“Io sto con la sposa” è il film documentario, a firma, oltre che di Augugliaro e Al Nassiry, di Gabriele Del Grande, che racconta questa immensa avventura. Un viaggio in macchina attraverso l'Europa di Schengen, che se da una parte garantisce la libertà di circolazione, spesso non si preoccupa dei diritti di chi arriva come rifugiato.
Ed è stato proprio in occasione del 20 giugno, indicato dall'UNHCR come la Giornata mondiale dei rifugiati, che anche a Firenze abbiamo provato a dare il nostro piccolo contributo a questo progetto che, oltre che tanto bello, ci pare anche tanto importante. In una Casa del Popolo ci siamo ritrovati con diversi curiosi per una cena di raccolta fondi e per un collegamento via Skype con i tre registi. Grazie alle domande poste da Saverio Tommasi, Daniele, Khaled e Antonio hanno avuto modo di raccontare come, visto il grande lavoro che si sono ritrovati in mano, abbiano deciso di mettere su una raccolta di fondi per il finanziamento del film che, tra le altre cose, promette un grande futuro dal momento che è già stato iscritto alla Mostra di Venezia del prossimo anno.
“Io sto con la sposa” si preannuncia un gran film. Da una parte perché sarà pieno di quell'allegria travolgente tipica di un matrimonio: una festa prolungata in giro per l'Europa, non un euro speso in alberghi grazie all'ospitalità dei tanti compagni e familiari incontrati lungo il viaggio, tanta musica e tante storie. Ci racconterà una faccia dell'Europa che ci viene tenuta nascosta da chi asseconda la diffusione del terrore, della diffidenza nei confronti del nuovo e del diverso, di chi vorrebbe le frontiere chiuse quanto la propria mentalità. Ci racconterà di un'Europa dove le cultura si incontrano e si mischiano, dove nessuno oggi può restare incontaminato.
Dall'altra parte, questo film, incentrato sul dramma di chi scappa dal proprio paese in guerra, racconta cosa significa essere un rifugiato politico (i dati forniti venerdì scorso dall'UNHCR parlano del superamento della soglia dei cinquanta milioni di rifugiati al mondo). Fa in modo che chiunque decida di vederlo capisca cosa si nasconde, davvero, dietro questo fenomeno migratorio tanto mistificato e distorto dai media italiani: racconta cosa significa dover lasciare tutto per andare verso l'ignoto, scappare da morti che non si scorderanno mai e incontrarne altri durante il viaggio, vedere bambini che annegato in quella grande culla, il Mediterraneo, che ha fatto da madre a tutti noi ma che oramai pare aver perso il suo ascendente protettivo. Il faccia a faccia con queste realtà spinge tutti noi a fare un passo avanti nel modo di approcciarci alla tematica: non il “semplice” aiutare di chi si pone partendo da una posizione migliore (alla fine anche la Nazioni Unite mandano aiuti ingenti in giro per il mondo ma spesso non hanno fatto il possibile affinché i conflitti, che hanno fatto sì che quelli aiuti fossero necessari, fossero scongiurati) ma il capire cosa c'è all'origine, capire quali sono i rapporti di forza e soprattutto provare a gettare le basi per la ricostruzione di un forte movimento di opinione pubblica che sia in grado di mobilitarsi quando si sente puzza di guerra. Di qualsiasi guerra, che sia contro la Libia di Gheddafi, che sia quella civile in Ucraina o quella contro l'Iraq.
Perché, da questo punto di vista, di differenze tra le guerre non ce ne sono.
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