Sabato, 05 Aprile 2014 00:00

Europa: tutta da rifare - Intervista a Zarka

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Intervista a Yves Charles Zarka
filosofo e saggista francese e direttore di “Cités”, rivista dedicata alla cultura politica contemporanea
Pubblicato sul cartaceo che potete scaricare qui
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1- Abbiamo avuto modo di partecipare, qualche settimana fa, ad un'iniziativa organizzata dall'Istituto dell'Università Europea a Firenze sulle possibilità di cambiare l'Europa che conosciamo oggi. Tra gli ospiti, Mirelle Bruyére, de L'Economistes Atterés, che ha concluso il suo intervento spiegando come, a grandi linee, ciò di cui abbiamo bisogno è un'Europa basata sul consumo più che sulla proprietà, che tenga meno conto della finanza e più dell'economia reale, disciplina sociale fortemente legata alla politica e all'organizzazione delle istituzioni.
Vede fattibile un cambiamento in tal senso? Se sì, con quali modalità e soprattutto quali tempi.

Dal punto di vista economico, l'Europa è in crisi, è chiaro questo. Una crisi dovuta a problemi legati al debito pubblico di molti paesi che non sono risolvibili entro breve termine. C'è una progressiva riduzione del welfare e della spesa sociale nei diversi paesi, questa, unita alla mancanza di lavoro e al fatto che le tasse sono l'unica fonte di entrata per gli stati, fa sì che i consumi diminuiscano progressivamente. Non esiste quindi una soluzione di matrice economica: la soluzione può venire solo dalla politica. A livello politico però la situazione europea è assolutamente drammatica. Prendiamo ad esempio le prossime elezioni: queste elezioni non sono elezioni europee bensì nazionali. In ciascun paese c'è un'elezione che rispecchia le dinamiche nazionali. Questo è un punto fondamentale. Le elezioni dovrebbero avere una dimensione europea, con circoscrizioni europee e non nazionali: candidati francesi in Italia, italiani in Polonia e così via. L'Europa politica esiste solo nella forma della Commissione e del Parlamento. Il punto è che questa dimensione non è percepita come europea dalle persone. L'Europa appare come un qualcosa di lontano dalle le popolazioni: esterna ed opprimente. Dobbiamo trovare una soluzione politica, solo così possiamo superare la crisi economica.

Dobbiamo precisare però che il livello politico non può produrre una soluzione immediata. Dobbiamo in primo luogo puntare ad avere istituzioni democratiche in Europa: il Parlamento europeo si riunisce 3 giorni al mese e i rimborsi per parlamentari sono scandalosi. La Commissione è un organo di nominati.
Nel libro che ho scritto con Jürgen Habermas, “Refair l'Europe”, ragioniamo sulle soluzioni politiche di uscita dalla crisi. Una di quelle prese in considerazione è quella di non parlare di un'Europa post nazionale perché questa significherebbe la fine della nazione. Oggi, è evidente, i popoli europei non vogliono rinunciare alle proprie istituzioni, tradizioni, culture e nazionalità. È però possibile concepire un'Europa che, se non è post nazionale, è sovranazionale: è possibile cioè ripensare i rapporti tra le nazioni. Abbiamo provato a teorizzare due livelli, uno nazionale e uno di rappresentanza dei cittadini europei in quanto tali. Dobbiamo rifare le istituzioni europee per avere la possibilità di costruire un'Europa democratica. Non è possibile fare l'Europa senza chiedere all'Europa di esprimersi; non per niente l'Europa di oggi è post democratica, come dice Habermas: una forma di inter-governabilità che fa sì che ogni volta che il popolo è consultato, l'esito sia negativo. Questo significa che abbiamo bisogno di una riforma davvero profonda.

Vorrei aggiungere che molto importante è anche il tema dell'ecologia, legato a doppio filo con ciò che abbiamo detto fino adesso. L'Europa deve costituire in questo senso un'avanguardia: abbiamo tecnici e scienziati che con il loro lavoro ci permetterebbero di farlo. Non possiamo continuare con la logica di sfruttamento che prevale oggi. E ciò riguarda anche la forma politica e quella dei partiti. Ad esempio in Francia abbiamo in corso un dibattito sulla riconversione energetica. Ho avuto modo di dire che il dibattito è fasullo dal momento che la soluzione è già stata scelta. La Francia non ha risorse naturali, non vuole utilizzare gas, ha bisogno di energia a buon prezzo ed ha modo di produrre energia nucleare; la produzione industriale richiede prezzi sempre più bassi. Questi fatti implicano che la soluzione sia, di fatto, già stata scelta. L'idea è quella di sviluppare al massimo il nucleare di di parlare di transizione solo per il 15-20% della produzione energetica.

Abbiamo due questioni: quella della democrazia e quella dell'ecologia e non abbiamo, con la forma politica attuale, la possibilità di trovare una soluzione. Io sono molto pessimista dal momento che l'Europa appare come un'unità inconsistente, lasciando così spazio ai populismi.

2- Nel suo libro, Critica delle nuove schiavitù, spiega come la democrazia oggi, inserendosi nei ragionamenti sulle degenerazioni di questa teorizzata anche da Platone ed Aristotele, altro non sia che un nuove insieme di schiavitù. Schiavitù che, al contrario di quelle passate, non hanno più un “padrone” ben identificabile ma ne hanno uno del tutto anonimo che però riesce a tenere sotto una morsa ben stretta le società. Quanto le gerarchie europee, così come le conosciamo oggi, possono essere considerate coincidenti, o complici, di questo nuovo padrone?

Io ho parlato della dominazione di un maestro anonimo che è una dominazione che non appare come tale. Tu credi di essere libero, in realtà c'è qualcuno o qualcosa che ti conduce, andando contro libertà e interesse della collettività. Queste nuove schiavitù sono legate alla forma economica e alla maniera in cui il capitalismo può oggi condurre le condizioni individuali senza che questo appaia come una costrizione. Questo si vede a livello economico ma anche su quello dei desideri individuali. Nello spettacolo della società, non solo la pubblicità ma anche la televisione ed altri elementi che producono un'immagine dell'uomo, del bene e del normale ben precisa: l'utilizzo dei desideri degli individui, il fatto che questi desideri siano portati verso oggetti invece che verso altro. La differenza della nuova schiavitù rispetto all'antica è che questa nuova non è percepita come una costrizione piuttosto che come libertà. Questa attraversa anche l'Europa e le sue problematiche. È molto difficile invertire questo movimento dal momento che servono risorse e dimensioni che non abbiamo, enormi. Anche qui sono pessimista: non vedo come sia possibile un'inversione, un cambio di logica, senza forte elementi di rottura, come sempre è avvenuto nella storia. Questo è un grosso problema che i partiti politici non hanno ancora affrontato seriamente.

Ultima modifica il Venerdì, 04 Aprile 2014 16:18
Beccai

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