La via per le elezioni è ancora lunga, ma le sorprese che ci attendono saranno probabilmente più divisive che unitarie – come nel 2014 quando il PdCI (!) si ritirò da AET dopo aver scoperto di avere un solo candidato.
A sinistra spesso si sostiene, più o meno convintamente, che ci sia “bisogno di sinistra”. Uno slogan ardito, che unisce termini in realtà ambigui politicamente ed estremamente relativi come “sinistra” e “bisogno”, e che spesso rischia di trasformarsi in una mistificazione consolatoria. Sarebbe invece arrivato il momento di rendersi finalmente conto che, alle sinistre tutte – dalla liberaldemocrazia più rosé all'estremismo più scarlatto – è stata negli ultimi trent'anni letteralmente tolta la terra da sotto i piedi.
Le durissime sconfitte patite (o autoinflitte) prima dal sindacato con la stagione della concertazione, poi dai movimenti sociali – tanto della stagione del “movimento dei movimenti” che dell'Onda studentesca, degenerati entrambi nella rabbia nichilistica del 15 ottobre 2011 – e dai partiti politici postcomunisti e postdemoproletari hanno accompagnato materialmente la speculare bancarotta culturale di un'intera area politica, incapace di parlare un linguaggio diverso da quello del consenso socioeconomico antikeynesiano o di consolidare la propria cadente base sociale dando un nuovo senso a vecchie parole d'ordine e vecchi strumenti organizzativi. La politica di fine secolo ha operato come un gigantesco vortice, risucchiando ciò che era più prossimo e facendo a pezzi ciò che era più lontano. In questo contesto, pur ammettendo che di sinistra ci sia astrattamente “bisogno” per migliorare le condizioni della maggioranza della popolazione italiana e mondiale – il cui triste destino però è un architrave dello stato di cose presente – o finanche per salvare il capitalismo da se stesso, si deve altresì ammettere che, concretamente, questo bisogno occupa ad oggi le menti di una minoranza di giusti e di sopravvissuti. Ammetterlo potrebbe già essere un primo passo.
Le forze organizzate della sinistra in Italia sono eredi di questo ciclo di sconfitte. Più che all'ammucchiata, funzionale a sopravvivere istituzionalmente e ad offrire un certo diritto di tribuna ad alcune istanze più o meno radicali di giustizia sociale, bisognerebbe a sinistra, uniti o divisi, pensare a come formulare contenuti politici ed ideali adatti all'oggi, e a come riportare valori umanistici di solidarietà e di uguaglianza nella vita concreta ed intellettuale degli italiani. Altrimenti, senza questo faticoso, lungo, ingrato lavoro di ricostruzione delle fondamenta sarà assolutamente impossibile schiodarsi dalle cifre singole, dalla minoritarietà e dall'inutilità storica. Molto lucido, in questo senso, l'invito a “saltare un giro” rivolto in questi giorni da Bertinotti alle sinistre. Il fatto che sia caduto nel vuoto o che sia stato accolto con scherno la dice lunga sulle prospettive future, purtroppo.
La sinistra politica si trova in un'evidente situazione di stallo dalla quale non uscirà nemmeno dovesse inventarsi un Macron dell'ultima ora. Renzi d'altra parte è già un leader mancato, bruciato dalla totale assenza di lungimiranza nelle proprie scelte politiche fatte di improvvisazione. Qualcuno si bruciò il consenso vendendo politica come nelle televendite per poi vendere l'amico Gheddafi agli americani, qualcun altro, come il Renzi, ha preferito vendersi alle banche per crollare con loro. Il tentativo di riesumare le mummie della vecchia sinistra da Pisapia a D'Alema a Grasso è sintomatico dello stato di confusione mentale che regna sovrano in questa parte politica che si sta vedendo progressivamente cancellata dai risultati delle urne.
Il disastroso tonfo del PD renziano di un anno fa non è rimediabile con un governo di transizione basato su striminziti dati di crescita del Pil. Dovrebbero averglielo suggerito i vari consiglieri che lavorano per lui che un Conte non è la persona più adatta a fare incetta di consensi democratici. Eppure, la lungimiranza del grullo di Rignano l'ha portato a defilarsi per un Conte, a fare il giro d'Italia su un treno che non si sta filando nessuno, men che meno il suo partito intento a sfilacciarsi, e a ritentare l'alleanza con coloro che disse sempre di voler rottamare. Tutto ciò andrà a vantaggio del M5S? Oppure, e il vero punto è questo, l'estrema destra il cui ultimo argine era rappresentato proprio dal M5S, anch'esso in stallo politico, farà razzia dei voti di questi politici improvvisati? Staremo a vedere e senz'altro non sarà un bello spettacolo.
Cos'è la sinistra e cos'è il centrosinistra? Sono parole, definite da chi le riempie di significato. Il dibattito sull'unità è quindi inutile. Il cortocircuito comunicativo è già pronto a misura del Partito Democratico: esisterebbero due "sinistre-sinistre", più la terza, al momento censurata. Da una parte Pisapia, la cui benedizione di Prodi è in dubbio, pronto per una delle presunte tre liste a sostegno del progetto di Renzi (la sua, quella del PD, una di centro). Dall'altra MDP (Bersani, D'Alema, Speranza), Possibile (Civati) e Sinistra Italiana (Fratoianni, Vendola). Infine Rifondazione Comunista, Je' So Pazzo (centro sociale di Napoli) e altri pezzi riunitisi sabato 18 dicembre a Roma, a seguito dell'annullamento del percorso del Brancaccio, proclamato unilateralmente dai promotori (Falcone e Montanari) senza alcuna mediazione. In più pare che Partito Comunista dei Lavorati e Sinistra Classe Rivoluzione siano decise a presentare una propria lista.
Il problema è che al momento elettorale si emozionano troppe persone, troppi pezzi di gruppo dirigente. L'elettore medio si ritroverà orientato perché sentirà dichiarazioni simili (opposizione da sinistra alle politiche del governo Renzi) senza aver potuto percepire i percorsi di questi anni. Da una parte è il sistema di informazione, dall'altra la non partecipazione di chi poi magari si lamenta e da un'altra ancora ci sono i limiti delle forme organizzate.
I tempi per qualcosa di diverso sono esauriti, ora è bene che ognuno chiarisca cosa propone e raccolga il relativo consenso. Gli esisti di alcune elezioni studentesche, dove le destre estreme vincono, assieme a determinati risultati delle amministrative, dovrebbero suggerire alla eterogenea sinistra italiana di pensare più alle sue classi sociali di riferimento che ai dibattiti autoreferenziali, ma...
La logica vorrebbe che il discrimine fondamentale a sinistra fosse uno: il rapporto con il Partito Democratico o, in altri termini, cosa si è votato al referendum costituzionale del 2016. In questo scenario, Pisapia andrebbe con il Pd e tutti gli altri si alleerebbero contro.
Ma le cose non sembrano così semplici. La sinistra già alleata con il Pd (Si) o addirittura da esso proveniente (A1-Mdp, Possibile) pare coagularsi in un cartello che sarà rappresentato da Pietro Grasso; più a sinistra si trovano i mitici Falcone-Montanari (di cui, confesso, devo ancora capire pienamente le generalità), AET, il Prc, eccetera.
Ci sono a mio avviso due problemi profondi e basilari che il dibattito interno alla sinistra radicale non vuole riconoscere.
Il primo: A1-Mdp-Si-Possibile non ha la minima intenzione di fare la stampella del Pd, né prima né dopo le elezioni. La fesseria di Bersani secondo cui “ci si ritrova comunque in Parlamento” non regge al confronto con la legge elettorale, perché defezioni anche piccole sono in grado di variare il risultato dei collegi uninominali. L’ignominia del voto disgiunto, ciambella di salvataggio per micropartiti e porcherie di ogni genere, è stata giustamente evitata nella legge attuale e Bersani se ne fa scudo sostenendo che sia impedita la desistenza. Questa non era prevista neppure nella legge Calderoli, fatto che non scoraggiò Bersani dal chiedere a Ingroia di “desistere” non presentando le liste di Rivoluzione Civile al Senato in alcune regioni.
Il secondo: dopo dieci anni (dieci) in cui prove di unità della sinistra radicale si riducono a documenti cartacei letti solo da chi li scrive e forse da oziosi bibliofili, a rotture continue dettate dalla volontà di autoriciclaggio di ceto politico, e infine a una quota davvero scarsa di voti, si dovrebbe aver capito che non esiste uno spazio a sinistra del Pd se non per una testimonianza virtuale, come quando a scuola si rispondeva “assente!” per i compagni non presenti all’appello.
Nel frattempo il M5s mantiene la propria disciplina granitica mentre la destra si presenta con uno schieramento molto ampio, che trova i propri confini a destra nel Mns di Storace e Alemanno e al centro nell’Udc o, forse, addirittura nella Sc di Zanetti già viceministro del Governo Renzi.
Si è perso il conto degli appelli che sono stati lanciati negli ultimi anni per costruire un nuovo soggetto di sinistra. La parola d’ordine di abbandonare la logica dell’accozzaglia elettorale per abbracciare un progetto unitario dal basso, non si è però mai tramutata in realtà e ancora oggi, a pochi giorni dalla disdetta dell’assemblea del Brancaccio fissata per lo scorso 19 Novembre e da quella realizzata da “Je so’ pazzo”, si naviga a vista.
Intanto le elezioni si avvicinano e la sinistra è in frantumi. I tentativi unitari non hanno fatto altro che aumentare i dissapori fra i partiti e le lotte intestine rendono difficile persino ipotizzare un’ammucchiata elettorale, dato che appaiono evidenti due linee di frattura; una fra la sinistra partitica e quella civilista e l’altra fra una sinistra che ricerca un patto col PD e quella che si pone in chiara alternativa a Renzi e al suo progetto. Regnano confusione, ambiguità e scambi di accuse reciproche. Ma di chi è la colpa? Non passa giorno che non venga tirato in ballo un nuovo “colpevole” da mettere alla gogna e che ostacolerebbe il processo unitario che vede come protagonisti, in questa fase, Montanari e Falcone. Prima era Rifondazione accusata di volersi prendersi tutto, ora sono Sinistra Italiana, MDP e Possibile che sembrano voler far saltare il tavolo con un accordo fra di loro.
Ma i problemi in realtà sembrano essere più strutturali. Bisognerebbe interrogarsi più in profondità del perché tutti questi buoni propositi sono stati disattesi invece di invocare la solita caccia alle streghe cercando di volta in volta la pecora nera (sempre un partito o un leader di partito) che rovina tutto per interessi personali. In realtà più che l’egoismo – che comunque esiste – sembra che il problema sia squisitamente politico e riguardi le contraddizioni di un progetto unitario la cui palese debolezza attiene alla sua identità (Socialdemocratico o radicale? Compatibile o alternativo al PD?) e alla sua base sociale (come costruire un soggetto dal basso e radicato quando manca quasi del tutto la partecipazione popolare nel processo costitutivo e quando è pressoché assente ogni entusiasmo al di fuori degli addetti ai lavori e di qualche militante?).
Immagine liberamente tratta da www.kairosmagazine.it