Le fonti di informazione statunitensi, “multiple e indipendenti”, stimano un numero tra 100 e 150 persone morte a seguito di attacchi con armi chimiche, stando alle dichiarazioni di Ben Rhodes, vice del consigliere per la sicurezza nazionale di Obama.
Le prove sulle armi chimiche “sono state fabbricate in modo analogo alle bugie sulle armi di distruzioni di massa di Saddam Hussein” ha commentato Alexei Pushkov, presidente della commissione per gli Affari Esteri della Duma russa, accusando direttamente gli USA di alimentare una situazione che rischia di aprire uno scenario analogo a quello iracheno.
George Sabra, a capo della Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione, ha apprezzato la decisione statunitense, in nome della “difesa del popolo siriano dal regime appoggiato dall’Iran”.
Il 13 giugno le agenzie di stampa hanno girato le cifre delle Nazioni Unite sugli scontri: 93.000 persone uccise dall’inizio del conflitto, con un aumento significativo nell’ultimo periodo (5.000 solo da giugno). Nella cifra sono comprese anche 1.700 vittime sotto i 10 anni (i bambini sono arruolati da entrambe le parti del conflitto).
"Il conflitto islamico di 7 secoli tra Sunniti e Sciiti ha rifornito con la violenza tutto il Medio Oriente negli ultimi decenni”, dalla guerra civile del Libano al pantano dell’Iraq, ricordano su Haaretz. In questo contesto entra direttamente anche la Turchia. Le proteste che attraversano il paese di Erdogan riguardano direttamente la disponibilità del governo anatolico a sostenere fortemente il Free Siryan Army, con un’opinione pubblica profondamente interessata al conflitto siriano sia per questioni energetiche che di immigrazione.
Il quadro europeo segna la posizione interventista di Francia e Gran Bretagna, mentre il ministro degli Esteri italiano, Emma Bonino rimanda alla conferenza di Ginevra che si dovrà tenere verso il 6 e 7 luglio.
Sul sito del Partito Democratico, il 14 giugno, è stato pubblicato un dossier a cura dell’Ufficio Documentazione e Studi Gruppo PD Camera dei deputati, in cui si ricostruiscono gli ultimi decenni della Siria, concludendo in modo vago: “la crisi del regime di Assad può volgere in diverse direzioni ed è una partita che la comunità internazionale non può perdere”.
Quello che manca del tutto è il movimento pacifista, per come l’Europa e l’Italia lo avevano conosciuto con le guerre di Bush jr. Nessuno pare avere il coraggio di riaffermare i principi della pace e del ripudio della guerra, anche se basterebbe far presente le conseguenze devastanti dei bombardamenti contro Gheddafi, che hanno arenato la Libia e sono direttamente legati alla degenerazione della situazione in Mali.
Nonostante la capacità di Assad di resistere ai tentativi di isolamento internazionale, rispetto al colonnello libico, le notizie riportate dai canali di informazione occidentali non rassicurano. Nelle ultime ore del 14 giugno, il Sole 24 Ore apriva così sul proprio sito: “a pochi giorni dal G8 britannico che si preannuncia turbolento, l’America (insieme all’Unione europea) ha accusato la Siria di aver varcato la Linea Rossa, di aver cioè usato armi chimiche”.
La partita si gioca quindi a livello strettamente economico, sul conflitto di interessi tra diversi blocchi. A livello politico mancano le pressioni dei pacifisti, come in Italia mancano forse politiche capaci di tornare a mobilitarsi “senza se e senza ma”.
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