Nel contesto di una campagna elettorale accesa e segnata dal solidificarsi di una vasta pluralità di linee di conflitto, questo otto mani propone un’analisi a caldo dell’esito del ballottaggio.
Il crollo del partito socialista francese poteva essere arginato solo da un uomo nuovo, moderato, dalla personalità forte e definita dalle capacità politiche consolidate dalle riforme economiche ultraliberiste. Il principale punto delle riforme del governo Macron sarà fare una Loi Travail XXL, ovvero un'estensione e un approfondimento della precarizzazione del mercato del lavoro.
Scardinare categorie e settori che finora erano riusciti a evitare la deregolamentazione imposta dalla finanza internazionale, questo è il fine del governo socialdemocratico di Macron.
In politica estera inutile dire che vi sarà un incremento dell'interventismo francese all'estero con risvolti potenzialmente disastrosi: in Siria, nelle ex-colonie che diventeranno sempre più neocolonie e sul fronte Orientale contro la Russia. L'europeismo più cieco e dogmatico è poi scontato a chiunque abbia seguito un minimo la campagna elettorale. Macron proseguirà con le politiche più sorde alle sofferenze del popolo schiacciato dalle disuguaglianze inasprite dall'Euro e dall'UE.
Insomma, solo velleità riformiste e nessuna sostanza, mentre in Italia c'è già qualcuno pronto a ritornare in pista sfruttando il vento di Macron e in Grecia c'è addirittura chi si congratula sulla pelle di un popolo intero ingannato oltreché massacrato.
La risacca socialdemocratica tuttavia non andrebbe esaltata come ultima e addirittura unica frontiera al fascismo, speriamo che Tsipras vada a studiare in fretta! Il ballottaggio del 7 maggio 2017 ci ha detto che il bipolarismo è definitivamente morto e che il Front National sta molto meglio rispetto al 2002 ed è in forte crescita pure nel numero di voti assoluti.
L'ultimo paravento dei liberali si chiama Emmanuel Macron e vedremo, se mai ci sarà ancora, chi sarà il prossimo.
Si vota al secondo turno dopo il primo. Dovrebbe essere inutile ricordarlo, ma purtroppo pare non esserlo. La campagna elettorale non si è concentrata su Macron e Le Pen per mesi. Le utlime due settimane sembrano aver cancellato quelle precedenti. Non così per chi è rimasto a casa (25% si parla di record storico dal 1969) o per chi ha lasciato scheda bianca (12%, record storico assoluto).
A chi asupicava una vittoria del Front National "da sinistra" andrebbe chiesto se davvero valuta positivamente la presidenza Trump negli Stati Uniti, mentre in generale sarebbe interessante capire quanti di quelli impegnati a invocare il superamento della pregiudiziale antifascista siano vittime delle fantasie pseudoetniche e pseudoreligiose dell'estrema destra.
Lo sfruttamento non è meglio se imposto con camicie nere o in camicia bianca e giacchetta di lino, certamente. Ho letto in rete che la Le Pen avrebbe presentato un programma chiaramente più vicino a quello di Melènchon, rispetto alle convergenze tra Macron e La France Insoumise. Può darsi, ma con i fascisti, resto convinto, esistono pregiudiziali imprescindibili. Se anche un fascista concordasse su tutto, a parole, con quanto propongo in termini di proposte politiche e chiedesse il mio voto, sarei certo di non darglielo comunque. Perchè i fascisti al potere ci sono già andati e le vittime della repressione, della discriminazione, di un passato non troppo lontano, ci dovrebbero ricordare che dell'estrema destra non ci si può fidare. Sono pregiudizi conquistati con il sangue della Resistenza.
La sconfitta riguarda il primo turno, il non essere riusciti ad arrivare al ballottaggio. Dare colpa al sistema non vale. Che il capitalismo preferisca i fascisti ai comunisti è una costante. Solo la Seconda Guerra Mondiale portò ad un compromesso "virtuoso" per una parte limitata del globo. Questo implica strategie in grado di costruire un'alternativa all'Unione Europea, anzichè litigare su chi fa il candidato (ogni riferimento a Melènchon e al PCF è intenzionale).
E ora? Come scrivono su Limes, gli ultimi mesi sono andati nella direzione auspicata dai "palazzi" di Bruxelles: "la crisi greca è tamponata, Spagna e Portogallo crescono con governi stabili e dopo il referendum sul Brexit le principali elezioni nel Vecchio Continente sono andate nel senso sperato da Bruxelles. Crescita stagnante, debito pubblico altissimo, esecutivo precario e alcuni dei partiti maggiori pronti a mettere in discussione sia l’Eurozona sia l’Unione Europea: dopo la sconfitta di Marine Le Pen, la prossima battaglia per il futuro dell’Europa si giocherà in Italia".
La situazione sociale, economica e politica è destinata a peggiorare nei prossimi mesi. Si spera che forze comuniste e di sinistra "radicale" siano in grado di essere all'altezza della sfida dei tempi, anzichè ritrovarsi a tifare tra agende giolittiane e istanze sansepolcriste.
La definizione di “sisma”, largamente impiegata dalla stampa per definire l’esclusione di post-gaullisti e socialisti dal ballottaggio, può avere un senso solo a patto di considerare che la storia postbellica francese è concentrata di tali “sismi”, non soltanto nella Quarta Repubblica. I socialisti francesi sono stati dati per morti già due volte (1969, 1993), le formazioni di ascendenza gaullista si sono ripetutamente sfaldate e riaggregate, mentre le elezioni locali ed europee hanno visto spesso vittorie quasi monopolistiche di una parte politica oppure l’affermazione di forze antisistema o extra-sistema.
Siamo davanti a una ristrutturazione di lungo termine del quadro politico francese oppure a una semplice increspatura? Un ulteriore chiarimento lo daranno le legislative di giugno; per ora possiamo solo provare a comprendere la natura politica di questo movimento.
Alcuni apologeti della Le Pen hanno provato a sostenere che il suo programma – statalista, anti-Ue, anti-Nato – fosse in realtà prettamente gaullista; dimenticando però che de Gaulle aveva guidato la Resistenza e combattuto Vichy, e che l’ipotesi di una Francia potenza mondiale autonoma, già velleitaria negli anni Sessanta, è oggi platealmente insostenibile e foriera solo di instabilità, insicurezze e pericolose lacerazioni.
Piuttosto la candidatura Macron ha aperto finalmente uno spazio per la risoluzione di una grave scissione storica della politica francese, ovvero la netta opposizione tra le due grandi forze della Resistenza, i gaullisti e i comunisti. Se il primo movimento propugnava la completa autonomia della Francia nello scacchiere internazionale e il secondo additava nei grandi monopoli il pericolo per la sovranità popolare (ed avendo entrambi come obiettivo critico gli Stati Uniti e la Nato) oggi si può dire che tali temi si siano fusi. Le forze capitaliste hanno raggiunto un grado di integrazione globale tale, da un lato, da annullare di fatto le sovranità nazionali e, dall’altro, da richiedere la formazione di nuove entità statali con un peso adeguato a fronteggiare le dominanti concentrazioni di capitale.
La rivendicazione della sovranità democratica la si attua oggi sul livello continentale; l’indipendenza economica, politica e militare che dev’essere reclamata non è quella francese, ma quella europea. A questo proposito è di buon auspicio la divergenza emersa tra Mélenchon (“votare, ma non Le Pen”) e il Pcf (“votare contro Le Pen”): segno che nei partiti organizzati l’attitudine al raziocinio non è del tutto estinta. Ovviamente non si vuol sostenere che Macron possa radunare un arco di forze così vasto attorno al proprio programma politico: ma, al di là di risentimenti personali e calcoli di corto respiro, obiettivi generali come nuovo umanesimo, universalismo progressista, sostenibilità ecologica rendono Macron e l’area di sinistra radicale molto più vicini di quanto si possa pensare.
In questa fase di crisi è inoltre opportuno contrapporre al fascismo un fronte ampio che abbia come base la difesa, e poi l’effettiva estensione e attuazione, delle libertà garantite dalle Costituzioni borghesi. La contraddizione dev’essere seminata nel campo del nemico (si vedano le manifestazioni a Yerres contro Dupont-Aignan). Tutte le forze democratiche francesi, En Marche! in primis, hanno ora la responsabilità di orientare tale operazione.
La vittoria tanto ampia quanto prevista di Macron farà tirare qualche sospiro di sollievo alle forze moderate ma non cancella la frana del sistema politico francese.
Per fermare il Front National, che comunque non è andato male nemmeno nel secondo turno, ci si è dovuti inventare una categoria politica del tutto nuova. Con queste elezioni, nasce infatti un populismo europeista, nuovo brand di gran classe (agiata) che sembra essere guidato dal motto “combatti il fuoco col fuoco”.
Così, in un contesto di discredito dei partiti tradizionali e di sconfitta storica dei socialisti, solo una start up politica liquida al completo servizio dell’elegante e pulito uomo nuovo della situazione poteva sbaragliare la concorrenza.
Un lifting nuovo per gli austeri europeisti, un tocco di giovanilismo e bella presenza per un rapporto diretto col leader mediatico e per una serie di discorsi vuoti ed evanescenti, in cui trova il suo compimento più raffinato il mashup politico postmoderno, accozzaglia delle più disparate idee e tradizioni ideologiche nell’ottica - ça va sans dire - di un presunto superamento della distinzione fra destra e sinistra.
Come dare allora torto a Bernard Accoyer, ex presidente dell’Assemblea nazionale quando afferma che Macron non è altro che “un populista elegante, un Beppe Grillo che veste Armani”? Se è vero che Marine Le Pen era un’alternativa persino peggiore per la Francia (e per i disperati che provano ad entrarci in cerca di un futuro migliore) con Macron difficilmente si andranno a eliminare quelle fratture sociali ed economiche che hanno accresciuto considerevolmente il bacino elettorale del Front National.
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