Dal lato della cancelliera Merkel operano indubbiamente moventi che con il rilancio dell’economia tedesca non hanno niente a che fare. Il primo è il recupero per via tutta conforme alle sue posizioni ideologiche di un alto livello di fiducia popolare alla sua DC (questa fiducia si è logorata). Il secondo è il mantenimento del suo comando politico su questo partito. Il terzo è continuare a dare soldi alla borghesia tedesca, in cambio di appoggi. Esistono in lei ragionamenti addizionali meno penosi? La domanda è imbarazzante: di ragionamenti che definiscano una strategia del capitalismo tedesco dalla Merkel non si sono mai uditi, salvo che bisogna essere vincenti nella competizione economica mondiale, quindi deflazione salariale e abbattimento della spesa pubblica. Si dovrebbe concludere che ella creda davvero nei suoi richiami moralistici di tipo protestante indicanti nel risparmio e nell’oculatezza della spesa virtù valide in famiglia come nello stato, e nella sua evocazione di quelle situazioni terribili di inflazione galoppante che a seguito di ambedue le sconfitte militari tedesche del Novecento si mangiarono completamente risparmi e pensioni.
Sono cose queste tutte vere: ma non bastano a spiegare le imposizioni tedesche all’Unione Europea. Opera da secoli nelle classi dominanti tedesche l’impulso imperialista alla conquista dell’egemonia in Europa: attivato sia dalla forza economica e demografica che dalla ristrettezza del territorio e dalla mancanza di risorse fondamentali. Siamo in un momento storico in cui le realtà planetarie più potenti sono quelle dotate di grandi dimensioni globali: non è strano che grande borghesia e governanti tedeschi vogliano acquisire quell’egemonia, approfittando della stessa crisi; e, non disponendo la Germania di una forza militare, quell’egemonia può essere acquisita solo ricorrendo alla propria forza economica. La deflazione salariale tedesca sta facendo fuori sia l’industria italiana, in solido alle politiche dementi dei governi italiani di questi venticinque anni, che quella francese, cioè le economie del secondo e terzo paese industriale d’Europa; inoltre gli investimenti tedeschi stanno trasformando Italia, Francia e il resto dell’Europa in territori industriali impegnati nella subfornitura a basso prezzo all’industria tedesca. Si può così ben capire come all’attuale governo tedesco importi poco la stessa mancata ripresa economica tedesca: un po’ di stagnazione, e anche di recessione, è un prezzo che vale pagare in cambio di un’Europa finalmente tedesca.