Giovedì, 30 Agosto 2018 00:00

Vera Pegna. Autobiografia di una donna

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Leggere l’ultimo libro di Vera Pegna (Autobiografia del Novecento. Storia di una donna che ha attraversato la Storia, Il Saggiatore, 2018) è stato davvero emozionante e appassionante. Quest’ultimi non sono degli aggettivi scelti a caso ma sono i tratti comuni a tutta la vita dell’autrice. L’emozione e la passione dunque.

Le ragioni che fanno, quindi, appassionare alla vita di questa traduttrice, scrittrice, politica sono molteplici. Innanzitutto, è una donna che ha vissuto intensamente tutta la sua vita (sia la sfera privata che quella pubblica) e ha attraversato quasi l’intero Novecento, secolo così pregno di storie e breve allo stesso tempo. Una donna nata, dunque, ad Alessandria d’Egitto, poiché proveniente da famiglia ebraica sfuggita all’Inquisizione spagnola. In particolare, figura importante tra altre, è il nonno che è stato davvero un esempio da seguire. Resta impressa nella mente di Vera la sua rettitudine, la sua attitudine allo studio ma soprattutto perché da questo nonno ha imparato che “nella vita non bisogna mai subire, che non rassegnarsi si può e si deve e che la banalità del quotidiano – accettata come normale – va sfidata sì da esprimere a pieno la propria vitalità”.

Vera ha la fortuna di provenire da una famiglia agiata, quindi può andare a studiare in Europa e laurearsi a Ginevra con una specializzazione in interpretazione simultanea. Qui è un periodo di libertà e di incontri, tra i quali quello con un suo coetaneo universitario che la introduce ai principi del buddismo, religione cui non aderirà mai. Da essa, però, comprende la complessità della realtà e la possibilità di vivere nelle diversità, dando origine a strani ma validi sincretismi di pensiero e di pratiche. Infatti, dopo un anno dalla laurea, sente parlare del “Gandhi siciliano”, ovvero di Danilo Dolci a Partinico e, affascinata da questa figura, decide di andare a trovarlo. Quest’ultimo voleva importare in Sicilia la lotta non violenta per favorire lo sviluppo e il riscatto di questa gente.

È un incontro fecondo non solo perché permette di studiare le disuguaglianze, il ricatto mafioso e altri aspetti della realtà isolana ma anche, e soprattutto, per gli incontri che riesce a fare. Ad esempio, in questo periodo, entra in contatto con persone semplici ma con una visione del mondo come la vicina di casa Tittì, analfabeta e comunista, madre di due figli. Qui, a Partinico, svolge un periodo di volontariato, ma, progressivamente, si rende conto della necessità di incidere e rompere concretamente alcune catene che legano la realtà siciliana, tra le altre la mafia. Vera, donna che sa bene da che parte stare, sceglie di entrare nel Partito Comunista Italiano grazie anche alla testimonianze di lotta e alla vita della gente umile e sfruttata di Partinico.

Quest’ultima è una scelta di emozione perché “le idee che camminano sono quelle che diventano emozioni” come ci tiene a precisare l’autrice utilizzando le stupende parole di Pepe Mujica. Come potrebbe essere altrimenti? Perché questa scelta? L’autrice ci tiene a precisare che non è stata una scelta ma una scoperta fondamentale anche perché le parole “Proletari di tutto il mondo unitevi” significano per lei “ritrovare il mondo, un mondo senza confini, con per giunta la percezione rassicurante di appartenere a quella parte dell’umanità consapevole, impegnata nella difesa di una causa giusta, capace di guardare lontano e di progettare il futuro”.

Vera, dunque, suona alla porta della federazione di Palermo dove conosce il segretario Napoleone Colajanni, che, come era pratica abituale in quel partito, le chiede dei suoi trascorsi in Egitto, a Ginevra e a Partinico. A questo punto, non le fa automaticamente la tessera ma preferisce indurla a riflettere sulla sua scelta; le presta tre libri da studiare, ovvero Il Manifesto, Che Fare?, Un passo avanti, due passi indietro. Per come ci siamo abituati, volenti o nolenti, alla realtà attuale, si rimane spiazzati per le semplici ma assai valide modalità di avvicinamento alla vita di un partito; nello stesso tempo avviliti per l’ingiusto presente e le pratiche sbagliate di quasi tutta la politica italiana contemporanea.

Comunque sia, Vera torna da Napoleone, raccontando ciò che aveva capito dalle letture e lui la spedisce a Caccamo, cinquanta chilometri da Palermo, in una realtà molto difficile e da sempre in mano alla Democrazia Cristiana. Oltre a ciò, questo paese era una roccaforte della mafia, dove erano prassi comune “le ammazzatine, ovvero le uccisioni di sindacalisti e compagni coscienti che lottavano a testa alta perché era giusto farlo”. Qui partecipa alle elezioni comunali dove può esercitarsi in una grande palestra di pensiero e di politica.

Infatti, conoscendo e stringendo relazioni con gli altri compagni, racconta che “da loro, dalle loro storie, volevo imparare a fare le cose giuste; ero capace di pensarle, magari di affermarle, ma dovevo ancora imparare a metterle in pratica. Tale consapevolezza mandò in frantumi le gerarchie che avevo in testa – la barriera fra contadini e intellettuali, ricchi e poveri, analfabeti e laureati: un’apertura politica e umana ricchissima che mi ha accompagnato per tutta la vita”.

Qui conosce anche il suo compagno con il quale, anche a causa di delusioni dovute alla durezza e all’immutabilità della realtà mafiosa siciliana, si trasferisce a Milano. Quest’ultimo, Paolo, non è un uomo che compare a caso nella sua vita, anzi egli è un combattente, infatti “a diciassette anni era andato in montagna portando con sé la Divina Commedia, e l’intensità della sua esperienza partigiana lo aveva plasmato al punto di connotarne il carattere e il modo d’essere con gli altri. Viveva tutto intensamente: il suo impegno politico, il suo lavoro di giornalista, il nostro amore”. A Milano Vera Pegna si dedica intensamente al suo lavoro di traduttrice, riuscendo, tra l’altro, a far uscire il suo Dizionario italiano-francese di termini in uso in economia, borsa, finanza, commercio.

In uno dei suoi viaggi di lavoro, a Stoccolma, fa uno degli “incontri più importanti della [sua] vita”, ovvero quello con Lelio Basso che “avrebbe contribuito a formare il mio pensiero politico e umano, due qualità fra loro inscindibili”. Con quest’ultimo e con altri compagni del PCI e del PSIUP fonda a Milano il Comitato Vietnam affinché si “diffondesse la realtà dell’aggressione americana, presentata in modo fazioso e distorto dai media occidentali, e di «aprire un altro fronte», favorendo la diserzione di soldati americani”. È bello e accorato il ritratto che fa Vera di Lelio Basso prendendo in prestito i pensieri di Samir Amin (economista egiziano purtroppo appena scomparso) parlando, appunto, del politico socialista: “egli esprime una cultura, oso dire un’etica di vita, profondamente non violenta, intrisa di rispetto per l’altro; una cultura che privilegia il ragionamento anziché fare leva sulla propria superiorità sociale, psicologica o culturale”.

Vera Pegna, successivamente, uscirà in polemica dal PCI a seguito della radiazione del gruppo del Manifesto, tra cui Rossana Rossanda che era iscritta nella sua stessa sezione, con una lettera molto “pegniana”. Ancora una volta, dimostra la sua autonomia di pensiero e la sua volontà di non arrendersi mai, ma di continuare a esercitare le sue capacità di critica e di autocritica.

È commuovente (sembrano quasi le scene di un film di Ettore Scola) la sua partecipazione volontaria a seguito dell’alluvione a Firenze. Vera si reca per dare una mano grazie al bus organizzato dalla sezione del PCI. Si precipita subito a salvare il maggior numero di volumi presso la Biblioteca nazionale centrale. Qui trova un ambiente in cui i militanti di sinistra si danno da fare insieme a un gruppo di seminaristi. La commistione è così naturale e salda che, nel corso di questo duro, necessario e lungo lavoro, si alzano canti della Resistenza e inni religiosi senza sovrapposizione ma realizzando quella che l’autrice definisce “una fratellanza emozionante”.

Proprio a Milano, nel periodo del suo impegno nel Comitato Vietnam, conosce il pastore della chiesa metodista di Milano, Bob Zeuner, con il quale aiuta alcuni soldati disertori americani dalla base di Aviano. Con quest’ultimo, tra l’altro, farà una figlia di nome Ann. Vera, nel rapporto con questa persona, è da ammirare per la sua indipendenza di pensiero, a tal punto che non convoleranno mai a nozze. Il motivo è così ben argomentato dalla stessa autrice: “Fra noi – me ne accorsi quasi subito – l’abisso politico e culturale era incolmabile. Lui si opponeva all’aggressione americana al Vietnam solamente perché non voleva che i boys ci andassero a morire. Però gli Stati Uniti non si dovevano toccare: Right or wrong, my country. Un giorno gli dissi: «Ma dei morti vietnamiti non parli mai!». Rispose: They are all commies, sono tutti comunisti. Eppure stavamo benissimo insieme”.

Sono presenti nel libro anche le esperienze di Vera al fianco del popolo palestinese, nel Movimento degli ebrei di sinistra, e la conseguente opposizione al sionismo. Qui emerge la consapevolezza e la lotta dell’autrice e attivista per la questione palestinese. Da pacifista convinta, pensa che sarà possibile anche la convivenza tra i due popoli nel medesimo stato quando anche gli stessi palestinesi potranno tornare nella loro terra. L’autrice ci ricorda a tal proposito, da studiosa tra l’altro dei trattati internazionali, che esiste ancora la necessità di “istituire il reato di omissione di soccorso al popolo in pericolo, alla stregua del reato di omissione di soccorso a persona in pericolo sancito dai codici penali di tutto il mondo” sulla scia di una conversazione, oggetto di un racconto di Lelio Basso fatto all’autrice, tra lo stesso Basso e Francois Mitterand.

Non si può non parlare dell’ennesima scelta di cuore che Vera ha fatto anche a fianco di una battaglia così importante e così difficile in Italia quale è quella a favore della laicità. Quest’ultima viene vista sia come separazione tra lo Stato e il Vaticano o le altre confessioni religiose ma soprattutto la libertà di pensiero proprio e altrui, tra cui la libertà di non professare alcuna religione e definirsi, come ella fa, “una non religiosa, una libera pensatrice”.

È bello, a questo punto, immaginare Vera a Ceranova, dove dal 2000 vive in riva al mare. È affacciata alla finestra a guardare il cielo e il mare in compagnia del vento e delle onde. Questa donna del Novecento ci continua a raccontare, dalla sua casa, la realtà attuale, i problemi di questo terribile intricato mondo secondo le categorie di pensiero che hanno portato il progresso dell’umanità tutta.

Immagine ripresa liberamente da ilsaggiatore.com

Ultima modifica il Mercoledì, 29 Agosto 2018 22:34
Piergiorgio Desantis

a volte giurista, a volte demodé, sicuramente un lavoratore, certamente un partigiano.

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