Eccidi, massacri, stupri, deportazioni sono stati compiuti da pressoché tutte le forze belligeranti ed ancora oggi risulta molto controverso accertare molte delle responsabilità e colpe in un tale e caotico scenario di guerra, tanto più se si considera che sono state sollevate a più riprese molte perplessità sull’operato, la parzialità e la stessa legittimità del tribunale penale internazionale dell’Aja, chiamato a valutare e accertare l’effettiva presenza di crimini di guerra e contro l’umanità commessi dai principali protagonisti di quelle vicende.
Quello dell’ex Jugoslavia è stato anche il primo scenario bellico che ha visto l’intervento diretto della NATO in una serie di azioni molto controverse (Operazioni Deliberate Force e Allied Force) in occasione delle quali è diventata celebre l’espressione di “guerra umanitaria” destinata a essere utilizzata anche in altri e successivi contesti bellici. L’intervento delle potenze occidentali ha chiuso un lungo periodo di conflitti ma non sono mai stati del tutto risolti i problemi etnici e politici che continuano a pesare sull’area dell’ex Jugoslavia e che potrebbero riaccendere la miccia della polveriera balcanica in ogni momento. Sull’eredità storica e l’attualità delle guerre in ex Jugoslava il Dieci mani di questa settimana.
Il conflitto in Jugoslavia, iniziato con la sostanzialmente incruenta secessione della Slovenia, si è presto trasformato in una guerra atroce tra tutte le componenti etno-religiose e statali del grande stato multietnico. In Bosnia, regione in cui convivono popoli etnicamente croati, serbi della repubblica Srpska e musulmani, la carneficina ha assunto contorni di efferatezza difficilmente descrivibile, spinta dal desiderio nazionalistico di Croazia e Serbia di catturare i territori bosniaci abitati da popolazioni etnicamente simili, più o meno mascherato da desiderio di preservare l'unione o da autodifesa contro la minaccia serba e musulmana, e dal sorgere di bande armate bosniaco-musulmane. Alle efferatezze di serbi, croati, loro proxies locali e bande jihadiste si sono presto aggiunti i bombardamenti di una coalizione di Paesi NATO, un copione destinato a replicarsi tra ipocrisie e entusiaste illusioni in Kosovo e in altri teatri di “guerra umanitaria” della lunga crociata dell'approccio liberale alle relazioni internazionali.
Il tribunale penale internazionale per l'ex Jugoslavia (ICTY) condivide costitutivamente buona parte di quelle ipocrisie e illusioni. Ultimo di una serie di tentativi non brillanti di applicare lo schema giudiziario ai fatti storici, l'ICTY più o meno in buona fede ha dimostrato una certa parzialità, perseguendo duramente i crimini di serbi e alleati e dando al contrario l'impressione di voler lasciar correre sui crimini umanitari e di guerra degli altri belligeranti statali e nazionali, tranne per alcuni casi più gravi, e di voler ignorare del tutto – purtroppo, ovviamente – il trattamento inferto alla popolazione civile jugoslava e serba dalla coalizione NATO. D'altronde è ancora fresca la notizia che Tony Blair non dovrà mai presentarsi davanti ad una corte britannica o internazionale per rispondere dell'aggressione dell'Iraq, in quanto il crimine di aver ordinato una guerra d'aggressione non fa parte delle leggi britanniche, e la legge internazionale è recente e non è retroattiva (vedi qui).
Gli interventi militari “umanitari” e le “guerre per la pace” sono caduti in discredito presso un'opinione pubblica che ha dovuto assistere agli orrori e all'ipocrisia della “War on Terror” di Bush, e – fatti salvi i miracoli – anche i tribunali internazionali probabilmente sono destinati a seguirne la traiettoria declinante. L'uso strumentale della giustizia internazionale, infatti, ha nel caso della ex Jugoslavia ancora una volta svilito il ruolo dello stesso diritto internazionale. Una soluzione che non può costruire memoria condivisa, né giustificarsi di fronte alle vittime, né coinvolgere gli sconfitti nel corso della giustizia e nell'espiazione dei torti commessi non ha fatto che alimentare pericolosi revisionismi e miti revanscisti.
Norimberga è una delle tante farse a cui dobbiamo assistere nella narrazione fatta dal Bene americano contro il Male rappresentato da chiunque si ostini a opporvisi. In realtà, tale strumentalizzazione è piuttosto facile da smascherare, come ha fatto un giornalista d’inchiesta preparato in materia antimperialista come Fulvio Grimaldi (vedi qui e qui). D’altra parte non occorre certo avere una grande preparazione giuridica per capire che l’istituzione di un Tribunale ad hoc da parte di chi, come l’Onu, fu parte in causa in quel conflitto non è proprio garanzia di imparzialità e trasparenza di giudizio sui massacri compiuti durante quella guerra civile. E la medesima contrapposizione tra Bene e Male è quella che guidò l’aggressione Nato alla Serbia di Slobodan Milosevic. Le vicende di quest’ultimo non andrebbero nemmeno ricordate, ma nell’obnubilamento della memoria collettiva è bene far notare che quest’ultimo cadde per assenza di cure nel medesimo tribunale in cui si è suicidato Slobodan Pradjak.
Nessun strenuo difensore dei diritti umani si è lamentato, in fondo a chi interessano i diritti umani di un criminale contro i diritti umani? I fotogrammi dei giudici che assistono indifferenti al suicidio di un imputato è l’immagine della giustizia borghese che giustizia chi non rispetta i canoni liberali dell’idea di giustizia. Assistiamo quindi attoniti alle ultime condanne del Tribunale Assassino che si è divertito a prendere la Storia scritta dai vincitori della Nato e a far rispettare i loro canoni di giustizia, giustiziando e confinando all’ergastolo i nemici di quella parte in quel conflitto uscita completamente linda e senza macchia. Auguri a chi si accontenterà dell'unica verità che finora ci è stata propinata sulle vicende dell’Ex-Jugoslavia, smembrata dai nazionalismi ben prima dello scoppio della guerra civile al centro delle indagini del Tribunale dell’Aja.
Un giorno esisterà una forza politica europea (non per forza sovranazionale) capace di ragionare con un sano rapporto con la storia (recente e lontana) e nella prospettiva di una visione generale sulla politica internazionale, le cui relazioni sono oggi al centro di curriculum universitari ma di cui è evidente la strumentalità al servizio del contesto globale egemone (per quanto in crisi, ma non si può non vedere la rilevanza di chi ha vinto il secondo conflitto mondiale, con una discriminante interna legata alla nuova rilevanza della NATO, maturata nel secolo scorso).
La Jugoslava avrebbe la capacità di scatenare le contraddizioni di una giustizia inesistente sotto qualsiasi parametro multilaterale. Memoria e relazioni tra diverse entità politiche creano l'imbarazzante inconsistenza dell'Unione Europea nella narrazione occidentale contemporanea.
Ci sono ferite aperte difficili da gestire, ci sentiamo dire spesso, quando il politicamente corretto veicola falsità palesi. Il problema è coprire le lesioni senza guarirle. Nel frattempo marciscono, o peggiorano e le bende o creme diventano inutili: si finisce per ipotizzare qualche amputazione... quindi qui arrivano i limiti dell'uso delle metafore.
Serve un soggetto organizzato capace di reclamare un dibattito all'altezza della realtà, ponendo le discussioni su piano effettivamente capace di accendere la luce sulle palesi contraddizioni della storia del diritto internazionale e delle nostre presunte identità.
Continuare a proiettare ogni problema sui mostri di turno continuerà a richiedere altre creature di estrema cattiveria da mantenere nella descrizione del presente.
l suicidio del generale Praljak è l’ultima – per ora – di una serie di morti tra gli imputati alla Corte Penale Internazionale per i crimini compiuti nelle guerre jugoslave. Alcuni si sono suicidati, altri sono morti in patria (per questi la CPI ha richiesto un certificato di morte), altri sono morti in carcere: tra questi, provvidenziale il decesso dell’imputato più eccellente, il Presidente serbo Milosevic.
La scelta di Tito di non creare, dopo il 1945, repubbliche etnicamente omogenee – come invece disposto più a Est dalle autorità sovietiche – si rivelò alla lunga perdente: il nazionalismo risorse gradualmente negli anni Ottanta per poi esplodere dopo il crollo del Muro. Gli Stati Uniti vi videro ovviamente l’occasione per sezionare un pezzo di Europa ed agevolare il dominio Nato sul continente.
Atti criminali sono stati compiuti, durante le guerre, da tutte le parti in causa: bosniaci, croati, serbi, kosovari. Ma la narrazione occidentale ha scaricato quasi tutta la responsabilità sulla parte serba, ovvero su chi combatteva per l’unità federale della Jugoslavia. Milosevic fu assolto post mortem dalla CPI per il crimine più infame che gli veniva contestato, quello di aver organizzato la pulizia etnica; nel frattempo, gli Stati Uniti avevano rimosso l’UCK dalla lista delle organizzazioni terroristiche in modo da consentirne la partecipazione alle trattative di pace. Nelle bande armate della Bosnia e del Kosovo, come in quelle della Cecenia, hanno militato terroristi islamici legati a doppio filo ad al-Qaeda (per i cui membri anche in seguito pare sia stato lautamente concesso il passaporto bosniaco), in formazioni mafiose che si finanziavano con il traffico di droga e di organi espiantati ai serbi. Questi eroi hanno fornito la classe dirigente del Kosovo e ad essi in quel Paese sono dedicati monumenti.
La morte di Milosevic fu provvidenziale non soltanto per la CPI e per la Nato, ma anche per la Serbia. Il ripudio dell’ultranazionalismo da parte del Partito Socialista di Serbia riflette la volontà del Paese di accedere all’Unione Europea e ai benefici che essa comporta. La speranza di una riconciliazione trans-nazionale in Jugoslavia attraverso i processi della CPI è svanita, perché la Corte si è concentrata selettivamente sui crimini serbi; la stretta via per la quale quella riconciliazione può passare è costituita dall’integrazione europea. Questa deve essere intesa, però, non come un semplice aggregato di parti che mantengono direzioni diverse e pongono veti incrociati, ma come costituzione di un soggetto unitario ed egualmente autonomo da entrambi i convitati di pietra delle guerre jugoslave, gli Stati Uniti e la Russia.
Ci sarebbe da chiedersi come sia stato possibile che fra tutte le vicende belliche intercorse in quella decade che ha lacerato l’ex-Jugoslavia, ci si ricordi quasi unicamente di quegli episodi che vedono come carnefici i serbi: la battaglia di Vukovar durante la guerra serbo-croata, l’assedio di Sarajevo e il celeberrimo massacro di Srebrenica durante la guerra serbo-bosniaca hanno sicuramente avuto una risonanza mediatica superiore ai numerosi episodi di atrocità e violenze commesse ai danni dei serbi dalle truppe croate, bosniache o dai terroristi kosovari.
La narrazione mediatica ha quasi sempre raffigurato i serbi come i criminali che spinti da una follia nazionalista si sarebbero messi non solo a repremere ma anche a perpetuare una vera e propria pulizia etnica ai danni delle altre, indifese, nazioni dell’ex-Jugoslavia. Si dimentica spesso che i massacri e le atrocità sono stati commessi da una parte e dall’altra e i sentimenti nazionalisti non erano certo prerogativa unica dei serbi. Ma se queste verità ormai assodate fossero emerse subito, la “guerra umanitaria” voluta dagli Stati Uniti e dai suoi alleati non sarebbe stata possibile. Il nemico serbo e il “novello Hitler” Milosevic invece erano il pretesto ideale per colpire una Belgrado che si stava pericolosamente riavvicinando a Mosca e portare buona parte dell’ex-Jugoslavia sotto l’influenza occidentale. Dietro gli apparenti e fumosi motivi umanitari c’era ovviamente un progetto geopolitico di egemonia.
La narrazione anti-serba di un conflitto le cui responsabilità sono in realtà e con ogni probabilità paritetiche fra tutte le fazioni belligeranti ha fatto proseliti anche all’Aja dove il tribunale penale internazionale ha condannato i leader politici e militari serbi in maniera spropositata rispetto ai loro omologhi croati e soprattutto bosniaci e kosovari. Anche credendo nella buona fede e imparzialità dei giudici dell’Aja resta il totale fallimento di quest’organo nella sua missione di arrivare a delle decisioni che potessero fare chiarezza su quanto accaduto e contribuire a una riconciliazione fra gli stati interessati dal conflitto. La misteriosa morte di Milosevic e la sua assoluzione postuma, i processi rimasti per anni senza un verdetto, il rilascio del terrorista Ramush Haradinaj, ex membro dell’Esercito di liberazione del Kosovo e ora Primo Ministro del narco-stato kosovaro, ottenuto grazie all’assassinio sistematico dei testimoni o alla loro omertà, l’assoluzione in secondo grado dei generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač che con l’operazione tempesta di cui erano a capo avevano provocato migliaia di morti fra i civili serbi e circa 200.000 sfollati, le morti non del tutto trasparenti di alcuni imputati a processo, fino al teatrale suicidio di Praljak, sono solo alcuni degli aspetti che hanno messo in luce tutti i difetti di un tribunale che ha nella maggior parte dei casi fallito nel suo compito essenziale di fare giustizia.
Immagine liberamente tratta da www.nbcnews.com