Venerdì, 21 Dicembre 2012 00:00

L’alcol come riscatto, secondo Ken Loach

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“Lo ho trovato noioso”. “Non hai visto Lo Hobbit”. Questo il dialogo ascoltato all’uscita dalla sala di uno dei cinema fiorentini sopravvissuti ai multisala. Il film incriminato è l’ultima opera di Ken Loach, regista certamente non noto per film d’azione o commedie natalizie.

Di lui si è parlato recentemente in Italia (e non solo) per il rifiuto del Gran Premio di Torino, dovuto alla “questione dell’esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi”. Le pulizie appaltate a cooperative di sfruttamento sono pratica diffusa in larga parte d’Europa ma per fortuna c’è chi ancora trova la forza di indignarsi.

Questa premessa sia di invito per sostenere l’opera del regista britannico, ignorando la vulgata per la quale se non ci sono effetti speciali un film può essere visto anche davanti a un televisore.

L’ultima pellicola di Loach è l’occasione per passare il periodo dei cinepanettoni tornando a vivere il cinema come spazio di riflessione anziché di consumo (senza togliere minimamente dignità alla seconda opzione). Schiacciati da una tecnologia capace di produrre gioielli visivi, basti pensare allo spettacolare “Avengers”, occorre sempre bilanciare (senza inventarsi pratiche masochistiche, come vedere film muti inginocchiati sui ceci).

La parte degli angeli è una elegante ricerca di equilibrio tra dramma e commedia, uno sguardo ironico ma non disincantato sulla realtà. Il viaggio di un gruppo di emarginati in un percorso in cui l’alcol non è, per una volta, simbolo di degrado ma anzi occasione di riscatto.

Il whisky riempie la vita di un gruppo di disoccupati scozzesi: detta così potrebbe apparire un dramma sull’alcolismo. Per fortuna è molto di più: una storia di vita raccontata senza semplificazioni, al massimo con un eccesso di semplicità in alcuni passaggi, se l’assenza di enfasi può essere ritenuta un difetto. Il punto di forza sta probabilmente nella sceneggiatura (di Paul Laverty, storico collaboratore Loach) e nella recitazione del giovane Paul Branningan, esordiente cittadino di Glasgow con un passato “alla Trainspotting”.

Un film sul coraggio di rompere con lo stato di cose presenti, privo di romanticismo e ancorato alla dura realtà di una società europea sempre più povera e disgregata.

Un film di Ken Loach, che ha tanto da insegnare alla sinistra italiana, anche se lo fa da una sala cinematografica.

Ultima modifica il Giovedì, 03 Gennaio 2013 18:51
Dmitrij Palagi

Nato nel 1988 in Unione Sovietica, subito prima della caduta del Muro. Iscritto a Rifondazione dal 2006, subito prima della sconfitta de "la Sinistra l'Arcobaleno". Laureato in filosofia, un dottorato in corso di Studi Storici, una collaborazione attiva con la storica rivista dei macchinisti "ancora IN MARCIA".

«Vivere in un mondo senza evasione possibile dove non restava che battersi per una evasione impossibile» (Victor Serge)

 

www.orsopalagi.it

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