Tanto rumore per nulla.
Il rischio di emulazione del suicidio è una risibile accusa, che può lanciare solo chi non ha visto il film o è riuscito a non capirlo.
Non sono le pellicole animate, i film o i videogiochi che spingono alla violenza: non è certo ignorando il tema della morte e della depressione che la società occidentale riuscirà ad evitare l'orrore delle stragi che segnano le cronache europee e statunitensi.
Il cartone di Patrice Leconte, adattamento di un romanzo di Jean Teulé, è un musical animato lontanamente imparentato con le atmosfere di Tim Burton.
Il prevalere del grigio accompagna disegni a due dimensioni lontanissimi dalle nuove tecnologie e direttamente imparentati col mondo del fumetto. L’impatto visivo è infatti il vero punto di forza.
In termini di humor e cinismo manca incisività e coraggio. Si rimane spesso a metà strada tra la provocazione e il desiderio di non allontanarsi dal solco dei messaggi tradizionali. Un compromesso sicuramente inconsueto (ma non convincente) in un periodo come quello natalizio, in cui prevalgono buonismo e retorica.
Gli spunti più interessanti a livello di sceneggiatura finiscono per ripetersi in modo quasi fastidioso, sulle note di una colonna sonora deludente per il ruolo che viene dato alle composizioni musicali.
Al regista era stato proposto un adattamento cinematografico che aveva rifiutato, per poi accettarlo sotto forma di cartone animato. Scelta felice. Disegni e animazioni di questo livello sono merce rara, quanto le sale che stanno proiettando un cartone comunque da godersi fuori casa, come valida alternativa alla corazzata Disney-Pixar.
Rimane quindi il rammarico per il guado in cui si trova impantanata la sceneggiatura, attenta a farsi piacere anche da un pubblico natalizio tradizionale. In Italia evidentemente però non basta l’edulcorazione della sostanza, occorre evitare di essere provocatori anche nell’apparenza.