragione, ma la sua ragione non conta nulla, e quindi ha torto: perchè ormai è troppo avanti rispetto ad un popolo che, frustrato e impoverito da 30 anni di politicismi che hanno peggiorato le proprie condizioni di vita, non ha più voglia di sforzarsi di capirlo. E questo è un errore inaccettabile per un politico di razza.

Che fare quindi, per porla in maniera “leniniana”? Ricette semplici non ce ne sono. Sicuramente si dovrebbe ricordare che “sono le condizioni materiali a determinare quelle ideali”, e che quindi l'analfabetismo politico diffuso non è nato dal nulla, ma ha origini storiche (e relative cause) concrete e ben precise (in primis dovute alla struttura economica e alla sussunzione quasi totale dei partiti presenti sulle posizioni ideologiche liberiste).

Sicuramente il D'Alema di turno (continuo a prendere lui come capro espiatorio perchè è divertente, ma il discorso è applicabile alla gran parte del ceto politico attuale) dovrebbe sforzarsi di capire questi problemi e correggere la propria comunicazione. Oppure, se ciò non fosse possibile, farsi da parte per lasciare spazio a chi, con le adeguate competenze e la necessaria gavetta, abbia lo spirito giusto per capire il nuovo clima culturale e le richieste di cambiamento (non solo comunicativo, ma politico ed economico) provenienti dal popolo.

Non ci si può però neanche limitare ad elogiare indefessamente le ricette di Andò, che anzi hanno la consistenza innovativa dell'aria fritta. Di poeti e chiacchieroni ne abbiamo visti molti (Berlusconi, Renzi, Vendola, ecc...). Di pazzoidi in grado di parlare il linguaggio “dellaggente” ne è pieno il Parlamento tuttora (M5S; e il Bossi di qualche anno fa?). Da questo punto di vista occorrerebbe essere chiari su una cosa: non basta aspettare che sia la politica a fare un passo indietro e migliori da sé. Occorre riconoscere al popolo le proprie colpe per la mancata partecipazione e per l'indifferenza diffusa che scatena l'analfabetismo politico dilagante. In un piccolo passaggio del film Andò lo fa dire al Servillo “pazzo”: 

I miei elettori fanno bene a stancarsi di me. Anche io del resto mi stanco spesso di loro. […] Se i politici sono mediocri è perchè i loro elettori sono mediocri. E se i politici sono ladri è perchè i loro elettori sono ladri, oppure vorrebbero esserlo

Per chi volesse saperne di più può sempre andare a recuperare l'articolo “Odio gli indifferenti” di Antonio Gramsci che rimane una lettura indispensabile e di strettissima attualità. 

Conclusione? Il “D'Alema” dovrebbe prendere spunto da Viva la Libertà capendo le proprie colpe e limiti. Il popolo da parte sua ha il diritto e dovere di diventare parte attiva del processo della propria emancipazione, sforzandosi di avventurarsi preventivamente nella complessità della politica (evitando cioè le facili vie alla M5S) ed evitando di aspettare vanamente che i “D'Alema” capiscano di essere obsoleti.

Ultima modifica il Domenica, 27 Ottobre 2013 22:18
Alessandro Pascale

Nato nel 1985, laureato in Scienze Storiche, lavoratore precario e aspirante professore di Storia e Filosofia con certificazione TFA già ottenuta. Tesi e tesine svolte su "Berlinguer e il compromesso storico", "Popular Music politica. Un'analisi storico-sociale sul contesto italiano", "Stalin e l'URSS (1922-1953)", valutate sempre con il massimo dei voti. Dal 2008 faccio militanza nel PRC tra Valle d'Aosta e Lombardia. Convinto che il 90% delle risposte del presente si trovino nello studio attento e ponderato del "nostro" passato.

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