C’è Carla (ottima prova per Valeria Bruni Tedeschi), moglie di Giovanni, donna fragile e debole, sembianza della persona che vive arroccata nel suo piccolo spazio, senza riuscire a capire cosa le succede intorno. Cerca di uscire da questa morsa, sembra farcela ma alla fine se ne ritorna nella sua super villa completa di piscina interna ed esterna, cinema, campi da tennis, inservienti e autista.
E poi c’è Serena, che vive un’esperienza dalla drammaticità distruttiva ma che si rivela alla fine l’unica persona capace di avere rapporti umani con quelli che la circondano.
“Il capitale umano”, come ha dichiarato lui stesso, è un passo che Virzì doveva fare per togliersi di dosso quell’immagine di comicità livornese che probabilmente alle lunghe, magari anche indirettamente, cominciava a pesare. E proprio per questo non era una prova semplice: poteva essere un fiasco totale. E invece Virzì è riuscito alla perfezione nel suo intento, mettendo tante cose insieme in unica pellicola: dall’amore all’odio, dalla crisi economica a quella della cultura, dalla vita del ricco a quella del poveraccio investito dal SUV. Tutto senza però abbassare la tensione, anzi, aumentando il ritmo.
E la morale che ne esce fuori è quasi una sentenza, la descrizione di un’Italia (di un mondo, visto che la pellicola è ispirata all’omonimo libro dello scrittore americano Stephen Amidon) dove il riccone che scommette in borsa “sulla fine di questo paese” riesce non solo a farla franca ma anche a guadagnarci, mentre lo sfigato capace di intrattenere rapporti umani, essendosi macchiato anche lui di un crimine, viene, al contrario del riccone, sbattuto in galera, salvandosi però almeno moralmente.
"Il problema è l'acclamazione" di Dmitrij Palagi
Ormai da qualche anno vado a vedere i film di Virzì appena usciti al cinema. Inutile negare di aver maturato una sorta di pregiudizio che probabilmente distorce ogni percezione. Non riesco a contestare niente di quanto è stato scritto su Il Becco da Polverini e Vignali (qui sopra). Non è un brutto film, rasenta la sufficienza per quanto mi riguarda. Il problema è però l'entusiasmo che da sinistra acclama e accompagna il regista.
"Il capitale umano" ripropone gli stereotipi della cultura italiana egemone.
Lo Cascio è il personaggio più urtante della compagnia. L'intellettuale di sinistra che riscopre un vecchio amore e in una sola notte di sesso perde completamente il senso della misura, coinvolto in un mistico romanticismo che raramente si trova nella realtà (risolto con un realismo che contraddice la scelta di sfruttare il grottesco). Virzì è riuscito a costruire un luogo comune ancora più ridicolo del sindacalista di Tutta la vita davanti.
Il leghista stupido e ignorante, il tenebroso vittima del sistema, la psicologa illuminata, la seconda moglie con il complesso verso la figlia del marito, la moglie sottovalutata e depressa: un campionario delle chiacchere da bar che commentano il telefilm di Rai Uno del giorno precedente.
In alcuni passaggi si rasenta il ridicolo. La merendina imbustata che spunta dalla borsa si immagina debba sottolineare ulteriormente la condizione del piccolo borghese (o medio borghese) che punta alla ricchezza pur trascinandosi dietro pratiche inadeguate alla classe sociale a cui aspira. Forse. Perché di classi sociali, di rapporti all'interno del contesto economico, non se ne parla. Si parla di ricchi e poveri, in termini esistenziali. Si astrae la vita dalla realtà, rinchiudendola nei rapporti tra invidui e lasciando sullo sfondo i percorsi individuali. Il grigio secondo Virzì è una mera somma di bianco e nero, senza mai tentare di confondere le carte.
La visione di una vita umana fondata esclusivamente sull'ingenuità, i sentimenti, la cieca voglia di successo come riconoscimento sociale è discutibile. Preoccupante quando sostituisce anche a sinistra una visione della società meno romanzata.
Il film di Virzì è una trasposizione italiana di un romanzo statunitense (di Stephen Amidon). L'autore del libro ha apprezzato la versione cinematografia e ha spiegato, su uno degli inserti domenicali del Sole 24 Ore, il senso della sua storia.
"Credo che l'era di Berlusconi e la crisi finanziaria ed economica italiana attuale, che Virzì rappresenta, sia molto simile a quella del mio Paese sotto la presidenza di Bush. Una cultura dominata dalla corruzione e dallo spreco, che ha portato gli Stati Uniti all'insensata guerra contro l'Iraq.".
Amidon prosegue affermando di amare i ricchi ma di ritenere pericoloso che siano questi a governare.
Per uno laureato in filosofia, come è appunto lo scrittore, la visione della vita che sottintende questa impostazione narrativa è discutibile, se non dannosa in termini di messaggi da veicolare.
Se i film non piaccono è probabile che non si capiscano, qui però c'è il dubbio che l'acclamazione di Virzì sia il sintomo di una debolezza della sinistra italiana, anche da un punto di vista culturale.