Non è nuova alle orecchie dei cittadini europei la notizia che fra i paesi membri ci siano dei paradisi fiscali: Lussemburgo, Irlanda, Olanda, da alcuni punti di vista anche la stessa Inghilterra, sempre riluttante a cedere su una regolamentazione comune dei regimi impositivi. Non si è mai riusciti a trovare un accordo per uniformare le tasse dirette, e questo ha causato non poche frizioni.
Poi sono arrivate, negli scorsi mesi, le inchieste della Commissione sulle agevolazioni fiscali (i cosiddetti “aiuti di stato”) concesse ad alcune compagnie: il caso del Lussemburgo con Amazon e Fiat Finance e dell’Irlanda con Apple.
Ma le rivelazioni dell’ICIJ (International Consortium of Investigative Journalists) sono sorprendenti anche per chi conosceva questi antefatti. Più di 340 multinazionali hanno firmato accordi segreti con il Lussemburgo per spostare i loro profitti nel granducato, dove il regime di tassazione è molto più morbido rispetto a quello dei loro paesi d’origine. I documenti sono stati diffusi dal team di giornalisti, con un report, lo scorso 5 novembre.
Il numero delle aziende che hanno beneficiato suggerisce che l’aiuto di stato, lungi dall’essere una misura eccezionale, sia praticamente una norma del business europeo.
È passato solo qualche giorno dal 18 settembre, dal referendum sull'indipendenza scozzese e già sembra che niente sia successo.
Dopo che televisioni e giornali hanno improvvisamente scoperto che in Scozia esistono istanze indipendentiste e per giorni hanno annunciato servizi, alle volte molto banali, sul tema con musichine a base di cornamuse, dopo la vittoria del “no” tutto tace. Già, perché oramai lo spettro dell'indipendenza, dello sfascio dell'Europa, si è allontanato.
Mettete 5 palestinesi e siriani scappati dal dramma dei propri paesi ed arrivati in Italia senza documenti. E mettete che vogliano raggiungere la Svezia per iniziare una nuova vita, lontana dal dolore e dall'angoscia di anni ed anni di violenza. Come fare ad attraversare l'Europa?
L'idea geniale è venuta a Khaled Soliman Al Nassiry, poeta siriano, e a Antonio Augugliaro, giornalista italiano: mettendo su un finto corteo nuziale. Con la complicità di un'amica palestinese che ha accettato di vestire i panni della sposa, sono riusciti a mettere in viaggio una “carovana” di oltre 25 persone (se non è numerosa che festa nuziale è?).
Vi riproponiamo un'intervista all'economista Samir Amin realizzata nel luglio 2011 da Dmitrij Palagi e Mattia Nesti per La Prospettiva. Sono passati tre anni ma la rilettura è più che consigliabile, soprattutto alla luce del dibattito che abbiamo portato avanti in questi mesi su Europa, modello di sviluppo e dimensione politica. Buona lettura.
1) Su diversi giornali e siti si parla di Primavera Araba, così come in passato si è utilizzata l’espressione Primavera Sudamericana. Si tenta anche di collegare questi processi con le varie forme di protesta europee, dagli indignados ai referendum italiani. Nonostante questo collegamento è evidente l’assenza dello spirito di Genova 2001, un senso di unità che in molti riassumevano con lo slogan “un altro mondo è possibile”. C’è stata una perdita di unità ed è mai realmente esistito un movimento mondiale anticapitalista?
Leggo di un deputato di SEL che entra nel PD e che lo fa perché si tratta del PD di Renzi. Il fatto è significativo dei problemi che attraversano la sinistra italiana, per molti aspetti cronici e per altri enfatizzati e modificati dalla nuova onda sussultoria a dominanza populista e infastidita dalla democrazia rappresentativa, che investe un sistema politico complessivo tutt'altro che stabilizzato. Quella cosiddetta II Repubblica, stando allo stile urlato e superficiale dei nostri mass-media, che aveva dinanzi a sé l'eternità in quanto “compiuta democrazia dell'alternanza”, si è rivelata essere un episodio a cui ne sta seguendo un altro, appena nato e le cui possibilità di sviluppo sono in molte direzioni, essendo contemporaneamente in campo le variabili della crisi economica, della crisi sociale e della crisi della costruzione europea.
Ho sollevato in un precedente articolo il tema di che cosa si debba intendere per “populismo”; o, meglio, poiché “populismo” è una parola che ha subito in questi anni tutte le torsioni di significato possibili e immaginabili, quali siano i significati che rendono oggi utile questa parola, e la portino a nozione con un contenuto non troppo elastico. Poniamo che con il termine “populista” sia stato utile in passato definire una formazione politica orientata ad accorciare la distanza tra sé e il popolo o un suo segmento, ovvero orientata a “saltare” la mediazione tra sé e questo popolo o segmento di popolo fornita da “corpi intermedi”, di natura sociale (come per esempio i sindacati) o istituzionale (come per esempio assemblee parlamentari o governi locali); inoltre orientata a togliere potere, o addirittura ad annullare, tali corpi intermedi o una loro parte; infine a sostituire nell'immaginario sociale, ai ruoli delle istituzioni centrali
Di Luigi Vinci
Articolo pubblicato sul quarto numero cartaceo de Il Becco
Una constatazione di tutte o quasi tutte le popolazioni dell'Unione Europea, e di paesi dentro all'area economica europea, ma non nell'UE, come quelle di Svizzera, Islanda, Norvegia, è che l'UE si sia trasformata in una matrigna punitiva senza un motivo razionale. Di conseguenza aspirano all'entrata nell'UE solo quote urbane di popolazioni collocate verso est, come quelle di Turchia, Ucraina, paesi dei Balcani occidentali, perché vi sopravvive l'immagine di un'area di prosperità e di libertà, defunta altrove.
Intervista a Yves Charles Zarka
filosofo e saggista francese e direttore di “Cités”, rivista dedicata alla cultura politica contemporanea
Pubblicato sul cartaceo che potete scaricare qui
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1- Abbiamo avuto modo di partecipare, qualche settimana fa, ad un'iniziativa organizzata dall'Istituto dell'Università Europea a Firenze sulle possibilità di cambiare l'Europa che conosciamo oggi. Tra gli ospiti, Mirelle Bruyére, de L'Economistes Atterés, che ha concluso il suo intervento spiegando come, a grandi linee, ciò di cui abbiamo bisogno è un'Europa basata sul consumo più che sulla proprietà, che tenga meno conto della finanza e più dell'economia reale, disciplina sociale fortemente legata alla politica e all'organizzazione delle istituzioni.
Vede fattibile un cambiamento in tal senso? Se sì, con quali modalità e soprattutto quali tempi.
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Parte II - Immigrazione intraeuropea, ossia quella italiana nel decantato “paradiso” tedesco
Come ricordava V. Parlato (curatore assieme a F. De Felice de La Questione Meridionale per gli Editori Riuniti nel 1974) in un corsivo per la Fondazione Pintor il 21 giugno 2013: “È con l’unificazione e la moneta unica e l’abbattimento delle barriere doganali che la questione meridionale si apre e si aggrava il degrado del Sud. Ora con l’attuale unificazione dell’Europa siamo al peggio: c’è la moneta unica, tutte le difese doganali sono state abbattute, la libertà di commercio è assoluta e non c’è neppure uno stato unitario che possa fare una politica di riequilibrio. In questo nuovo contesto l’Italia è diventata il Mezzogiorno d’Europa. La questione meridionale siamo noi, Italia e - a peggiorare la situazione - non c’è uno stato europeo che possa progettare una specie di Cassa del Mezzogiorno per il nostro paese.
La questione poi non coinvolge solo l’Italia ma anche la Grecia, la Spagna, il Portogallo e neppure la Francia se la cava tanto bene”.
Parte I - Immigrazione italiana nella “nazione più felice al mondo” (secondo la definizione data dal rapporto Ocse 2013)
Mentre i populismi avanzano con progressi significativi solo sul campo del razzismo e della xenofobia, solleticando i peggiori istinti umani degli europei, in questo articolo mi concentrerò sul percorso inverso e speculare. Con l'appoggio dei dati statistici (per la prima volta dopo decenni nel 2013, secondo dati OCSE, si è registrato il sorpasso dei flussi in uscita dall'Italia su quelli in entrata, ovvero il ritorno all'emigrazione) evidenzierò come, in realtà, a far preoccupare sia il fenomeno opposto, cioè la perdita di risorse umane, e non l'eccesso, come si vuol far credere seguendo l'ideologia che sorregge questo sistema economico. Chi volesse analizzare con lucidità i dati del fenomeno scoprirebbe ad una prima occhiata almeno tre ovvietà:
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