Martedì, 08 Gennaio 2013 00:00

Il Venezuela e le due idee di socialismo

Scritto da
Vota questo articolo
(6 Voti)

Il 16 dicembre sono stati eletti in Venezuela i governatori dei 28 stati che lo compongono. In 4 il Partito Comunista non era alleato del Partito Socialista Unito del presidente Chávez. Le ragioni addotte dal PCV sono che il candidato del PSUV non garantiva sul piano dell’orientamento politico o del costume. Non sono in grado, ovviamente, di valutare l’attendibilità puntuale di queste critiche. Quindi poche considerazioni.

In Venezuela come altrove le grandi vittorie politiche non solo attivano nuove forze popolari ma anche carrieristi. Inoltre in Venezuela l’apparato pubblico e i partiti erano un tempo parte o strumenti di una ristretta oligarchia creola (cioè di dominante origine europea), il cui strumento di egemonia era l’uso clientelare di una frazione della rendita petrolifera (il Venezuela non è solo tra i grandi produttori di petrolio ma le sue riserve sono valutate le più cospicue del pianeta): e molti loro personaggi tentano di riciclarsi nell’attuale esperienza socialista. Il problema, in ogni caso, è presente alla dirigenza del PSUV, come mostrano campagne di massa contro la corruzione e rimozioni e processi a carico di figure già importanti del potere politico o dell’apparato militare. Non è per questo, tuttavia, che il PCV non volle a suo tempo confluire nel processo costitutivo del PSUV. Quest’ultimo è il risultato, nel 2008, dell’unificazione di 5 partiti, movimenti e gruppi della sinistra venezuelana, tra i quali il Movimento V Repubblica di Chávez, forte di una notevole partecipazione di quadri militari e dei militanti attivi dei Circoli Bolivariani, organismi di massa attivati nel 2001, tre anni dopo la conquista della presidenza della repubblica, con l’obiettivo di una mobilitazione popolare organizzata dal lato delle trasformazioni socialiste, e che fanno qualcosa come 6-7 milioni di aderenti. Il PCV è stato a lungo interlocutore di questo processo, dal quale però alla fine si sottrarrà argomentando una propria concezione diversa del socialismo. Vediamo.

L’orientamento teorico del PCV è il tradizionale marxismo-leninismo (ciò vale per tutti i partiti comunisti latino-americani). Il “modello” socialista del PCV, schematizzando, è dunque quello cubano (prima delle recenti riforme), quindi simile a quello del “socialismo reale” europeo. E’ un modello cioè basato sulla statizzazione integrale dei mezzi di produzione (terra compresa) e di scambio (finanza, commercio) e sulla centralizzazione del potere nelle mani del partito. Ma giova una precisazione. I partiti comunisti latino-americani non auspicano un sistema politico a partito unico e la persecuzione di ogni dissidenza. Essi infatti collocano quest’aspetto della realtà politica di Cuba tra i portati di una militarizzazione della società resa necessaria dall’embargo e dalla minaccia USA. Si tratta quindi di una realtà che i nuovi paesi socialisti latino-americani hanno la fortuna di evitare. Anni fa ascoltai dal presidente nicaraguegno Daniel Ortega come il carattere semi-pacifico delle attuali rivoluzioni socialiste latino-americane molto debba alla resistenza di Cuba agli USA e all’eroismo delle guerriglie dei decenni scorsi, quasi sempre massacrate, vincenti solo in Nicaragua e Salvador: esse avevano cambiato le condizioni dello scontro di classe in tutta l’America latina e portato gli USA a più miti consigli nel rapporto ai suoi paesi.

Il “modello” socialista-partecipativo propugnato dal PSUV (condiviso, inoltre, dalle forze oggi al potere in Bolivia, Ecuador, Nicaragua, Salvador) si caratterizza invece nel seguente modo. Sul piano dell’economia, esso è per un’economia mista, dove cioè accanto all’impresa pubblica e a quella cooperativa operi un’imprenditoria privata, a livello di piccole attività così come di joint-ventures con capitale straniero. In parte questo è giustificato dal fatto dell’arretratezza del Venezuela, compresa la mancanza di un forte proletariato industriale, di tecnici, di specialisti, ecc., in altre parole è giustificato da obiettivi di sviluppo non solo di tipo economico ma riguardanti le capacità effettive di una popolazione, largamente fatta di proletariato urbano escluso da ogni cosa, in sede di gestione dell’economia e della società. Perciò questo modello è posto anche come strumento, assieme alla scolarizzazione diffusa in atto, di una rapida elevazione delle capacità di gestione della popolazione. Esso infatti si basa su partecipazione e controllo popolari organizzati riguardo alla totalità della vita sociale (realtà produttive, apparati pubblici, servizi sociali, scuola, informazione, ecc.), inoltre comporta il coinvolgimento popolare nella definizione degli obiettivi primari del socialismo. Infine questo modello è il risultato di una riflessione sulle ragioni del fallimento del “socialismo reale” europeo e delle difficoltà stesse di Cuba, in quanto attribuibili anche a inefficienze di modello economico. Il modello partecipativo cioè ritiene che elementi di economia di mercato, purché regolati e controllati, possano giovare all’economia socialista, contribuendo a contrastarvi burocratismi e inefficienze.

Immagine tratta da meridianionline.org

Ultima modifica il Martedì, 08 Gennaio 2013 00:07
Luigi Vinci

Protagonista della sinistra italiana, vivendo attivamente le esperienze della Federazione Giovanile Comunista, del PCI e poi di Avanguardia Operaia, Democrazia Proletaria, Rifondazione Comunista. Eletto deputato in parlamento e nel parlamento europeo, in passato presidente e membro di varie commissioni legate a questioni economiche e di politica internazionale.

Devi effettuare il login per inviare commenti

Free Joomla! template by L.THEME

Questo sito NON utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti.