15 ottobre 2009, Roma. Stefano Cucchi viene fermato dai carabinieri. Viene portato in caserma. Non è un santo, bisogna dirlo. È un uomo con i suoi pregi e i suoi difetti. Viene perquisito e trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Viene decisa la custodia cautelare. All'epoca Stefano pesava 43 kg ed era alto 162 cm. Tutto ciò non è niente rispetto a quello che gli succederà una settimana dopo.
Il 22 ottobre Cucchi muore. Il decesso in carcere numero 148 dell'annus domini 2009. Al 31 dicembre dello stesso anno, la cifra raggiungerà l’incredibile quota di 176: per la bellezza di trenta morti in più in soli 2 mesi. Pochi giorni prima, durante il processo, negò al giudice di esser stato picchiato. La realtà pare esser ben diversa. Perché durante il processo, Stefano aveva difficoltà a parlare e aveva vistosi ematomi sulla faccia. Qualcuno sicuramente lo aveva minacciato e poi pestato. Come diceva Fabrizio De André "non mi uccise la morte, ma due (o più) guardie bigotte, mi cercarono l'anima a forza di botte" (canzone Il blasfemo – 1971).
I sindacati e gli organi di rappresentazione di polizia di Stato e penitenziaria hanno replicato con comunicati molto duri (li potete leggere qui). Il sottosegretario Carlo Giovanardi, noto per essere un esperto di droghe leggere, disse pubblicamente che Cucchi era morto di anoressia e tossicodipendenza. La stragrande maggioranza dell'opinione pubblica non gli credeva, così come non credeva agli agenti della polizia penitenziaria, ai carabinieri e ai medici di Regina Coeli coinvolti nell'oscura vicenda. Nel frattempo era stato eretto il muro di omertà.
La verità è che Stefano era stato pestato a sangue. Cremonini sceglie di non mostrare l'atto perché la cosa è ancora tutta da dimostrare a livello giuridico. Piuttosto significativa è la scena in cui Cucchi è in una stanza insieme agli agenti di polizia. La porta si chiude. Poco dopo rivediamo il protagonista cambiato: è devastato, è umiliato umanamente, ha il volto pieno di ematomi e la schiena a pezzi. Splendido esempio di cosa può dare il cinema più di ogni altra arte, anche senza mostrare, ma facendo intuire la dinamica dei fatti.
La sorella Ilaria Cucchi nel frattempo si è data da fare mediaticamente facendo emergere diverse contraddizioni nella vicenda. È grazie a lei se oggi il processo è ancora vivo e possiamo sperare che si faccia giustizia. Ora con un ministro come Matteo Salvini la strada sembra ancora più in salita. Ed è proprio la sorella di Stefano che ha voluto un film per parlare di questi argomenti, nonostante tutte le difficoltà del caso. Qui bisogna ringraziare Lucky Red e Netflix per aver investito in questo progetto molto difficile. Sulla mia pelle sarà un film didascalico (e non poteva essere altrimenti), ma tremendamente importante, uscito al momento giusto. Non a caso nel primo giorno di programmazione ha fatto la miglior media per sala nella giornata di mercoledì. Segnale che il messaggio è stato recepito.
Tutti abbiamo visto il volto di Stefano Cucchi pieno di ematomi e di lividi. Aveva 31 anni nell'ottobre 2009 quando accaddero i fatti che tutti conosciamo, ma che questo film riprende per non farci dimenticare ciò che è successo. Le parole del procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, ci fanno capire l'attualità e la necessità di quest'opera: "Non è accettabile, da un punto di vista sociale e civile prima ancora che giuridico, che una persona muoia non per cause naturali mentre è affidata alla responsabilità degli organi dello stato."
La ferita del caso Cucchi è ancora fresca e avvenne dopo i tragici fatti del 2001 della Diaz di Genova (raccontata nello splendido film DIAZ – Don't clean up this blood di Daniele Vicari). Anche lì ci sono stati pestaggi, indignazione popolare, sentenze, ribaltamenti, reticenze, omissioni, paure (più o meno esposte), verità nascoste. I protagonisti però sono sempre gli stessi: le forze dell'ordine e l'omertà dello Stato italiano. Sì perché i protagonisti dei pestaggi alla Diaz oggi sono cresciuti di grado e comandano più di prima (un esempio lampante e clamoroso lo trovate qui).
Alessio Cremonini, alla seconda regia, si attiene alle carte processuali evitando di fatto la retorica e la beatificazione di Stefano Cucchi. La scelta si avverte anche nella fotografia del film: le facce del protagonista e degli agenti di polizia raramente sono illuminati pienamente. È sempre presente una zona d'ombra che indica un certo lato oscuro. Il regista sceglie di raccontare con oggettività i fatti senza mirare all'indignazione facile, ai proclami e ai sentimenti mirati a raccogliere valanghe di like sui social network. Coadiuvato da una fotografia ruvida e sporca, a tratti fredda per esprimere i dubbi del caso. Roma è descritta come una città parassitaria e indifferente. Il film pone una domanda fondamentale: come si fa a cambiare l'Italia quando accadono queste cose? In effetti la vicenda Cucchi è oscura e molto cinematografica. Ci sono molte maschere e poche persone vere in questa storia.
Sicuramente tra queste ultime c'è la sorella Ilaria (interpretata da Jasmine Trinca) che ha deciso di sfidare tutti in un processo senza fine. Questa battaglia rappresenta tutti noi, la nostra giustizia e la sua credibilità. È la storia di un uomo comune come Stefano, che ha commesso tanti errori, ma che li pagherà a carissimo prezzo con la vita. Il film, presentato nella sezione Orizzonti a Venezia 75, è stato snobbato dalla giuria, ma ha visto grande adesione nel pubblico veneziano. Grazie soprattutto a un Alessandro Borghi in stato di grazia. L'attore romano, mio coetaneo, fu lanciato proprio a Venezia dal bellissimo film di Caligari, Non essere cattivo. Piano piano è diventato uno degli attori di punta del cinema italiano con opere del calibro di Suburra, Fortunata, The place, Napoli velata.
Lui è l'anima del film: l'adesione fisica al personaggio, l'uso della voce, lo sguardo di rassegnazione contro uno Stato ostile che punisce i suoi figli. L'abbraccio con la vera Ilaria Cucchi durante l'anteprima di Venezia, fa capire anche la sua adesione alla battaglia politica della donna. Accanto a lui, da segnalare la prova magnifica di Max Tortora, il padre di Stefano frenato da troppa burocrazia, e di Jasmine Trinca che interpreta vivacemente la coriacea e battagliera Ilaria. Un film da vedere, senza se e senza ma. Rigorosamente nella sala cinematografica e non su Netflix. Questo è cinema d'impegno civile italiano urgentissimo. Manna che piove dal cielo per i tempi che corrono.
Sulla mia pelle (Italia 2018)
Genere: Drammatico/Biografico
Regia: Alessio CREMONINI
Sceneggiatura: Alessio CREMONINI, Lisa Nur SULTAN
Cast: Jasmine TRINCA, Alessandro BORGHI, Max TORTORA, Milvia MARIGLIANO
Fotografia: Matteo COCCO, Michele D'ATTANASIO
Durata: 1h e 40 minuti
Produzione e Distribuzione: Lucky Red e Netflix
Uscita (contemporanea cinema e Netflix): 12 settembre 2018
QUI UN'INTERVISTA AD ALESSANDRO BORGHI
Qui la programmazione nelle sale
LA FRASE CULT: Io mi dichiaro innocente per quanto riguarda lo spaccio e colpevole per quanto riguarda la detenzione.
Regia ***1/2
Montaggio ***1/2
Interpretazioni ****
Fotografia ****
Sceneggiatura ****
Impegno civile *****
FILM ***1/2
Immagine di copertina ©Lucky Red/Netflix, liberamente ripresa da huffingtonpost.it; locandina di Sulla mia Pelle ©Lucky Red/Netflix.