Alla Redazione de "ilbecco.it" (in particolare a Dmitrij Palagi) che ha creduto nel mio progetto finora più ambizioso, ai lettori e alle lettrici che perdono tempo prezioso a leggere le mie "bugie" (come dicono i miei clienti che comprano il giornale la mattina), agli spettatori e agli organizzatori del Gruppo Cineforum Arci San Casciano (Brando, Chiara, Claudia, Elena, Margherita, Niccolò e Paolo).
Questo pezzo è dedicato a tutti VOI che fate le cose "per provare un certo tipo di enfasi, di emozione, di piacere, di sentimento".
Storaro's Apocalypse
Come da tradizione, anche quest'anno il teatro Romano di Fiesole ha ospitato la 39a edizione del Premio "Maestri Del Cinema". La prestigiosa onorificenza è stata conferita dal Comune di Fiesole in collaborazione con il Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani Gruppo Toscano e la Fondazione Sistema Toscana. Negli anni precedenti sono intervenuti tra i più grandi registi e attori del cinema internazionale: solo per fare alcuni nomi da Fiesole sono passati Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Michelangelo Antonioni, Orson Welles, Alfred Hitchcock, Stanley Kubrick, Mario Monicelli, Stefania Sandrelli, Dario Argento, Giuseppe Tornatore, Terry Gilliam, Toni Servillo, Spike Lee, Bernardo Bertolucci, Nanni Moretti, Marco Bellocchio, Robert Altman, Ken Loach, Giuseppe Tornatore. Quest'anno però il prescelto non è stato un regista, bensì il Maestro delle luci per antonomasia: Vittorio Storaro. Protagonista di rivoluzionarie intuizioni e ricerche estetiche di primissimo livello perchè "arte significa abilità. Tutto è un'arte, anche pulire un pavimento". Le casalinghe (e non solo) possono esultare.
"L'arte è cercare di capire chi siamo. Cerchiamo di dare delle risposte alle nostre domande. Per questo poi lo facciamo con un certo tipo di enfasi, di emozione, di piacere, di sentimento perchè diventa importante per noi fare queste cose. E ci dice poi qual è il nostro tracciato". Romano, classe 1940, figlio di un proiezionista della Lux Film. Incoraggiato dal padre, a 11 anni cominciò a studiare fotografia all'istituto Tecnico di Roma "Duca d'Aosta" e successivamente al Centro Sperimentale di Cinematografia. Il Maestro ha rivelato che da bambino era uno pseudo clone di Totò di "Nuovo Cinema Paradiso" che osservava il cinema, grazie alla professione del genitore.
Da lì in poi la sua carriera è diventata leggenda. Attivo in progetti cinematografici dal 1969 (senza considerare i cortometraggi con cui è partito nel 1961), vincitore di tre Oscar (Apocalypse Now, Reds e L'ultimo imperatore). Ha curato la fotografia di quasi tutti i film di Bernardo Bertolucci dal 1970 (il capolavoro "Il conformista", tratto dal libro di Moravia) al 1993 (Piccolo Buddha), passando per opere come "Novecento". Questo sodalizio lo segnò profondamente: colore ed emozioni si miscelarono alla luce naturale e a usi raffinati di quella artificiale provocando autentiche pennellate d'autore degne di un Caravaggio (non scordatevelo mai il Merisi era il primo cinematographer della Storia). Guarda qui un estratto video.
L'importanza del colore e dei suoi trattamenti, lo hanno reso un Maestro avvicinandolo alla pittura e alla psicologia. A seconda delle differenti tonalità e del relativo uso (compresa la temperatura colore), Storaro scoprì ben presto che i colori riescono a influenzare la percezione delle persone. E questo nel cinema è da sempre una cosa fondamentale. Nel mezzo ha avuto collaborazioni importanti con Francis Ford Coppola (4 film all'attivo, tra cui Apocalypse Now), Richard Donner (Ladyhawke), Warren Beatty (Reds). Fino alla simbiosi con Woody Allen: nel 2016 ha collaborato in "Cafe Society" e il prossimo 1 gennaio uscirà anche in Italia la sua ultima fatica "Wonder Wheel".
Ovviamente non potevo mancare a un incontro così totale. Nonostante l'orario delle 18.30 di un giorno feriale di fine luglio, l'appuntamento (rigorosamente gratuito) era da non perdere. L'inizio non è un granché. C'è quasi mezz'ora di attesa supplementare. La splendida cornice del Teatro Romano di Fiesole tuttavia non riscontra una grande presenza di pubblico. Iniziano le presentazioni di rito del Sindacato dei Critici, della Fondazione Sistema Toscana, il sindaco di Fiesole. Gabriele Rizza, direttore artistico di questa edizione del Premio Fiesole, ha riservato l'autocritica dei critici cinematografici. Perché parlare di un film non è solo parlare di concetti, della storia e della narrazione. Quest’anno il Premio si è allargato ai mestieri del cinema in senso più ampio, valorizzando una figura professionale cruciale che affianca il regista sul set. Gentili lettori e lettrici, perdonatemi la franchezza, ma da questo punto di vista vi ho abituato male. Io non sono un critico. Nelle mie recensioni Vi ho raccontato, come meglio mi riesce, i tantissimi aspetti che compongono l'opera cinematografica.
Torniamo a noi che è meglio e veniamo al nocciolo della questione. La parola passa a uno Storaro in gran forma (considerate che ha 77 anni) che parte subito forte con una stoccata delle sue.Ha ringraziato tutti perchè questo premio gli ha consentito di essere trattato come un Maestro della cinematografia. "Preferisco definirmi un cinematographer, uno che scrive con la luce" (guarda qui il video), Regola n°1: non dite mai direttore della fotografia ad artisti come Storaro. Potreste ritrovarvi una lama di coltello nella schiena, come nei film di Hithcock. Il Maestro parte subito in sesta e dice una cosa che su cui insisto da tempo: il cinema è collettivo. Il film è l'equilibrio di tre arti: le immagini, la musica e la parola. "Se io spengo le luci, il cinema non esiste. Un regista, uno sceneggiatore o un compositore possono scrivere bellissime composizioni, ma non il cinema. Morricone o Sakamoto, con cui ha collaborato diverse volte, scrivono le musiche dopo il primo montaggio. Se non ci sono le immagini, tutto il resto è difficilmente creabile".
Subito dopo oggetto di qualche critica dello stesso Storaro, è il sistema educativo italiano, incapace di aver prodotto una vera università delle arti visive, del cinema. Come accade in Paesi come la Francia. E questa è una cosa grave perché non scordatevi mai che l'Italia ha insegnato a fare il vero cinema a tutti. Artisti come Storaro sono riconosciuti in tutto il mondo per questo. Tutto ciò spiega alcuni limiti del cinema italiano contemporaneo.
La parte finale dell'incontro è riservato ai tipi di luci e al rapporto con le tecnologie, il passaggio dalla pellicola al digitale. Storaro ha raccontato che alla fine degli anni '50 amava la luce ad arco voltaico. Con l'avanzamento delle tecniche, si è evoluto con i tempi. Questa è stata la forza di questo grande personaggio. Non è un caso che sappia lavorare degnamente con tantissime varietà di luci senza disdegnare né la pellicola né il digitale. In questo video racconta come le esperienze a Las Vegas con Francis Ford Coppola siano state di aiuto in alcuni suoi film, senza dimenticare le esperienze con la figlia architetto e con l'ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, a cui Storaro tributa la sua stima per l'approvazione del progetto di illuminazione dei Fori Imperiali (guarda qui il video).
L'incontro termina qui con un consiglio alle nuove generazioni: "tutto è già stato fatto nell'arte. L'importante è metterci del proprio per far capire le nostre idee agli altri."
Il concetto mi è stato ribadito poco dopo quando mi sono avvicinato per l'autografo di rito. Quando ho chiesto la dedica per il mio Gruppo Cineforum mi ha detto con tono convinto: "Avete grande coraggio. Bravi". Una cosa che dopo quasi dieci anni di lavoro "carbonaro", mi riempie (assai) d'orgoglio. Naturalmente l'ho dovuto ringraziare sentitamente per quanto ci ha fatto vedere in tutti questi anni.
Dopo la pausa per l'apericena, accade qualcosa di incredibile. Sono le 21.45 circa. È il momento più atteso, quella della premiazione. Sul palco la giornalista del TGR di Rai3, Cristina Di Domenico, insieme a Eugenio Giani , al sindaco di Fiesole e al Sindacato Critici, annunciano le motivazioni del premio a Vittorio Storaro. Peccato che il palco sia completamente buio. Il pubblico sente le voci senza vedere niente. Uno degli organizzatori non riusciva nemmeno a leggere le motivazioni e ha dovuto constatare che vedeva poco. A quel punto il pubblico ha inscenato 92 minuti di applausi come nel "Secondo Tragico Fantozzi" per constatare un errore organizzativo da matita rossa. Soprattutto se la star è il mago delle luci. Se è stato uno scherzo, era di pessimo gusto. La corazzata Potemkin per una volta è salva. Se invece era da programma, allora è davvero necessario rivedere il concetto di organizzazione. Questa mediocrità in Italia è piuttosto diffusa, purtroppo anche a livelli alti. Storaro ha ringraziato vivamente il pubblico, sancendo di fatto la fine della sua fama di direttore della fotografia per essere definitivamente considerato un cinematographer. Poi non si è fatto mancare nemmeno una sfilettata alla sua generazione. "Chi ha più di 70 anni dovrebbe darsi da fare e insegnare ai giovani". Anche il Maestro crede fermamente che una società vada avanti grazie a un patto tra generazioni come condizione essenziale nell'organizzazione della stessa. Come dargli torto?
Sono oltre le 22 e si avvicina la proiezione del capolavoro di Francis Ford Coppola, introdotto con una parlata fiorentina. "Apocalisse Now" stava per essere proiettato sul grande schermo. Tuttavia è stata proiettata la versione cinematografica, più corta di 47 minuti rispetto alla versione Redux (vi consiglio un'accurata visione a tutti). Nella nuova versione vediamo esplicitate (dall'incontro con gli ex coloni) le opinioni di Coppola sul confronto tra due modelli colonialisti applicati ad un paese sottoposto ad interessi stranieri; ma soprattutto nell'umanissima e impudica parentesi con la vedova francese (una strepitosa Aurore Clément) cogliamo l'ultimo fatale passaggio dell'eroe prima dell'incontro funesto con la sua nemesi. Coppola ha voluto fortemente questa operazione (a oltre venti anni dalla prima uscita e dalla Palma d'Oro a Cannes) nella giustificata convinzione che queste aggiunte avrebbero aperto "nuovi percorsi mentali dentro il film, permettendone nuove e più complesse interpretazioni" (fonte: Youtube). La proiezione è avvenuta rigorosamente in lingua originale con i sottotitoli in italiano. L' omaggio a Storaro continuerà all’interno della programmazione di agosto dell’Arena di Marte di Firenze con una selezione di alcuni tra i suoi film più amati: “Giordano Bruno” di Giuliano Montaldo (giovedì 3), “Dick Tracy” di Warren Beatty (giovedì 10) e “Goya” di Carlos Saura (giovedì 17).
APOCALYPSE NOW
(USA 1979)
Regia: Francis Ford Coppola
Cast: Marlon Brando, Harrison Ford, Martin Sheen, Robert Duvall
Cinematographer: Vittorio Storaro
VINCITORE DI 2 PREMI OSCAR (miglior sonoro a Walter Murch e miglior fotografia a Storaro)
ISPIRATO AL ROMANZO "CUORE DI TENEBRA" di Joseph Conrad
TRAILER ITALIANO https://www.youtube.com/watch?v=PA24tnAcuQg
FRASE CELEBRE: Il mio film non è sul Vietnam... il mio film è il Vietnam. (Francis Ford Coppola)
Chi mi conosce sa che il cinema e la musica rock americana degli anni '70 sono per me sono di un livello inarrivabile. A Hollywood in quegli anni c'erano autori veri come Sidney Pollack, Steven Spielberg, Martin Scorsese, George Lucas e Francis Ford Coppola. Era il 1979 quando quest'ultimo strabiliò il Festival di Cannes e vinse la Palma D’Oro. Una discesa lungo il fiume nero del Vietnam, il Mekong (in realtà la maggior parte delle riprese del film si tenne sul fiume Pasangjan, nelle Filippine). Sembra di essere nei gironi danteschi dell’Inferno ed ecco spiegato perchè serviva un'artista italiano come Storaro. Proprio il cinematographer romano ha ricordato di aver rifiutato il film ben 2 volte. “La prima, temevo che accettando l’offerta di Coppola avrei fatto un torto a Gordon Willis, storico direttore della fotografia e suo stimatissimo collaboratore. Volli parlarne personalmente, e fu lui stesso a rassicurarmi: preferiva cedermi il posto, perché non voleva lasciare gli studi a New York e non si ritrovava nel genere di storia che avremmo girato. La seconda volta, invece, non riuscivo a capire cosa c’entrassi io, che venivo dai film con Bertolucci, con un film di guerra. Coppola in quel caso fu straordinario: "Non è un film di guerra, mi disse, ma sul senso di civilizzazione. Voglio dire la verità su quel che è accaduto, nella storia dell’umanità, ogni volta che una cultura si è sovrapposta ad una diversa". Mi suggerì di leggere "Cuore di tenebra" di Joseph Conrad, in cui veniva descritto magnificamente questo clash di civiltà. Accanto al bene siede anche il male, il conscio si accompagna all’inconscio come l’ombra alla luce. La scena in cui il colonnello Kurtz affiora dalla penombra in tutta la sua monumentale onnipotenza arrivò al termine di una giornata di scoramento, di fronte a un Marlon Brando riluttante e un Francis Ford Coppola esausto, “steso su una torretta a guardare il cielo mentre la pioggia gli bagnava il volto”, racconta Storaro. “Avevo già provato alcune scene per tenere impegnati i tecnici e lo convinsi a scendere giù per fare un tentativo. All’inizio non voleva, era veramente sconfortato, ma poi si convinse. In quella scena confluirono influenze caravaggesche e platoniche, con il mito della caverna” (intervista tratta da Repubblica.it). "
“Apocalypse Now” entrò ben presto nell'immaginario collettivo come un affresco allucinato del lato oscuro dell'uomo. Considerato il film di guerra più celebre di sempre tanto da ispirare numerosi artisti in tutto il mondo. Esempi autorevoli in ambito musicale sono i Baustelle e i Clash che hanno omaggiato la famosa scena di "Charlie don't surf". Apocalypse Now si spinse nei meandri del delirio dei sensi, della follia e del dilemma morale. Al centro c'era la guerra del Vietnam voluta fortemente da Ronald Reagan e la contrapposizione tra l'enigmatico personaggio del colonnello Walter Kurtz (l'indimenticabile Marlon Brando) e il titubante capitano Benjamin Willard (Martin Sheen).
La fotografia di Vittorio Storaro è piuttosto significativa in quest'opera ed è l'emblema della grandezza di questo artista della luce. Fondamentale è l'uso dei colori e la loro relativa contrapposizione. Le sagome nere degli aerei in avanzamento (a ritmo di Wagner) che squarciano il cielo arancione con il sole che sta tramontando. L'ardore lucente delle fiamme contrapposte alle sagome dei soldati. Il giallo che si impasta al marroncino tenue della polvere sollevata dagli aerei e al grigio delle nuvole. Il verde delle uniformi e il rosso del sangue sparso ovunque. E poi naturalmente le ombre nere del personaggio di Brando contrapposte alle luci gialle che illuminano alcune parti del viso che rievocano la sua sadica follia contrapposta ai momenti di lucidità.
"C'è un conflitto in ogni essere umano tra il razionale e l'irrazionale, tra il bene e il male, però il bene non sempre trionfa. A volte, le cattive tentazioni hanno la meglio su quelli che Lincoln chiamava "i migliori angeli della nostra indole", i buoni istinti morali. Ogni uomo ha un suo punto di rottura" dice il generale Corman durante il film. L’immagine ha, in questo caso, una chiara funzione evocativa. Il capitano Willard (Martin Sheen) giunge nella base americana in Vietnam dove deve partecipare ad una riunione con agenti della CIA ed alti ufficiali. Contemporaneamente il colonnello Kurtz (Marlon Brando) viene messo in scena principalmente attraverso alcune riproduzioni fotografiche parziali che vengono mostrate proprio a quello che diventerà il suo “carnefice”. Storaro sceglie di non mostrare mai interamente il volto di Marlon Brando per mostrare durante la narrazione il lato misterioso del personaggio. Storaro, con evidente nostalgia, ha ricordato quando studiò insieme allo stesso attore i tagli di luce con cui illuminare progressivamente la nera figura del colonnello. Così ha smentito la teoria che la scelta fosse stata fatta per mascherare il notevole aumento di peso dell'attore.
"Non si poteva prendere una persona, portarla in un viaggio nel cuore della tenebra e poi lasciarla lì: bisogna farla tornare indietro, perché l’ombra non esiste senza luce e viceversa" - disse Francis Ford Coppola sul set a Storaro. Ed è proprio attraverso le fotografie che Willard capirà che il colonnello è una variabile impazzita. Quando arriverà nel covo dell’ex colonnello dell’esercito americano ci sarà ad accoglierlo, oltre ad una massa di guerriglieri-sudditi, un fotoreporter statunitense. Il personaggio, interpretato magistralmente da Denis Hopper, incarna chiaramente lo “sguardo folle” del mondo occidentale e capitalistico che, in una prova generale di fuga dalla realtà, ha delegato la rappresentazione del mondo alle macchine mentre i propri occhi sono intenti al concepimento di un folle e mostruoso piano. Umanamente parlando.
Quando il film è finito ho ripensato molto alle emozioni della serata. I più maligni avranno pensato che il giorno dopo mi sono alzato "con l'odore del napalm al mattino" come Robert Duvall. Invece no, il caldo notturno ha di nuovo vinto lasciandomi come il colonnello Kurtz a fissare il soffitto. Senza il rumore delle pale del ventilatore che assomiglia dannatamente a quello delle eliche degli aerei da guerra.
NOTE:
Le riprese sono state fatte con telecamera amatoriale. La qualità delle immagini non è particolarmente elevata. Nonostante avessi il cavalletto, le riprese sui gradoni del Teatro Romano non sono molto agevoli a causa delle buche e del terreno non perfettamente in piano. Il tutto è registrato con l'ausilio solo della luce naturale. Anche l'audio registrato presenta ovviamente dei difetti. Ho voluto occuparmi di parecchi aspetti per fornirvi il miglior materiale possibile. Questi video sono un piccolo omaggio per chi avrebbe voluto esserci e non ha potuto partecipare. Viste le scarse uscite nel mese di agosto, mi prendo una breve pausa. Le recensioni riprenderanno regolarmente a settembre con "Dunkirk" di Christopher Nolan.
Grazie!